Il turismo di massa è una piaga? Ecco come trasformarlo in opportunità

scritto da il 20 Maggio 2019

L’autrice del post è Mara Manente, direttrice del Ciset, Centro internazionale di studi dell’economia del turismo. Manente ha una formazione economica ed oltre 25 anni di esperienza in ricerca e consulenza sulla macro economia turistica. È consigliere delle massime istituzioni nazionali e internazionali che si occupano di economia del turismo a partire dallo steering committee dell’UNWTO, passando per l’Unione Europea, Eurostat e ISTAT –

L’anno scorso è stata quasi di 42 miliardi di euro (per l’esattezza 41,7) la spesa che i visitatori internazionali (vacanzieri e viaggiatori per lavoro) hanno lasciato in Italia. Si tratta di 2,6 miliardi di euro in più rispetto al 2017 (erano 39,1 miliardi). Se però consideriamo gli effetti indiretti e indotti, il valore aggiunto si avvicina ai 44 miliardi di euro. Numeri importanti, resi noti nei giorni scorsi a Treviso da Banca d’Italia e da Ciset, il Centro internazionale di economia del turismo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Per capire meglio il valore economico del comparto turistico in Italia, proviamo a tradurlo in percentuali. L’incremento di ricchezza prodotta nel 2018 è pari al +5,7% reale, contro un aumento del PIL italiano di +0,85% e il 3% dell’export. Significa che vendiamo all’estero bellezza, cultura, patrimonio artistico, secoli di storia e di monumenti, ma anche servizi, innovazione e accoglienza. A conferma di ciò, due terzi della spesa è concentrata in sole 5 regioni che non per forza ospitano il maggior numero di siti Unesco. In testa c’è la Lombardia, seguita da Lazio, Veneto, Toscana e Campania.

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Fonte: Banca d’Italia

Analizzando i dati prodotti da Banca d’Italia, emerge chiaramente che il turismo culturale tradizionale mantiene il suo ruolo economico consolidato, assestandosi intorno ai 15,7 miliardi di euro. Vuol dire che oltre un terzo della spesa turistica straniera proviene dalle aree culturali (città d’arte e siti archeologici in primis) che continuano a catalizzare i flussi turistici, con tutto ciò che ne consegue. E qui sorge il tema dell’overtourism (termine che esprime la declinazione più negativa del turismo di massa, ndr), che sta interessando molte località italiane, e non solo i centri storici.

Come ha rivelato Istat, alcuni comuni italiani sono prevalentemente meta di una clientela straniera, registrando quote di presenze (sul totale dei residenti) superiori al 66% come le grandi città turistiche italiane (Roma, Venezia, Firenze), l’area del lago di Garda, Maggiore e di Como, il Chianti, le Langhe, l’area etnea-Taormina-Giardini Naxos, la penisola sorrentina-amalfitana e alcune zone della Sardegna.

Nel 2018 share prime 5 province = 46,4% (46,7% nel 2017)

Nel 2018 share prime 5 province = 46,4% (46,7% nel 2017)

Fonte: Banca d’Italia

Ne consegue che in determinati comuni demograficamente più piccoli, il turismo – anche se in valori assoluti appare più modesto – esercita in proporzione un rilevante impatto sul contesto locale dal punto di vista logistico e ambientale.

E veniamo al cuore della questione. Come tradurre queste “concentrazioni” in opportunità di crescita economica per il territorio, limitando gli svantaggi della congestione? Ciascuna delle aree evidenziate dai dati Istat è in realtà al centro di un regione più ampia, altrettanto ricca di fattori di attrazione e di opportunità di visita, ma il più delle volte poco nota ai turisti e poco comunicata dagli operatori stessi. La diversificazione dell’offerta e l’integrazione attrazioni-territorio, mediante itinerari da proporre a turisti curiosi di approfondire e “fare esperienza” al di là delle mete consolidate, rappresenta una delle strategie più importanti per affrontare i rischi dell’overtourism e sfruttare i vantaggi che comunque derivano dall’altissimo potenziale competitivo di tali destinazioni.

A tal proposito, i dati di Banca d’Italia evidenziano la vacanza “enogastronomica, verde e attiva”, che più correttamente il Ciset ha definito “del paesaggio culturale”, come uno dei target più dinamici e interessanti per le destinazioni che intendono intervenire per una efficace gestione e differenziazione della domanda e dunque puntare su un turismo sostenibile e responsabile.

schermata-2019-05-20-alle-13-15-57Nel 2018 i turisti internazionali attratti da questa modalità di visita hanno speso quasi 2 miliardi di euro, con una crescita a due cifre rispetto all’anno precedente e una spesa procapite giornaliera decisamente superiore alla media in molte destinazioni italiane. L’interesse per questo target di clienti sta nel fatto che la loro motivazione di base non è ravvisabile in singoli attrattori, quanto piuttosto nell’insieme di caratteristiche ambientali, socioeconomiche, culturali, che identificano e distinguono un luogo.

È un turismo che sceglie e crea circuiti, itinerari o forme di turismo hub cui si affiancano nicchie di mercato come l’enogastronomia, il cicloturismo, il turismo della navigazione fluviale, l’ippoturismo. È alta la sensibilità per i temi della sostenibilità e dell’autenticità e per le forme di offerta e i servizi che dimostrano impegno in questo senso. Preferisce soluzioni di viaggio e di permanenza con caratteri di tipicità che rispecchiano l’identità e lo spirito del luogo.

Infine, il “paniere di spesa”, mediamente più differenziato rispetto alla media, ben rappresenta questa attitudine. Infatti, le componenti riferite alla ristorazione e agli acquisti, spesso di prodotti tipici artigianali e enogastronomici locali, sono molto significative e rappresentano rispettivamente il 25% e il 15% della spesa complessiva; caratteristica che garantisce un capillare coinvolgimento del tessuto produttivo locale diffondendone nel contempo reputazione, valore e tradizioni.

Twitter @manente03