Le famiglie dei Pigs sono tutte uguali? No. La deflazione e la diversità italiana

scritto da il 30 Settembre 2015

A settembre la BCE ha pubblicato il working paper di Adam e Zhu “Price level changes and the redistribution of nominal wealth across the euro area”. In effetti il paper racconta anche qualcosa in più in merito ai rapporti con il resto del mondo, alla disomogeneità interna dell’Europa, ed al peso della “storia inflazionistica” dei Paesi membri.

La logica è in sé perfino banale: il creditore si avvantaggia della deflazione e subisce come un danno l’inflazione; viceversa il debitore. Capito chi è cosa, è immediato capire chi e quanto perde/guadagna a seguito di un movimento uniforme di tutti i prezzi. Il paper tralascia i movimenti “scoordinati” dei prezzi, da cui variazioni dei prezzi relativi ed ulteriori effetti sull’economia reale; d’altra parte per tenere conto di tutto servirebbe un modello molto più complesso (e criticabile da l’una o l’altra scuola di pensiero) mentre l’approccio utilizzato è più semplice e ateoretico. Infine, la deflazione è trattata come semplice inverso dell’inflazione, sensato a livello “nominale” e utile per ragionare in modo semplice di trasferimenti di ricchezza.

Nell’individuazione di chi al netto è debitore o creditore sta il peso di questo lavoro: analisi e sintesi di una gran mole di dati relativi al 2010 provenienti dalle contabilità nazionali e da specifiche indagini (Household Finance and Consumption Survey appunto del 2010) per definire la Posizione nominale netta, un saldo tra attivo e passivo finanziario o “nominale” (es. crediti e debiti sia semplici che in titoli). Questo duro lavoro ha permesso di sezionare i risultati tra Eurozona e Resto-del-mondo, tra Governi e Famiglie europei (spartendo i dati relativi alle imprese in base alla loro proprietà), nonché per fasce d’età e ceto.

Nel complesso l’Eurozona è un debitore netto rispetto al Resto-del-mondo (Posizione nominale netta pro-capite negativa per circa € 18.600). Una deflazione del 10% implica quindi un trasferimento pro-capite di € 1.860 dai singoli cittadini europei al resto del mondo. Ma il dato è molto disomogeneo a livello di Paese e, essendo tutti i Governi europei dei debitori netti (bella scoperta!), è la posizione delle Famiglie a fare da discriminante. Tralasciando i dati meno robusti: le Famiglie debitrici nette sono in Portogallo, Grecia, Spagna (cioè PIGS senza Italia) e Finlandia; i Paesi creditori netti risultano Belgio e Malta, con Germania e Irlanda in posizione quasi neutra.

Prima conclusione: l’inflazione implica un trasferimento di ricchezza a tutti i Governi europei ed alle Famiglie di Grecia, Portogallo, Spagna e Finlandia a spese di tutti gli altri. In Italia l’inflazione implica che il Governo (Posizione nominale netta pro-capite negativa per € 23.200, seconda solo al Belgio!) dreni ricchezza per un terzo dalle Famiglie e per due terzi dal resto del mondo. Questo dovrebbe dirvi qualcosa riguardo all’allarmismo sui pochi centesimi di “deflazione” che in aggregato l’Italia (io no…) ha sperimentato.

Guardando alla ricchezza netta complessiva inclusiva anche di asset “reali” (es. gli immobili, che soprattutto alla lunga offrono una naturale protezione dai movimenti dei prezzi), e spaccando il dato per età, risulta essenzialmente che i più giovani sono debitori netti ed i più vecchi creditori netti. Anche qui la disomogeneità impera: dalla Germania con debitori netti ristretti ai 35-44enni del ceto medio, alla Grecia dove complessivamente i debitori netti prevalgono fino ai 64enni. In Italia i debitori netti più esposti ai pericoli della deflazione sono i giovani dei ceti medio e povero fino a 34 anni, con la fascia 35-44anni già sostanzialmente in equibrio tra ricchezza in asset “nominali” e “reali” (NB: il Paese più simile è l’Austria).

Il dato generale riflette il fatto che “da giovani” ci si indebita soprattutto per l’acquisto della casa, e con il passare del tempo il valore dell’immobile tende a superare quello del debito residuo. Tendenzialmente le fasce più povere restano più esposte ai movimenti dei prezzi a causa del limitato accesso al credito che impedisce loro di acquisire beni reali che nel tempo funzionino come protezione.

Ulteriori analisi dei due economisti indicano che Posizione nominale netta e composizione della ricchezza tra asset “reali” e “nominali” risentono della storia inflazionistica del Paese, con le seguenti due tendenze: maggiore è l’inflazione storicamente sperimentata, e maggiore è la tendenza ad indebitarsi per comporre nel tempo una ricchezza soprattutto in asset “reali”; minore è l’inflazione storicamente sperimentata e minore è la tendenza all’indebitamento, con maggior propensione a detenere ricchezza in asset “nominali”. Quanto vi stupisce sapere che i PIGS sono nel primo gruppo ed i “Core” Germania, Austria e Olanda nel secondo?

Seconda conclusione: le posizioni politiche stilizzate nei contrapposti schieramenti tra Paesi hanno fondamenti culturali dipendenti dalla storia, e risentono della struttura per età e ceto della ricchezza netta e “nominale” in un mosaico piuttosto articolato e non sintetizzabile in un concetto unitario di “Europa” (questo però non autorizza a supporre una maggior omogeneità infra-statale). Aggiungo che, a ben vedere, lo schierarsi dell’Italia a fianco degli altri PIGS ha senso per il Governo ma non per le famiglie (il lato “oscuro” della storica propensione al risparmio italiana, su cui dovremmo riflettere più profondamente di quanto permetta il dibattito politico).

Infine Adam e Zhu simulano il famoso indice di Gini sulla ricchezza netta complessiva prima e dopo un ipotetico shock inflazionistico, concludendo che l’inflazione incrementa l’equità (fanno eccezione Austria, Germania e Malta dove è la deflazione a incrementare, pur di poco, l’equità). Il minor incremento di equità apportato dall’inflazione si registra per l’Italia.

In effetti l’inflazione sposta ricchezza dai creditori ai debitori, cioè da chi ha ricchezza “nominale” positiva a chi la ha negativa, riavvicinando quindi le posizioni (come riportato dal Gini). E tutto questo è equo… sì, come un furto in un supermercato! C’è una bella differenza tra tassare la sperequazione reddituale e patrimoniale per finanziare servizi ed opportunità a favore dei “poveri”, e trasferire la ricchezza da chi fa credito a chi è a debito: una Posizione nominale netta negativa discende da scelta e possibilità di indebitarsi; dall’altro lato una Posizione nominale netta positiva permette questa possibilità di indebitamento invece di convertirsi in asset “reali” per coprire se stessa contro l’inflazione.

Tra l’altro, e come dicono anche i due economisti, la possibilità di indebitarsi è presupposto necessario per acquisire asset “reali” a protezione futura contro l’inflazione, ed il fatto che i ceti più poveri non vi abbiano accesso è un problema. Guardando il quadro più ampio rispetto alla banalità decontestualizzata del Gini, non esiste niente di “equo” nell’aggiuntivo trasferimento dai creditori ai debitori.

Detto questo, meglio non commentare l’analogia che i due economisti (con base in Germania) fanno tra inflazione e tassazione patrimoniale progressiva, un impropria giocata di fantasia in un paper per il resto utile oltre che interessante.

Twitter @LBaggiani