Il lavoro a progetto di Macron è la nuova frontiera della precarietà?

scritto da il 17 Ottobre 2017

L’autore di questo post è Silla Cellino. Consulente del lavoro, scrive su riviste specializzate professionali, sul suo blog ionis56.blogspot.com e su Pensalibero.it 

Sorpresa, in Francia spunta il contratto a progetto. Ma non è nemmeno parente dell’ormai dimenticato contratto a progetto previsto dall’elaborazione di Marco Biagi e poi più o meno attuato dal d.lgs. 276/2003 e soprattutto, forse meno che più, dalle successive modifiche.

Sgombriamo subito anche il campo con due parole sulle differenze, almeno rispetto all’ipotesi configurata nel Libro bianco, poi tradotta nel decreto legislativo, ma non, purtroppo, dopo anche nella pratica. Il lavoro a progetto di Biagi è essenzialmente un rapporto di lavoro leggero, caratterizzato dall’autonomia delle parti, con un committente e un commissionario. Potremmo anche, con gli occhi di oggi, pensare che riflettesse su tendenze abbastanza presenti alla fine del secolo scorso, per lo più di derivazione anglosassone, che puntavano a valorizzare un’autonoma creatività all’interno di un processo aziendale, su una certa spinta dei nuovi orizzonti telematici e forse, un po’, anche di Polanyi.

Il lavoro a progetto di Macron è invece in tutto e per tutto una nuova forma di lavoro dipendente, che prende le mosse da un preesistente tipo di contratto già codificato dalla legge e dalla prassi, il contratto di cantiere. L’esigenza infatti, nella fase recessiva trascorsa e ancora presente, è quella di difendere il lavoro comunque dipendente e trovare al suo interno i diversi gradi di compatibilità. Non a caso anche in Italia la tendenza è quella di favorire una maggiore articolazione, introducendo a determinate condizioni forme meno rigide, anche di lavoro agile, ma comunque sempre nell’alveo del lavoro dipendente.

Invece più interessante è verificare le caratteristiche di questo nuovo istituto francese e come s’inserisce nella filosofia complessiva della riforma Macron. Cominciamo dalle origini, dal già esistente contratto di cantiere, cioè un contratto a tempo indeterminato sui generis, nel senso che non indica la data del termine, ma che ha naturalmente un suo termine, che coincide con il compimento dei lavori per il quale è stato intrapreso.

Al momento il contratto di cantiere è in vigore esclusivamente nell’ambito delle costruzioni, settore in cui non è agevole per tutta una serie di motivi, anche imponderabili, prevedere il termine esatto dei lavori in un cantiere; non solo, ma può riguardare anche diverse figure professionali, dai tecnici agli operai. In realtà affermare che si tratti di un lavoro a tempo indeterminato è praticamente una finzione: sarebbe più corretto dire che il termine non è prefissato, però esiste ed è comunque certo che esista, salvo non intervengano mutamenti delle situazioni e degli accordi, per lo più a livello individuale e quindi soggettivo.

È utile anche prender nota che per i lavoratori che escono dal contratto di cantiere non è prevista quella sorta di indennità una tantum, che si chiama prime de précarité, premio di precarietà, pari al 10% del compenso lordo percepito durante tutta la durata del contratto, come invece è stabilito per chi esce da un contratto di lavoro a tempo determinato. Il trattamento di fine rapporto, invece, nel sistema francese non è previsto.

Da aggiungere anche che nella legislazione francese del lavoro, accanto all’istituto del contratto di cantiere ed alla possibilità di lavoro somministrato, esiste già da qualche anno un‘altra tipologia di contratto, che per la verità non ha riscontrato particolare successo; anche da questa teoricamente può aver preso le mosse l’attuale espletazione del contratto a progetto. Si tratta del cosiddetto contratto di missione temporanea che è, sempre per definizione, a tempo indeterminato, però concordato, con un limite minimo di diciotto mesi e massimo di trentasei, riservato a tecnici e quadri per delle missioni precise.

