Risparmio, l’eredità della grande crisi è il macigno da rimuovere. Ecco come fare

scritto da il 11 Dicembre 2015

Pubblichiamo un post di Francesco Bruno, Master in Law and Economics, già collaboratore di Leoni blog – 

BAIL-IN, BAIL-OUT E IL DESTINO DEL RISPARMIO DEGLI ITALIANI

di Francesco Bruno

L’argomento è ormai entrato definitivamente nel pubblico dibattito, seppur con ingiustificato ritardo, essendo il progetto di Unione Bancaria Europea risalente al 2012.

In Italia il tema è rimasto confinato negli ambienti accademici o settoriali, senza mai penetrare la sfera della pubblica opinione. E’ stato un grave errore! Adesso il pericolo si avverte e si propaga, non viene compreso appieno, ma di certo i casi di risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Chieti e Cassa di Risparmio di Ferrara stanno occupando stabilmente le prime pagine delle maggiori testate giornalistiche italiane, nonché i vari talk show.

La tematica è complessa e delicata, con diversi e spigolosi angoli di lettura. Proviamo dunque a rispondere a due domande, che sorgono spontanee anche a chi è avulso al tema:

1) ma com’è possibile che la nonna di Eleonora  abbia perso tutto in una notte?

2) è giusto che il Governo intervenga per rimborsare i piccoli risparmiatori “gabbati”?

Schermata 2015-12-11 alle 11.43.34

Un passo indietro: l’Unione Bancaria Europea
La proposta ufficiale di adozione di un’Unione Bancaria Europea venne presentata nel settembre 2012 dalla Commissione Europea, basandosi su tre pilastri:

1) un singolo meccanismo di supervisione bancaria;

2) un singolo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie;

3) un sistema unico di garanzia dei depositi.

Per ragioni politiche si è optato per innalzare un pilastro alla volta. Attualmente sono stati implementati solo i primi due, con l’introduzione della supervisione bancaria unica in capo alla BCE e l’emanazione della Direttiva 2014/59/UE (Bank Recovery and Resolution Directive o “BRRD” nel prosieguo) per la risoluzione delle crisi bancarie.

Difficile contestare in via teorica le ragioni a sostegno di un’unione bancaria: l’accentramento della supervisione nelle mani della BCE potrebbe ridurre la prassi delle banche centrali nazionali di favorire gli istituti national champions e di colludere con i governi per gli acquisti dei titoli di stato (benché la BCE in merito di acquisti di titoli sovrani di debito pubblico sa di certo il fatto suo); il meccanismo unico di risoluzione, con passaggio dal bail-out al bail-in, troverebbe invece la sua ratio nella necessità morale prima che economica di interrompere il salvataggio delle banche con i soldi dei contribuenti (se qualcun altro paga il costo delle mie speculazioni o dei miei investimenti sbagliati, ho l’incentivo di continuare a rischiare, il cosiddetto moral hazard).

Schermata 2015-12-11 alle 11.43.18

Circoscrivere i costi delle crisi bancarie all’interno del settore è quindi cosa buona e giusta, ma presenta dei rischi sistemici in un modello economico banco-centrico come quello europeo, dove nel 2012 il settore bancario valeva nell’Eurozona il 255% del Pil contro il 60% degli Stati Uniti.

Un limite evidente che ha contraddistinto l’adozione dell’Unione Bancaria risiede nel non aver tenuto debitamente conto dei bilanci dissestati di molte banche europee, fortemente danneggiate dalla crisi. Solo per l’Italia, ha ricordato l’Economist, l’importo dei prestiti erogati dalle banche che difficilmente verranno restituiti o recuperati in via coattiva ammonta alla spaventosa cifra di 350 miliardi di euro, il 21 % del PIL.

Sussiste quindi un problema irrisolto di legacy (eredità) della crisi, che è stato ignorato o sottovalutato dalle istituzioni europee e, soprattutto, italiane.

Proprio nel caso italiano, oltre alle quattro banche già citate per le quali è stato applicato il D.lgs n. 180/2015 (che recepisce parzialmente la direttiva BRRD), preoccupano i destini degli altri istituti commissariati dalla Banca d’Italia. Pensare che il salvataggio delle suddette quattro banche – che detenevano solo l’1 % dei depositi bancari italiani – abbia comportato la volatilizzazione di circa 2 miliardi di euro, non può che agitare il sonno.

Ma chi rischia veramente?
Bail-in significa salvataggio interno (al contrario di bail-out che significa salvataggio esterno, con soldi pubblici, denaro dei contribuenti) e comporta la riduzione o l’azzeramento del valore di azioni e di alcuni crediti o la conversione di altri titoli di debito in azioni a loro volta ridotte o azzerate. Il bail-in è applicato dalle autorità competenti come extrema ratio, la soluzione di riserva, qualora le altre misure non siano sufficienti, proprio come è accaduto nel caso degli istituti al centro dell’attenzione in questi giorni. Le perdite degli istituti vengono dunque in primo luogo ripartite tra i detentori di titoli finanziari in base al grado di rischiosità. Attenzione però, non si tratta solo di titoli detenuti da professionisti del settore.

I primi a rischiare sono quindi gli azionisti, i “proprietari” della banca e gli altri detentori di strumenti di capitale. Se le perdite di questi non dovessero essere sufficienti, ecco i titoli subordinati, le obbligazioni, le altre passività ammissibili e (dal primo gennaio 2016) i depositi superiori a 100 mila euro di imprese e persone fisiche.

