Il nuovo conflitto di interessi che tiene in scacco il Paese

scritto da il 21 Maggio 2019

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Il tema del “conflitto di interessi” è stato al centro del dibattito politico sino a qualche anno fa, intendendo come tale la commistione di potere politico e interessi economici, individuati in un’unica persona (principale leader politico e maggiore imprenditore del paese). Al giorno d’oggi, tuttavia, ci sono altri tipi di “interessi”, in “conflitto” tra loro perché bipartisan, che si stanno letteralmente mangiando il Paese: gli interessi moratori. La cosa grave è che questi interessi si sviluppano in una duplice direzione: da un lato, gli interessi che maturano a carico delle imprese che non riescono a pagare le imposte a causa dei ritardi nei pagamenti delle Pubbliche amministrazioni; dall’altro, gli interessi che maturano a carico delle stesse Pubbliche amministrazioni, che pagano con ritardo le fatture delle imprese. Il classico cane che si morde la coda.

In questo senso, possiamo dire, che esiste ad oggi un altro (e più dannoso) “conflitto di interessi” su cui sarebbe interessante riflettere e concentrarsi in maniera seria.

Se gli interessi che le imprese devono pagare per i ritardi nel versamento delle imposte sono cosa nota a tutti, è meno evidente ai più, invece, la situazione opposta.

Proviamo brevemente a spiegare il contesto. Un’impresa creditrice ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori sull’importo dovuto, senza che sia necessaria la costituzione in mora del debitore: l’automatismo di applicazione degli interessi moratori in caso di ritardo nei pagamenti opera in modo generalizzato dal 1° gennaio 2013 (data di entrata in vigore della modifica apportata al D.L. 231/2002 dal D.Lgs. 192/2012) e non soltanto nel caso in cui il termine di pagamento non sia stabilito nel contratto.

In altri termini, a decorrere dal gennaio 2013 (ma la prima norma era già stata introdotta dal DL 231/2002) i ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni sono puniti “in automatico” con l’aggravio di interessi moratori, che decorrono dalla scadenza del termine per il pagamento di ogni singola fattura.

Ciò determina un aggravio per le casse dello Stato stimabile in circa 2 miliardi di euro all’anno. Due miliardi. Il dato viene da uno studio condotto dall’Osservatorio di Officine Cst, una società romana che si occupa della gestione di crediti deteriorati, e prende a base i numeri forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sulle fatture della PA in sospeso.

L’unica “salvezza” per le casse dello Stato è che la maggior parte degli imprenditori non richiede alle amministrazioni questi interessi di mora, per due ragioni: la prima è che in molti non lo sanno neppure; la seconda è per non deteriorare i rapporti con l’amministrazione stessa.

La situazione, tuttavia, è paradossale. La catena che si annoda attorno al collo dell’imprenditore (gli interessi e le sanzioni sulle imposte pagate in ritardo) è la stessa catena che attanaglia le amministrazioni pubbliche che pagano in ritardo le fatture.

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La pubblica amministrazione impiega mediamente 100 giorni per il pagamento di una fattura ad un fornitore. E questo dato tiene conto della media, il che vuol dire che in taluni casi i ritardi sono molto più ampi. La normativa europea, invece, stabilisce un limite di 30 giorni, prorogabili a massimo 60 (per motivate circostanze “eccezionali”), termine entro il quale l’impresa che ha emesso la fattura dovrebbe ricevere il pagamento. Proprio a fine dicembre, la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Europea, per il sistematico “ritardo con cui le amministrazioni pubbliche italiane effettuano i pagamenti nelle transazioni commerciali”.

Per renderci un po’ conto delle dimensioni del problema, basti pensare che alla fine dell’anno 2016, secondo le stime di Bankitalia, i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei privati fornitori ammontava a circa 64 miliardi di Euro. Mentre secondo una stima di Confartigianato, sono il 62% gli enti pubblici che ritardano nei pagamenti delle fatture.

Una situazione che non soltanto danneggia le imprese coinvolte, i lavoratori e l’intera filiera, ma anche l’economia intera, per effetto delle sanzioni europee a cui siamo sottoposti.

D’altronde, per uno Stato che si fa aspettare, invocando pazienza, la stessa pazienza non si riscontra quando è quel medesimo Stato a chiedere le imposte e i contributi previdenziali alle imprese che, se non pagano, sono soggette a sanzioni, interessi, misure coattive di recupero del credito e chi più ne ha più ne metta.

È auspicabile che il direttivo si occupi della problematica in maniera seria. Ad esempio, se il problema sono materialmente le “risorse”, si potrebbe facilitare un sistema di compensazione tra i crediti nei confronti della pubblica amministrazione e i debiti tributari o previdenziali. Sarebbe un primo passo importante, considerando che il pagamento delle imposte e dei contributi farebbe risparmiare alle imprese le sanzioni e gli interessi, alleggerendo al contempo anche l’attività di recupero coattivo (nonché i contenziosi) che sono a carico dello Stato.

Peraltro, la facilitazione non riguarderebbe solo l’imprenditore, che potrebbe estinguere le proprie pendenze compensando, ma anche le amministrazioni stesse, che potrebbero ottemperare alle proprie obbligazioni senza ritardo e, quindi, senza aggravio di interessi.

Si è del parere che un intervento serio e lungimirante su tale questione, possa rappresentare quella molla in grado di impartire un input decisivo all’economia del Paese, con ricadute importanti in termini occupazionali, sui consumi e sul benessere di tutti.