Spontini vs. Pizza Hut e Starbucks: perché gli italiani non hanno sfondato con pizza e caffè?

scritto da il 23 Gennaio 2016

Per chi abita a Milano Spontini è un marchio ben conosciuto. Simboleggia, dal 1953, la pizza al trancio, tanto semplice – non si può scegliere, come per la Ford modello T, mozzarella, pomodoro e acciughe – quanto croccante. Aggiungiamo che lo stile Spontini si riconosce per velocità nel servizio (la frenesia delle città aiuta), efficienza, semplicità e convenienza. Il pubblico è trasversale.

Da cliente affezionato mi sono chiesto fin da subito come mai la famiglia proprietaria di Spontini non espandesse l’attività. Mentre gli americani o gli inglesi quando hanno in mano qualcosa che funziona replicano il tutto all’ennesima potenza, con catene in tutto il mondo (vedasi Pizza Hut o Starbucks), l’impresa italiana non riesce a fare lo stesso.

Nel 2002 Massimo Innocenti, architetto mancato, erede del marchio Spontini – intervistato da Repubblica – diceva non aver mai pensato di allargarsi al franchising: “Non sono un imprenditore, mi sento un operaio, lavoro nella mia bottega, che è l’eredità dei miei genitori… per ora non se ne parla: Spontini è unico, ci tengo. Mi piace l’idea che qualcuno attraversi Milano per mangiare la mia pizza, mi piace non aver seguito nessuna moda”.

Innocenti, fortunatamente, ha cambiato idea. Qualche anno fa ha deciso di allargarsi e aprire nuove pizzerie in tutta Milano (oltre alla storica pizzeria di via Spontini, in Papiniano, Marghera, V Giornate, Cenisio, Duomo, Buenos Aires). Visto il successo non si è fermato e nel 2015 ha aperto due pizzerie Spontini a Tokyo, in franchising, in partnership con il socio giapponese JRD.

SPONTINI

La pizzeria Spontini di nuova apertura in via Santa Radegonda, a due passi dal Duomo, ha servito nel 2015 ben 800 mila tranci di pizza. Un record, e non ci si può neanche sedere perché questo nuovo concept prevede solo posti in piedi.

Nel settembre scorso alla Biblioteca Braidense si presentava una mostra “Acque e terra di Lombardia” dove venivano spiegate le origini del modello assistenziale lombardo (meritevole il lavoro dell’Archivio dell’ASP Golgi-Redaelli, diretto da Marco Bascapè). Tra i manager che hanno fatto grande Milano e la Lombardia è emersa la figura di Carlo Tagliabue, mio nonno, infaticabile direttore della Pia Casa degli Incurabili di Abbiategrasso. Addirittura quando venne fondata, alla fine del 1700, sotto gli austriaci, l’istituto includeva nel nome anche gli “schifosi”, che non dovevano più girovagare per le strade ma essere accolti dalle istituzioni preposte.

Scopro in tale occasione che uno degli sponsor della Braidense è Spontini. Allora mi presento a Massimo Innocenti e propongo un incontro perché il suo entusiasmo è contagioso. C’è molto da imparare dagli imprenditori che vogliono andare all’estero con vigore. Massimo Innocenti è una macchina da guerra, va avanti a cento all’ora, gli piace quello che fa. E quindi, con la passione, viene tutto meglio.

Stimolato dalle mie domande sul perché gli italiani, che hanno inventato il caffè e la pizza, non ne hanno approfittato e non hanno creato catene nel mondo, Innocenti mi dice subito: “Siamo in ritardo, ma stiamo recuperando. Il made in Italy è richiesto in tutto il mondo. Anzi, posso affermare senza timore di essere smentito che il made in Milano va ancora più forte. Dopo aver aperto con successo in Giappone, andrò in Turchia, in Medio Oriente, in Francia e in Russia. Non mi ferma più nessuno, ormai siamo lanciati. Nel 2015 abbiamo aperto 6 nuove pizzerie. In passato le banche facevano fatica a sostenermi, chiedevano garanzia e non valutavano la bontà del progetto di espansione (si veda il post su Mattioli e Malagodi e il merito di credito, ndr). Oggi è diverso”.

Se in alcuni casi sono gli imprenditori che tentennano sull’espansione internazionale, Innocenti ha le idee chiare e spiega come sia stato difficile cambiare: “Un bottegaio lavora come un pazzo, sputando sangue ogni santo giorno, mette nel cassetto e accumula, tanto o poco che sia; un imprenditore investe nel proprio marchio. Io ero tornato dall’America con un entusiasmo da folle, avevo voglia di sperimentare, di stupire i milanesi, di fare impresa”.

La formula Spontini necessita di una materia prima di qualità, per cui i fornitori sono stati selezionati con cura. La mozzarella viene da Varzi (Lodi per l’estero), il pomodoro da Piacenza e la farina dai mulini nei pressi della Certosa di Pavia. Come dicono negli States “garbage in, garbage out”, se la materia prima è scarsa, non è possibile produrre in uscita qualcosa di buono.

Un fatto meritevole di essere sottolineato è la presenza degli stranieri tra i dipendenti di Spontini: sono ormai 160. Innocenti crede nella meritocrazia, quindi lo straniero – che non di rado si impegna più degli italiani – viene premiato: Alessandro Gjeggi, albanese, è direttore della pizzeria Spontini in Papiniano.

Lo storico Carlo M. Cipolla sosteneva che gli italiani, non avendo materie prime, sono costretti ad esportare, a “produrre beni che piacciano al mondo”. Massimo Innocenti e la sua creatura Spontini, pur non avendo letto Cipolla, stanno applicando alla lettera il suo messaggio. Se nelle università italiane venisse inserito nei piani di studi un esame obbligatorio – anche a giurisprudenza! – di organizzazione del lavoro, faremmo qualche piccolo passo in avanti.

Twitter @beniapiccone