Schermata 2015-12-11 alle 11.43.48

Per restare nel mondo reale e rispondere alla prima domanda indicata all’inizio dell’articolo, la nonna di Eleonora aveva investito i suoi risparmi nelle obbligazioni di tipo Lower Tier II emessi dalla Banca dell’Etruria.

Si tratta di bond subordinati con rendimenti più alti della media, che venivano collocati anche presso piccoli risparmiatori e pensionati, rappresentati (probabilmente) alla clientela come titoli sicuri. Invero, i rendimenti più elevati comportano sempre una maggiore rischiosità, ecco perché le obbligazioni subordinate sono soggette a bail-in.

Non vi è dubbio che chi investe del denaro dovrebbe sempre prendere delle precauzioni, agire con parsimonia, magari con l’ausilio di professionisti, considerato che è naturale che gli strumenti finanziari siano legati intrinsecamente a un concetto di rischio. Anche le nonne lo sanno (anche meglio dei nipoti). Tuttavia, nel caso di specie non si può negare che l’applicazione retroattiva della normativa mina la fiducia del risparmiatore, che potrebbe temere nuovi futuri cambi di disciplina, sempre applicati retroattivamente. La credibilità dell’intero sistema del risparmio ne esce compromessa. E tutti sanno cosa significhi il termine “fiducia” per il settore bancario e finanziario.

Errori passati e conseguenze attuali
Sarebbe stato opportuno affrontare previamente il problema della legacy. L’Italia non lo ha fatto e abbiamo letto/udito inappropriate lodi dirette al nostro sistema bancario che avrebbe “resistito meglio di altri alla crisi”.

Questa presunzione immotivata ha fatto sì che mentre noi ci pavoneggiavamo davanti allo specchio, i partner europei usufruivano degli aiuti concessi dall’European Financial Stability Facility (EFSF) e dal più recente European Stability Mechanism (ESM). La Spagna, per dire, ha ricevuto la bellezza di 100 miliardi di euro di aiuti per ricapitalizzare le sue banche. Si badi bene che a questi aiuti anche l’Italia ha dovuto ovviamente contribuire cospicuamente con apporto di miliardi di euro in garanzia, ma nessuno ha mai sollevato la necessità di chiedere interventi dell’ESM anche per le nostre banche (salvo sporadiche eccezioni). Adesso i nodi sono tutti giunti al pettine

Schermata 2015-12-11 alle 11.41.53

Che fare: è auspicabile un nuovo intervento pubblico?
L’iniziativa lanciata dal Pd – e invocata da molte opposizioni – che potrebbe entrare nella legge di stabilità mira a rimborsare una parte dei risparmiatori che hanno perso tutto. Il ministro Padoan l’ha definita un’ “operazione umanitaria”. Le dichiarazioni del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del ministro Boschi sembrano confermare l’intervento.

La politica cerca quindi di domare un incendio che inizia a divampare avvalendosi soltanto di qualche bicchiere d’acqua.

Un’unione bancaria probabilmente necessita, per funzionare bene, della presenza di un fiscal backstop (una garanzia pubblica che protegge il settore dai rischi sistemici, ma pare che a Bruxelles non la pensino affatto così) che sia strutturale, non di certo emergenziale.

A livello europeo, l’ESM di cui sopra avrebbe dovuto fungere da fiscal backstop, ma le risorse non sono sufficienti (500 miliardi di euro per l’intera Eurozona). È prevista invece l’istituzione del Fondo Unico di Risoluzione a carico delle stesse banche sottoposte alla supervisione della BCE, di appena 55 miliardi, che verrà alimentato nei prossimi otto anni (sic!), ma sarà applicato solo in subordine ai tentativi di bail-in.

A livello italiano, dal primo trimestre del 2015, le banche hanno iniziato ad accantonare le somme previste per la formazione del fondo di risoluzione (500 milioni per il 2015). Tuttavia, a causa della necessità di intervenire per salvare le quattro banche, è stato chiesto agli istituti anche l’anticipo dei contributi previsti per i prossimi tre anni (anticipati da Unicredit, Intesa San Paolo e Gruppo UBI). Impossibile pensare di richiedere nuovi sforzi al settore nell’immediato futuro.

Schermata 2015-12-11 alle 11.44.15

Se la politica si illude di adottare soluzioni tampone salva-risparmiatori, significa che sta nuovamente ignorando le conseguenze che potrebbero derivare dalle eventuali risoluzioni delle altre banche commissariate dalla Banca d’Italia. Come farebbe in futuro a non “salvare” gli altri “truffati” (ipotizzando che di truffa si possa parlare, ma qui occorrerebbe un capitolo a parte)? E con quali risorse?

Un intervento pubblico andrebbe semmai strutturato in maniera da non ripristinare azzardi morali, ma solo come garanzia pubblica di ultima istanza che eviti anacronistiche corse agli sportelli. Ad esempio, un fiscal backstop italiano – attento a non infrangere la disciplina degli aiuti di Stato – potrebbe avere una durata temporale strettamente limitata al tempo necessario al fondo di risoluzione alimentato dalle banche per raggiungere livelli adeguati di risorse. 

Di contro, l’intervento una tantum del Governo potrebbe spegnere una fiammella, non di certo l’incendio.

Twitter @frabruno88