Queste due figure contrattuali sono state fortemente avversate da parte sindacale e non c’è ragione di ritenere che diversamente avvenga per il nuovo contratto a progetto, che altro non è che un’estensione verso altri settori, diversi dalle costruzioni, del contratto di cantiere, recante in sé anche le caratteristiche, specie dal punto di vista temporale, tipiche del contratto di missione temporanea.

La legge condiziona l’esecuzione del contratto a progetto alla definizione di accordi di settore, però non individua i settori verso cui avverrà l’estensione, né è prevedibile se possa individuarli in seguito, ma non è difficile pensare che la tendenza sarà diretta per una parte considerevole verso le componenti informatiche degli attuali lavori, magari in sostituzione e con maggiori garanzie, dell’attuale e troppo abusato impiego dei free-lance; non si può però escludere anche una più ampia estensione dell’uso di tale strumento per altre evenienze legate a lavori temporanei, particolarmente nel mondo delle commesse. Sarà interessante poi verificare se l’applicazione sarà rigorosa e quindi condotta entro i confini previsti, oppure si presenteranno forzature e interpretazioni anomale, come in gran parte è avvenuto per il nostro contratto a progetto.

Al momento c’è solo da rilevare che si tratta comunque di un lavoro dipendente, la cui natura non può essere elusa e semmai l’elasticità interpretativa può presentarsi soltanto per quanto riguarda la durata. Non è un caso peraltro che il nocciolo duro delle critiche sindacali e da sinistra metta l’accento sui rischi della precarietà in maggior misura che non su quelli dell’elusione.

Quest’ultima circostanza non deve sorprendere, perché fa parte di tutta la critica complessiva alla riforma Macron, come accadde, anche in misura maggiore, nei confronti delle precedenti disposizioni elaborate sotto la presidenza Hollande. Però è un fatto che è l’intera direzione della riforma a portare verso il basso l’epicentro delle decisioni, mettendo l’accento sul sistema territoriale rispetto alle scelte delle centrali nazionali, il che rende in qualche modo scontato il niet di CGT, mentre le altre organizzazioni sindacali restano più possibiliste.

Per concludere, ragionando in un ambito comparato, dove si mescolano ineluttabilmente diritto e politica, siamo in presenza, in Francia ed in Italia, di approcci al problema che non hanno la stessa natura e la stessa origine, anche perché si parte da condizioni di base e cultura generale del lavoro che in certi casi possono presentare analogie, ma in tanti altri profonde divaricazioni.

Perciò, se è vero che Macron ha più volte affermato di volersi ispirare al Jobs Act del governo Renzi, non è altrettanto vero che la sua riforma sia da mettere sullo stesso piano di quanto attuato o ancora da attuare e completare in Italia. Limitandoci peraltro al solo caso del contratto a progetto in questione, le differenze di tendenza, ma soprattutto le conclusioni pratiche appaiono abbastanza evidenti.

Abbiamo infatti da una parte, in Italia, una situazione in cui, anche sotto la spinta di malintese ragioni sindacali, sono state disconosciute le ragioni di un lavoro, come quello a progetto, che poteva rappresentare, se correttamente inteso ed attuato, un utile accompagnamento, anche creativo, alle necessità dell’imprenditore. Invece la riforma francese, che pare attenta alla dimensione decentrata, presenta una sua interpretazione del contratto a progetto vista ancora nell’ottica del lavoro dipendente e delle necessarie tutele, però incentrata su un rapporto tra lavoro ed obiettivi che la stessa natura di lavoro dipendente rende più stretto e, negli auspici, più efficace.

Considerando anche come sia difficile definire la progettualità e renderla compatibile in toto con uno status di lavoro dipendente e perciò di subordinazione, la maggior parte dei commentatori d’Oltralpe nutre un certo scetticismo su un esito positivo di questo capitolo della riforma, ma anche sulla possibilità di una sua buona accoglienza nelle parti interessate, a meno che non abbia buon esito la scommessa generale dell’intera riforma, che è quello di spostare e articolare le relazioni industriali prevalentemente sul territorio.

Twitter @sillacellino