La mortalità infantile e il dibattito che manca sull’autonomia differenziata

scritto da il 28 Maggio 2019

In un recente studio pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics, Silvia Simeoni, Luisa Frova e Mario De Curtis hanno analizzato il problema delle diseguaglianze di mortalità infantile in Italia. Si tratta di un indicatore spesso utilizzato come parametro per valutare l’efficacia di un sistema sanitario.

Come noto, l’Italia ha uno dei tassi più bassi al mondo di mortalità infantile (tre morti su mille). Ma all’interno del territorio sussistono diverse disparità. Gli autori si focalizzano sulle differenze tra italiani ed immigrati, nonché sulle disparità geografiche.

Nel periodo considerato (2006-2015), la mortalità infantile è scesa, ma il gap tra italiani e immigrati è rimasto molto ampio. Analizzando i sub-gruppi di immigrati, sono quelli provenienti dal Centro e dal Sud Africa ad avere i tassi di mortalità maggiori (superiori agli otto per mille). Nel 2015, i bambini immigrati presentano un rischio di morte superiore del 70% rispetto ai coetanei italiani.

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Il secondo risultato analizzato dagli autori riguarda le disuguaglianze tra le macro-aree italiane. Queste sono pronunciate sia in termini di mortalità neonatale (entro i ventotto giorni dalla nascita)…

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…sia di mortalità infantile (entro un anno dalla nascita).

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In pratica, un neonato del Sud ha il 40% di possibilità in più di morire rispetto ad uno del Nord.

Questi dati sicuramente riflettono la storia economica e sociale del Paese unificato. Tuttavia, non possiamo esimerci dal rivelare anche un problema istituzionale. Tra le competenze riservate allo Stato, l’articolo 117, lettera m), prevede la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni [LEP] concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Nel caso della sanità, occorre garantire anche i livelli essenziali di assistenza (LEA).

Ecco la valutazione dei LEA nell’anno 2017, che mostra le ampie differenze regionali sussistenti.

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La situazione, come già evidenziato in questo precedente post, si intreccia con il dibattito relativo all’autonomia differenziata. La sanità, infatti, rappresenta un esempio di autonomia regionale inefficiente nel suo complesso, che provoca gravi squilibri.

Sono molte le Regioni ancora carenti sotto molti punti di vista, non solo nel campo della sanità. Chiaramente ciò è dovuto in primo luogo alle differenze in termini di efficienza degli amministratori locali. Ma non vi è alcun motivo per ritenere che a maggiori autonomie possano corrispondere maggiori efficienze regionali. Quello che preoccupa, quindi, riguarda le capacità dello Stato di supplire in via sussidiaria alle carenze locali per garantire i diritti costituzionali su tutto il territorio.

Se non si coglierà l’occasione per pensare ad un ammodernamento istituzionale di cui la Repubblica necessita, facendo tesoro degli errori del passato, l’autonomia differenziata rischierà solo di allargare i divari esistenti.

Un dibattito assente o fortemente insufficiente, su un tema particolarmente importante.

Twitter @frabruno88