Piazze, scuole e parchi servono davvero a rilanciare l’economia locale?

scritto da il 29 Maggio 2019
L’autore del post è Federico Loreti, studente di economia politica (MSc) presso la London School of Economics and Political Science (LSE), già laureato in economia aziendale e management a ESCP. Scrive per Neos Magazine – 

Politica valutata: progetti di riqualificazione e rigenerazione urbana in città di piccole e medie dimensioni (dai diecimila ai cinquantamila abitanti) del Centro-Nord durante il periodo 2008-2012.

Obiettivo: Migliorare le condizioni fisiche e socio-economiche delle realtà urbane aumentando la qualità media delle abitazioni private e riqualificando spazi e servizi di pubblico interesse, per favorire lo sviluppo locale e contrastare la povertà e l’esclusione sociale.

Effetto: L’impatto sugli indici economici e socio-economici territoriali (reddito e occupazione, esclusione sociale, disuguaglianza, crimine) rimane estremamente limitato, ad eccezione di interventi su larga scala su strade, piazze, parchi e spazi di aggregazione.

Uno degli ultimi temi di discussione pubblicato dalla Banca d’Italia (Albanese, Ciani, De Blasio; 2019) offre spunti interessanti sia dal punto di vista teorico sia empirico per riflettere su temi legati all’economia urbana e alla geografia economica. La traiettoria dello sviluppo economico dei paesi occidentali, con i loro processi di de-industrializzazione, tende infatti a concentrare porzioni sempre più importanti dell’economia sulle metropoli, a discapito dei piccoli e medi centri urbani. In Italia il fenomeno dello svuotamento delle piccole città, sebbene da inserire nel più ampio quadro di declino demografico a livello nazionale e certamente aggravatosi con la crisi economica, è stato spesso combattuto negli ultimi decenni con interventi di urbanistica seguendo le linee guida comunitarie. I risvolti economici tuttavia non sono sempre stati evidenti.

Lo studio in questione prende in esame ventisei comuni in cinque diverse regioni (Lazio, Liguria, Piemonte, Toscana e Umbria), dai centri urbani con meno di ventimila abitanti, come Amelia, Todi o Umbertide in Umbria, fino a cittadine con circa cinquantamila residenti, come Frosinone e Vercelli. Il periodo considerato è quello tra il 2008 e il 2012, corrispondente al quarto periodo di programmazione delle politiche di coesione territoriale della Commissione Europea (Interreg IV), che nel nostro paese sono gestite dalle regioni. La maggior parte degli interventi aveva come scopo l’ammodernamento di spazi pubblici, mentre molti altri si prefiggevano l’obiettivo di stimolare la crescita a livello locale attraverso politiche attive del lavoro (es. programmi di sviluppo di competenze specifiche) e sussidi e crediti d’imposta a piccole e medie imprese del territorio. L’investimento medio destinato alla rigenerazione urbana in questo gruppo di piccole città ammonta a otto milioni, perlopiù provenienti dal Fondo europeo di sviluppo regionale, integrati da altre risorse di origine pubblica e privata.

Confrontando la performance dei suddetti progetti di riqualificazione con un ampio gruppo di più di seicento città di simile grandezza e della stessa area (Centro-Nord) che non hanno però messo in atto politiche di questo tipo, il gruppo di ricercatori della Banca d’Italia ne stima l’effetto dal punto di vista economico. Analizzando diverse variabili quali la popolazione, la percentuale di stranieri residenti, i prezzi degli immobili, la disuguaglianza dei redditi, il numero di poli industriali e l’andamento dell’occupazione, l’analisi empirica rivela così solo un debole impatto positivo sul prezzo del mattone nei quartieri interessati, e solo per programmi con finanziamenti superiori alla media che miravano soprattutto alla riqualificazione architettonica di spazi pubblici e non tanto a dare una spinta diretta allo sviluppo. Il più ampio effetto sull’economia del territorio, che sicuramente gli amministratori locali speravano, è invece quasi o del tutto nullo, giacché non si riscontrano effetti consistenti su reddito e sul livello di occupazione, perlomeno nel periodo considerato.

Sembra strano riscontrare un effetto sostanzialmente nullo dal punto di vista strettamente economico per politiche territoriali pensate per migliorare la qualità della vita dei residenti, obiettivo che dovrebbe essere considerato di per sé sempre nobile. Ed in effetti questa ricerca ha come limite quello di non considerare un insieme di variabili di più ampio respiro, come ad esempio il numero di spazi verdi o centri culturali e ricreativi per abitante, fattori su cui invece i programmi di rigenerazione urbana in esame hanno spesso insistito. A Fondi (Lazio), le risorse disponibili sono state indirizzate alla costruzione di un nuovo centro sportivo e di una nuova scuola pubblica. A Biella (Piemonte), è sorta una nuova biblioteca e i musei cittadini sono stati ammodernati. E certamente si potrebbero citare altri casi simili.

Perché allora, nonostante il virtuosismo di questi interventi, l’economia del territorio sembra essere rimasta ferma? Gli autori dello studio specificano che il caveat più importante rimane quello del periodo considerato. Il focus della ricerca è infatti sul breve e medio periodo, mentre alcuni effetti di spillover di questi interventi pubblici potrebbero verificarsi solo a distanza di parecchi anni. I modelli economici, infatti, vorrebbero che i centri con una migliore offerta di servizi e spazi pubblici attraggano anche più residenti. Tuttavia, è possibile che nel breve periodo non sia fattibile osservare questo fenomeno poiché l’offerta abitativa rimane pressoché invariata e gli effetti della rigenerazione urbana vengono assorbiti in equilibrio solo dall’aumento dei prezzi delle case, che a sua volta frena la mobilità tra una città e l’altra.

In conclusione, l’impatto di lungo termine di progetti di rigenerazione urbana sull’economia a livello locale si manifesta attraverso diversi canali, e ulteriori ricerche saranno necessarie per stime economiche più approfondite. Quello che è certo è che nel breve periodo servirebbero investimenti molto più elevati di quelli in oggetto per riscontrare effetti immediati su reddito e occupazione del territorio. Il suggerimento quindi per i policy makers potrebbe essere quello di concentrare le risorse finanziarie disponibili per dare vita a opere di rigenerazione urbanistico-architettonica di spazi pubblici di più ampio respiro, anziché disperdere i fondi su tentativi a pioggia pensati per risollevare solamente porzioni dell’economia locale. È anche vero però che aldilà dei risvolti economici più o meno quantificabili, ogni intervento, anche se di ridotte dimensioni, che mira a creare o rinnovare spazi pubblici e di aggregazione cittadina va certamente incoraggiato, specialmente nei piccoli centri. Lo dobbiamo a chi vive quotidianamente il territorio e ancora di più ai più giovani che scelgono di restare.