Il giornalismo non è ancora morto. Evviva il giornalismo. Sì, ma quale?

scritto da il 08 Aprile 2017

Eh sì, il giornalismo (e di conseguenza i giornalisti) non sono morti o estinti.

Si deve ammettere tuttavia che i media (specie le testate cartacee) vivono una crisi profonda. Solo per citare lo scenario italiano i dati (YoY) diffusi paragonando ottobre 2015 e ottobre 2016 dimostrano un calo generalizzato rispetto all’anno precedente.

Calo significa meno soldi in pubblicità. Seguite il mio ragionamento: a meno che non mi sbagli, meno lettori, implica che gli inserzionisti avranno meno interesse ad acquistare la pubblicità sulla testata, ergo maggior tensione del dipartimento commerciale, ergo ricavi che decrescono. Questo rapporto della Fieg (Federazione Italiani Editori Giornali) aggiornato a febbraio 2017 conferma un generale trend negativo tra le testate.

Ora, per quanto non esista un silver bullet (modo di dire inglese che implica una soluzione omnicomprensiva), a mio modesto avviso uno dei motivi della crescente disaffezione degli utenti/clienti per i quotidiani e le testate cartacee (ma anche le loro versioni digitali) è la qualità dell’informazione.

I giornalisti della “vecchia generazione “ (non mi riferisco anagraficamente a nessuno, per quanto molti hanno una discreta anzianità) sembrano aver sviluppato una qualche forma allergica per le attività di controllo dei fatti (in inglese fact checking).

In questi giorni si discute al festival del giornalismo, a Perugia, dell’importanza del fact checking e ovviamente (anche se qualcuno non riesce proprio più a pronunciarlo questo termine molto abusato) delle “fake news” (letteralmente notizie false, per estensione diciamo notizie non corrette).

Se un utente/cliente (che può essere anche uno spettatore di un telegiornale o il lettore di un media digitale o cartaceo) comincia a pensare (specie oggi, con l’abbondanza di fonti di informazioni, più o meno accreditate) che la testata di informazione che segue non riporta i fatti in modo correttamente, può decidere di non seguirla oltre.

Meno traffico = meno soldi per i media (si direbbe meno soldi per pagare giornalisti che valgono, ma sul binomio costa tanto vale tanto preferisco non esprimermi).

Facciamo alcuni esempli di situazioni critiche.

Partiamo dagli inviati esteri. In questi giorni sta manifestandosi una situazione di aperta critica (che dal mio punto di vista dovrebbe sempre essere costruttiva, si intende) nei confronti della Rai. Specificamente nei confronti di una inviata, Giovanna Botteri, che da 10 anni riporta le informazioni sul mondo americano a noi italiani. Vi sono due critiche principali (senza contare le derivazioni più o meno basate su fatti): il primo è lo stipendio (in un momento di magra per le testate di news) a detta di molte testate giornalistiche (dal Giornale al Fatto quotidiano, passando per tutti gli altri; come dire, un’opinione diffusa) non proprio economico. Stando ai dati della Rai nel 2015 superiore ai 200.000 euro lordi, allo stato attuale inferiore ai 200.000 euro dove non viene specificata l’esatta cifra.

La seconda critica è la sua faziosità nel riportare le informazioni, specialmente ora che Trump è stato eletto presidente. Il Messaggero si è spinto a sostenere che una giornalista che riporta informazioni in questo modo potrebbe non essere “gradita” al nuovo ambasciatore americano (nominato da Trump) che si insedierà a Roma in estate. Ora, non è che un giornalista debba farsi piacere per forza a un ambasciatore, ma andiamo oltre.

Le accuse mosse alla signora Botteri a mio avviso sono molto gravi per le loro implicazioni. Già l’italiano medio non si ammazza per tenersi aggiornato di fatti esteri. Ma, poniamo (come esempio basato sulle affermazioni delle testate citate) che la signora Botteri riporti fatti non corrispondenti alla realtà, magari in ambito economico, commerciale o finanziario. I suoi servizi potrebbero (siamo nel mondo delle ipotesi, bene inteso) indurre imprenditori italiani che non hanno strumenti particolarmente sofisticati per informarsi a non approfondire oltre opportunità di investimento negli Stati Uniti; il tutto, nel caso in cui si verificasse, a danno dell’economia, della crescita e delle esportazioni.

Per fare luce sulla cosa ho contattato Jeffrey Galvin, portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti a Roma. La sua posizione è la seguente: “Stiamo osservando una crescente attenzione nei media italiani per il diffuso fenomeno delle fake news e la carenza di fact check. Come nazione che riconosce grande libertà ai media nazionali e stranieri siamo molto attenti alla qualità delle informazioni. Come nazione che rispetta la libertà di espressione e la libertà di stampa l’ambasciata non commenta la linea editoriale o le politiche di uno specifico media.”

Non so se l’attività della signora Botteri porta davvero danno, in termini di disaffezione, agli spettatori che seguono la Rai per tenersi informati. Mi vien da pensare, invece, che le sue azioni, estremizzate nei siparietti del noto comico Crozza, siano sicuramente motivi di gaudio per il traffico (leggasi potenziale pubblicità raccolta) del canale Discovery italia, che ha ingaggiato il menzionato comico.

