Silverites contro Goldbugs: la guerra contro la deflazione negli USA di fine ‘800

scritto da il 25 Ottobre 2015

Dopo la fine della sanguinosa guerra civile gli Stati Uniti avevano conosciuto un’era di crescita senza precedenti spinta dai numerosi investimenti in infrastrutture, come la costruzione delle grandi ferrovie, dalla veloce industrializzazione dell’est del paese, l’espansione verso l’ovest e dall’afflusso di grandi capitali esteri, soprattutto dal Regno Unito, in cerca di facili profitti.

Come tutti i processi di rapida espansione economica anche questo ebbe a finire in maniera piuttosto violenta. Il grande panico del 1873 fu la prima crisi economica “internazionale”: nata dal crollo della borsa di Vienna attraversò tutta l’Europa e raggiunse anche gli Stati Uniti, in una serie di default finanziari, fallimenti, insolvenze che la autoalimentavano, facendo scoppiare tutte le bolle speculative accumulatesi per anni e lasciando alla fine le macerie della stagnazione economica e della disoccupazione, la Lunga Depressione che durò fin quasi alla fine del secolo.

In questo contesto negli Stati Uniti nacque e guadagnò sempre più consenso il People’s Party, anche conosciuto come Populist Party, che aveva come base elettorale gli agricoltori del West, in quel periodo pesantemente indebitati e i cui profitti erano in calo a causa del crollo dei prezzi delle materie prime, come il cotone ed il grano.

La proposta politica del PP era fortemente ostile al capitalismo finanziario, considerato la causa della crisi, fino a tingersi di venature complottiste, xenofobe e antisemite, con le accuse alle lobby finanziarie giudaiche europee. Le critiche economiche più accese avevano come obbiettivo la famosa norma del 1873 (Coinage Act of 1873, legge chiamata anche “Crime of ’73”), che aboliva la monetizzazione dell’argento lasciando il dollaro ancorato solo all’oro. I populisti la consideravano, giustamente, una delle cause della deflazione che stava contribuendo a deprimere l’economia.

Il Coinage Act del ’73 fu però un atto quasi dovuto a causa del crollo del prezzo dell’argento sui mercati internazionali, spinto anche da altri atti di demonetizzazione dell’argento come quello tedesco, uno degli effetti della vittoria prussiana sulla Francia e dell’afflusso di oro come danni di guerra, che permise alla Germania di aderire al gold standard. A quel punto con un valore intrinseco delle monete d’argento di molto inferiore a quello facciale bisognava impedire che venissero convertite in oro, da cui la loro demonetizzazione, cioè la sospensione dell’acquisto dell’argento per la coniazione in monete dai privati, ad un prezzo fisso superiore a quello di mercato.

Il People’s Party propose invece di ripristinare la coniazione di moneta d’argento ed anzi di sganciarsi dal gold standard, così da aumentare la massa monetaria e stimolare una ripresa dell’inflazione che avrebbe “alleggerito” i debiti contratti dalla sua base elettorale. In questa battaglia il PP fu appoggiato dai proprietari delle miniere d’argento del West, che avevano ovviamente visto crollare i loro profitti a seguito del Coinage Act, oltre ad una consistente parte del partito Democratico ed altri movimenti populisti. Nacque così “The Movement for the Free Silver” detti anche “Silverites” a cui si contrapponevano i movimenti politici, in particolar modo Repubblicani, e d’opinione, che vennero detti “Goldbugs”.

La lotta politica fu molto accesa, con un dispiego notevole di propaganda da ambo le parti, testimoniato dai manifesti che sono giunti fino a noi. Sotto queste pressioni nel 1890, con lo Sherman Siver Purchase Act, il Governo Federale accolse in parte le richieste dei Silverites acquistando a prezzo superiore a quello di mercato grosse quantità d’argento che però non fu coniato in nuova massa monetaria.

Gli acquisti furono fatti emettendo banconote convertibili in oro che furono in gran parte subito portate “all’incasso”, dilapidando così le riserve federali di metallo prezioso. Il governo federale fu quindi costretto a chiederlo in prestito ai banchieri come J.P. Morgan e sui mercati internazionali per evitare di subire un crollo valutario che avrebbe costretto ad abbandonare la parità aurea del dollaro.

Gli effetti negativi dello Sherman Silver Purchase Act, assieme alla politica protezionista del Tariff Act sempre del 1890, questo invece appoggiato dai Repubblicani, rese i mercati, già indeboliti da anni di deflazione, ancora più fragili. Quando nel 1893 l’Argentina entrò in crisi gli investitori europei iniziarono a scappare dagli investimenti fatti oltreoceano e a voler vedere rimborsati in oro i prestiti fatti al Tesoro USA.

Il Panico del 1893 provocò ulteriori danni all’economia: chiusero 500 banche, 15mila imprese fallirono assieme a tantissime fattorie del West, la disoccupazione salì fino al 25% in Pennsylvania, al 35% a New York ed al 43% in Michigan, mense per i poveri iniziarono ad operare praticamente ovunque.

Le successive elezioni di metà mandato del 1894 videro i Repubblicani vincere con uno dei maggiori risultati della loro storia mentre i Democratici persero pesantemente ed il People’s Party sparì praticamente dal panorama politico.

Da quel momento il gold standard non fu mai più messo in discussione negli Stati Uniti fino ai tempi di Franklin Delano Roosevelt. Ma quella, appunto, è un’altra storia.

Twitter @AleGuerani