Le Pmi italiane sanno quanto è di moda l’Iran?

scritto da il 09 Marzo 2016

Pubblichiamo un post di Enrico Verga, consulente strategico e istituzionale, Master in International relations at Università Cattolica del Sacro Cuore, senior analyst a Longitude –

“Salam aziz khobi” è un saluto piuttosto comune in Iran, che in Italia suona come un’espressione aliena. Ovviamente è in pinglish (lingua persiana resa con caratteri occidentali). Non sapere cosa rispondere è accettabile per un italiano, non conoscere la repubblica iraniana, o la Persia, come altri sono soliti chiamarla, è grave.

Da un giorno all’altro l’Iran è divenuto di moda. Fino a pochi anni fa se ne parlava solo in termini negativi, dopo lo scongelamento delle sanzioni ora anche l’Italia scopre che ad alcune migliaia di chilometri c’è un grande Paese di oltre 70 milioni di abitanti. Cosa offre l’Iran all’Italia?

Beh, a sentire la Raffaella nazionale (la Carrà, chi sennò?), che si è già scusata per la gaffe, l’Iran sarebbe un posto dove le donne “non possono guidare, studiare etc…”. Ma con buona pace delle case automobilistiche e delle università le iraniane guidano di tutto e studiano, anche. A essere pignoli hanno il vizio di rifarsi il look (Teheran è anche conosciuta come la “fabbrica dei nasi“) e talvolta sono un po’ “loos” (noi diremmo viziate).

Al netto di questo gossip casereccio la realtà della repubblica iraniana va presa con attenzione: molte le opportunità per le nostre aziende e alcuni gli aspetti da considerare con attenzione. Partiamo con il sistema delle bonyad. Noi le chiamiamo fondazioni. Durante la fase iniziale della nascita della repubblica islamica vennero istituite una serie di fondazioni per i reduci di guerra, supporto ai poveri, edilizia sociale, religiose e così via. Di per sé la loro esistenza è finalizzata a supportare le cause per cui sono state create. In realtà queste organizzazioni, e la rete di compagnie private o pubbliche che partecipano, influenzano circa il 30-40% del Pil iraniano. Solo per fare un esempio la sola Bonyad Maskan (per l’edilizia sociale) si relaziona con altre 10 entità (alcune bonyad, altre gruppi privati) che a loro volta hanno interessi e attività in tutta la repubblica islamica. La comprensione di questa struttura sociale para governativa è fondamentale, soprattutto per le Pmi italiane che hanno interesse a sviluppare rapporti con equivalenti Pmi iraniane.

Un altro aspetto da considerare è la situazione delle sanzioni. L’attuale scenario le vede congelate, non eliminate. In soldoni cosa significa? Che se per una qualunque ragione gli americani si innervosissero le sanzioni potrebbero essere ripristinate in pochissimo tempo. Un problema piuttosto rilevante per chi volesse esportare in Iran, un problema grave per chi stesse investendo in impianti e sedi locali.

Lo sforzo del presidente Rohani nel presentare al mondo un Iran emerge anche dalla recente condanna a morte del petroliere Babak Zanjani. Uomo di punta durante la precedente presidenza, le accuse sono di furto e rivendita di petrolio iraniano tramite mercati alternativi per aggirare le sanzioni. Appare piuttosto chiaro che questa figura possa essere il classico capro espiatorio con cui Rohani vuole dimostrare al mondo (e perché no forse anche agli americani) che ora si fa sul serio e basta “strani giri”.

Malgrado tutto in Iran ci si lamenta che le banche occidentali sono ancora restie a dare fiducia alla repubblica. In tal senso le scelte del governo in carica sulla linea di lotta a corruzione e malaffare dimostra comunque sensibilità verso i mercati stranieri, proprio perché l’Iran ha grande interesse ad attrarre investimenti.

Ma cosa si possono comprare questi iraniani? Le potenzialità, come dimostrano i dati e le proiezioni di Sace, sono enormi specialmente per i settori di eccellenza italiana: meccanica, moda, design. Ci sono anche altre realtà meno note (a noi italiani) come i trasporti pubblici: con una popolazione in crescita e una forte urbanizzazione, è un’opportunità da non perdere per le Pmi che forniscono soluzioni per tutto il comparto ferroviario ed energetico italiano.

E in quanto a ferrovie gli iraniani non si fanno mancare nulla. Il progetto, ormai attivo da qualche anno, che collega la repubblica con i suoi vicini centro asiatici come Uzbekistan, Turkmenistan e Kazakistan è un ulteriore memento che il gioco iraniano non si sviluppa solo qui. Questa repubblica relativamente giovane vanta interessi, business e relazioni commerciali con tutto il centro Asia, una partita a cui l’Italia ha partecipato in modo oculato (insomma, diciamo con parsimonia), se escludiamo la presenza dei nostri gruppi energetici.

Le nostre Pmi hanno quindi l’opportunità, tutta da sviluppare, di divenire fornitori di aziende iraniane che, a loro volta, possono vendere i nostri prodotti in tutta l’Asia centrale. Uno scenario non dissimile da quello che si osserva in Germania, dove a fronte di acquisti di prodotti di meccanica italiana, le industrie tedesche (dell’automotive, per esempio) rivendono il prodotto finito in tutto il mondo. Quindi, assicurarsi una testa di ponte in Iran è vitale per entrare in quel circolo virtuoso di sviluppo centroasiatico che sinora l’Italia ha mancato (tanto per fare un paragone: chissà quanto vende la Germania in Uzbekistan rispetto all’Italia?). Insomma, se non siamo bravi noi ad andare a vendere direttamente il “nostro prodotto” in certi mercati, tanto vale diventare fornitori di chi ha tradizioni, linguaggi (il dari, antica forma di persiano, è parlato in Afghanistan, e altre nazioni centroasiatiche) e consuetudini con quelle nazioni.

E l’eccellenza creativa italiana? Con un Pil pro-capite ancora ben lontano da quello italiano, ma un “amore” per ciò che è italiano, una popolazione giovane, l’Iran è un mercato ideale per le nostre aziende di moda e design. Cavalli, seguito a ruota da Versace, ha subito colto la palla al balzo aprendo nella capitale. Anche il design italiano si è già posizionato per cogliere ogni occasione. Forse le persiane saranno loos e con il nasino rifatto, ma di certo denotano un gran gusto in fatto di qualità, e caso vuole che noi italiani siamo maestri della qualità e del bel vivere.

Resta da domandarsi se, al netto delle grandi dichiarazioni, la “moda persiana” che pare aver conquistato le aziende italiane (escludiamo i colossi italiani stile Eni, Finmeccanica e simili, già in manovra) avrà davvero un futuro. I nostri validi imprenditori avranno il coraggio, l’abilità, e l’ambizione di darsi una mossa e andare laggiù a vedere cosa succede?

Twitter @EnricoVerga