Quanto sia importante un’informazione fact checked e il più possibile (la perfezione non esiste) legata a fonti attendibili lo possiamo osservare nel secondo caso storico.

Pochi giorni fa il mondo scopre che Assad ha bombardato con gas chimici (alcune testate parlano apertamente di armi chimiche) i ribelli e la popolazione civile. Il termine armi chimiche ovviamente ha un impatto mediatico molto elevato. La Russia e il governo di Damasco hanno subito smentito, spiegando che il bombardamento dell’aviazione siriana aveva come bersaglio un sito di ribelli terroristi che, a quanto appare in seguito, stavano processando armi chimiche (forse meglio sarebbe dire prodotti chimici, se ci pensate persino la candeggina che usiamo per disinfettare può essere tossica, ma nessuno la etichetta al supermercato come arma chimica).

Chi ha riportato velocemente che era colpa di Assad? I caschi bianchi e il molto poco attendibile Osservatorio per i diritti umani in Siria. Quindi, senza una preventiva serie di analisi sul campo dei resti delle bombe (per capire se sono ordigni esplosivi o per la dispersione di sostanze tossiche, la differenza di produzione può sussistere) accusare qualcuno è piuttosto azzardato. Sempre.

Come spiega Matteo Carnieletto, responsabile del sito Gli Occhi della Guerra: “Non sappiamo chi abbia usato il gas. Quel che è certo è che i giornali si sono affrettati ad incolpare Assad senza avere alcuna prova e affidandosi a fonti per lo meno ambigue, come ha ben spiegato Roberto Vivaldelli sul nostro sito. Accuse simili erano già state mosse contro Damasco nel 2013, dopo gli attacchi chimici nella Ghouta, che si scoprirono poi essere stati compiuti dai ribelli. È una costante della guerra, dal 2003 in poi, quando Colin Powell mentì a mezzo mondo dicendo che esistevano le armi di distruzione di massa in Iraq. Noi crediamo in un altro giornalismo, fatto di prudenza e di informazioni raccolte sul campo”. Si dirà, “vabbè in guerra, all’estero, mica facile fare fact check di notizie”.

Perché, all’inizio della mia osservazione, ho detto che i giornalisti sono morti (professionalmente parlando, si intende, non auguro nulla di male a livello umano)? Perché a mio avviso, un certo tipo di giornalisti (bene inteso non solo italiani, ma dato che siamo in Italia parliamo del nostro mondo), dovrebbero optare per professioni differenti.

Nell’era di internet (come ben evidenzia Crozza nel suo siparietto) le cose che succedono negli Stati Uniti si leggono anche “qui da noi”. Una notizia del Wall Street Journal la si può leggere nello stesso secondo in Italia e a New York.

Gli inviati di guerra ancora esistono, e data la sensibilità delle informazione che devono riportare, meglio che continuino ad esistere, ma sempre più spesso l’importanza del controllo (fact check) delle informazioni è vitale.

È vitale se sono un imprenditore e voglio investire in America. “Sento (molti imprenditori agiscono per “sentito dire”) che negli Stati Uniti il signor Trump odia il made in Italy (sto facendo un esempio, bene inteso) allora potrei pensare di non approfondire oltre se investire in America (pensiero medio ironizzato di un imprenditore italiano).”

È vitale se, come comune cittadino, alle prossime elezioni dovrò decidere di votare per un partito che ha una politica estera pro governo legittimo siriano (Assad) e russo (Putin), e sento dire che ha avuto luogo un bombardamento da parte dell’esercito regolare siriano che ha ucciso donne e bambini con il gas. Bombardare donne e bambini molto probabilmente mi spingerà a non dare il voto ad un partito italiano che supporta queste realtà colpevoli di tale atti, posto che tali atti abbiano avuto luogo e siano stati perpetrati da queste realtà.

È vitale sapere se il mondo delle startup sta veramente crescendo, perché, come padre, se mio figlio vuole fare lo startupparo, mi interessa capire se può avere un futuro (e se ci investo dei soldi, posso rivederli). E quindi un caso storico di successo, se scopro che non è cosi tanto di “successo” potrebbe rovinarmi la giornata.

È vitale, infine, se sono una testata media (giornali ma anche tv) che, in tempi di crisi, io possa essere sicuro che i miei lettori o telespettatori si fidino di me, che abbiano la chance di avere un’informazione corretta, a volta politicizzata va bene, ma pur sempre ancorata alla realtà.

Cito in chiusura le parole di Giovanna Botteri, in un collegamento di Rainews24, (di cui qui il link dal minuto 1.35) in merito a Trump ed elezioni. “Che cosa succederà a noi giornalisti alla stampa, non si è mai visto come in queste elezioni una stampa compatta e unita contro un candidato. (…) Cosa succederà quando… evidentemente la stampa non ha più forza e peso in questa società americana. Le cose scritte non hanno contato e non hanno influito su questo l’elettorato ha creduto a Trump. E non, come dice lo stesso miliardiario newyorkese, alla stampa bugiarda”.

Mi si conceda una piccola chiusa personale. Il 2 novembre ho scritto sul mio blog del Fatto perché Trump aveva vinto. Non sono un giornalista, mi sono limitato, da analista, ad analizzare i fatti. Io ho un idea di che cosa succederà ad un certo tipo di stampa “bugiarda (citazione di Trump via Botteri)” e voi?

Twitter @EnricoVerga