Che direbbe Gordon Gekko della bolla cinese?

scritto da il 07 Settembre 2015

Pensando al “Black Monday” dei mercati asiatici (24 agosto scorso) e il successivo andamento, ci viene da chiedere, che ne direbbe il Gordon Gekko protagonista del film “Wall Street: il denaro non dorme mai”? Forse la citazione più celebre riguarda la spiegazione del perché i gestori non battono mai la performance dell’indice S&P500, “perché sono delle pecore e si sa, il loro destino è finire al macello”. In effetti un gestore di fondi è davvero bravo se riesce ad anticipare il mercato e guadagnare sul giusto (o fortunato) timing degli investimenti.

Gordon ci dice che infatti le bolle prima o poi scoppiano. Questo è l’insegnamento cinico quanto asettico che Gekko, immaginiamo con uno sguardo di ghiaccio ed un tono paternalistico, potrebbe offrici. Certo non avrebbe tutti i torti, il mercato di Shanghai ha visto una crescita dei corsi azionari nell’ultimo anno del 150% (da giugno 2014 a luglio 2015) alimentata da un flusso proveniente da 90 milioni di “retail” (piccoli risparmiatori) che hanno seguito il caldo invito del governo cinese ad investire nel mercato azionario con il fine di sostenere lo sviluppo delle imprese.

Eppure questo tracollo dei mercati asiatici, un andamento confermato alla Borsa di Shanghai anche questa mattina, sembra arrivato come una doccia fredda. Ma che spiegazione hanno saputo darsi in Cina? Semplice, non si mette in discussione nulla, si trova un capro espiatorio e lo si punisce.

Così Wang Xiaolu che forse aspirava veramente a diventare il cinese più famoso a Pechino ma, probabilmente, non avrebbe mai pensato di riuscire ad influenzare i mercati molto di più del trio delle super banche Morgan Stanley, Goldman Sachs e J.P. Morgan messe insieme, si è ritrovato ad ammettere pubblicamente il suo “crimine” per essere arrestato in quanto pericoloso blogger cinese.

Gordon Gekko ci farebbe osservare che la credibilità del policy maker passa per i mercati ed è la vera golden rule per una stabile crescita economica.

In Cina sono tanti gli osservatori internazionali che vedono nel livello di corruzione del tessuto industriale cinese una nuova dimensione di incertezza.

Il rischio sui mercati finanziari è rappresentato dalla volatilità dei rendimenti, un aumento della volatilità si traduce in una instabilità dei mercati ed una maggiore probabilità di perdite. Infatti una crescita del 150%, come ricordato prima, è stata seguita da un tonfo del 40% dell’indice di Shanghai, come si apprezza dal seguente grafico:

Shangai_COMPX

Fonte: Bloomberg

La Cina, si ricorderà, rappresenta il principale detentore di US Treasury, titoli di stato degli Stati Uniti, e il principale partner commerciale per USA e Europa, vivendo negli ultimi anni un lungo periodo di rapida crescita che ha permesso alla classe dirigente di nascondere una serie di problemi dati da una inefficiente allocazione di risorse: si pensi ad esempio alle industrie di base, con un forte eccesso di capacità produttiva.

Ora che il Prodotto interno lordo, secondo le statistiche nazionali cinesi, si attesterà al 7% (ma molti osservatori sono convinti che il livello più ragionevole sia il 5%) la classe dirigente cinese deve fronteggiare gli effetti negativi di un rallentamento dell’economia continuando però a portare avanti le riforme necessarie per una transizione verso un nuovo modello di crescita, che prevede un rilevante ruolo dei mercati.

La Cina sta facendo piccoli esperimenti per passare da un’economia totalmente pianificata a un’economia di mercato. In tal senso, Pechino deve aumentare il consumo domestico, che si traduce in una diminuzione del risparmio delle famiglie, ma soprattutto deve limitare la forte presenza di imprese statali.

Solo un miglioramento del livello di fiducia può creare un aumento della domanda interna. Il tasso di risparmio rimane elevato, infatti, quando persistono incertezze sul futuro lavorativo e sulla copertura sanitaria. Chi può creare “fiducia interna” se non una classe dirigente preparata e coscienziosa? Allo stesso modo, principi di trasparenza ed accountability creano “fiducia esterna” e credibilità che si riflettono in stabilità sui mercati finanziari.

Inoltre la temuta prospettiva della crescita cinese fa aumentare i rischi di una guerra valutaria, anche alla luce delle future mosse della Fed sui tassi d’interesse.

Ma la Cina continua a non comprendere e rimane rigidamente legata alla prassi burocratica del partito comunista.

La “mano invisibile” (ma non indolore) del governo ha dapprima promosso il decollo del mercato dei capitali per poi puntare a regolare l’andamento dei prezzi azionari. Rendendosi conto dell’impossibilità di pianificare le quotazioni, Pechino ha preferito agire sul cambio ancorando lo yuan al dollaro USA.

A luglio scorso la Banca Centrale Cinese annunciava la fine dell’ancoraggio al dollaro e tale mossa veniva letta dal mercato come una svalutazione per motivi competitivi.

Gli interventi sulla politica del cambio, contraddistinti dalla mancanza di una chiara direzione della Banca Popolare Cinese, hanno comportato forti movimenti a seguito dei quali lo stesso istituto centrale ha dovuto correre ai ripari acquistando ogni giorno la propria valuta per stabilizzare il cambio (si veda il grafico seguente).

USDCNY

Fonte: Bloomberg

Ma lo yuan rimane ancora forte e i rischi che una discesa del tasso di cambio possa comportare una svalutazione competitiva sono ancora contenuti. Detto questo, il rischio che si inneschi una deflazione “alla giapponese” non si può trascurare, come già ricordato dal direttore del Sole 24ORE, Roberto Napolitano, in un suo editoriale “Un Qe per Pechino”.

“L’avidità funziona” così amava ripetere sovente Gordon Gekko. I mercati finanziari spingono verso la “perfezione”, almeno secondo i modelli. Ma la stessa avidità che permette di raggiungere l’efficienza dei mercati è allo stesso tempo anche la causa e la spiegazione razionale della formazione e alimentazione delle bolle finanziarie, spesso giustificate frettolosamente con espressioni del tipo “è il mercato che fa il prezzo”, così come succedeva quando negli anni intorno al 1635 con due bulbi di tulipano si poteva comprare un “cielo-terra” in centro ad Amsterdam.

E allora? Gordon Gekko ancora una volta ci ricorda che non dobbiamo essere delle pecore ma dei “veri” agenti razionali ed anticipare lo scoppio della bolla gradualmente sgonfiandola. L’indebolimento del potere dello Stato cinese e l’incoerenza mostrata per molti anni dalle sue politiche macro-economiche hanno portato tutti i nodi al pettine.

Ma per capire questo non abbiamo bisogno che ce lo dica Gordon Gekko!

Twitter @pasqualemerella