Esiste una bolla degli influencer? Chi e quando li spazzerà via?

scritto da il 06 Settembre 2019

La risposta secca è . Tuttavia il tema è piuttosto complesso. Ho impiegato un anno per mettere insieme dati, contributori e sistemare il tutto perché fosse chiaro, senza fare allarmismi ma tenendo ben piantati i piedi a terra. Prima di tutto alcune parole, e relative definizioni semplici, che userò.

Cosa è una bolla ?

La definisco quello scenario dove esiste una crescente domanda (di beni o servizi) a cui l’offerta non riesce a tenere testa. Di qui derivano due fenomeni (tra di loro relazionati ma non sempre presenti in egual misura nella bolla): crescita dei costi dei beni o servizi offerti, crescita di offerta prodotti o servizi di minor qualità rispetto alla domanda ma che, con le opportune manipolazioni fisiche o virtuali, possono essere fatti accettare dal mercato e quindi venduti per soddisfare la domanda. Nel primo caso ricordiamo la bolla dei bulbi di tulipano (non si potevano avere simil bulbi di tulipani, al massimo una qualità peggiore). Nel secondo caso la bolla del debito americano: quando le banche finirono di vendere debiti/mutui “buoni” misero dentro nei loro prodotti mutui scarsi, roba indigeribile e impagabile (intendo mutui di gente che non avrebbe dovuto aver diritto ad avere un mutuo). Per un esempio su questa bolla suggerisco il bel video con una Margot Robbin immersa nella schiuma (guardatelo che fa crescere il business). In entrambi i casi il resto è storia. Nel bene o nel male prima o poi le bolle scoppiano… 

Chi sono gli influencer?

Persone che influenzano la nostra percezione in merito ad un oggetto, un servizio, un tema o un intero scenario. Nella storia ne abbiamo avuto di ogni tipo: religiosi (“andiamo a liberare il Santo sepolcro Lallero Lallà”), politici (“la religione è l’oppio dei popoli”), capitani d’industria (“siate affamati siate pirla”), deejay, giornalisti, oggi abbiamo gli influencer “digitali” che usano piattaforme sociali. Rimanendo nel mondo occidentale le piattaforme più utilizzate sono Instagram, Youtube, seguite a stretto giro da Facebook, Twitter e per i più professionali Linkedin.

Vi sarebbero anche altre piattaforme nel mondo dei video come Snapchat o Twitch per i giocatori, ma, per comodità, fermiamoci alle prime citate, le più comuni. In scia al fenomeno degli influencer (specialmente quelli digitali) è nata un’industria chiamata influencer marketing. Di fatto agenzie, centri media o anche singoli influencer che si sono strutturati (il caso Ferragnez, crasi di Ferragni + Fedez, che hanno un loro staff, per intenderci) per vendere i servizi degli influencer.

Per discutere con competenza di bolla degli influencer ho voluto chiedere aiuto a validi rappresentanti ed esperti sul tema.

Linus è beh… che ve lo dico a fare: lui corre, lo dice in radio, 1 milione di italiani iniziano a correre. Va in bici, 1 milione di italiani vanno in bici. È un influencer per definizione.

Aranzulla è un Linus della tecnologia. Il suo sito è uno dei più letti in Italia e uno dei primi (se non il primo) per quel che concerne la tecnologia.

Matteo Flora è un hacker. Ma di quelli buoni. E’ un Men in Black all’italiana che combatte i cattivi digitali e dirige una società, the Fool, che “controlla” e “verifica” i profili degli Influencer.

Paolo Confortini gestisce una delle 7Hype, una tra le società più attive nel marketing automation in Italia. In soldoni ti rende monetizzabile la presenza sui social senza mantenerti dipendente da essi.

Instagram, per tramite di un suo portavoce.

Gianluca Perrelli, Country Manager e Amministratore di Buzzoole Italia, azienda che permette di gestire, automatizzare e misurare le performance delle campagne di Influencer Marketing.

Ultimo ma non meno interessante Roberto Mancinelli. Lui contribuisce a scovare un tipo solo di influencer, gli autori e i cantanti: una delle antiche tipologie di influencer.

Ora partiamo dal concetto di Bolla. Come la vedono i miei ospiti?

“L’influencer marketing è sempre esistito e probabilmente esisterà sempre.” Spiega Gianluca Perrelli. “È studiato fin dagli anni ’50. Oggi siamo di fronte ad un fenomeno nuovo e ancora largamente inesplorato, con elementi di forte discontinuità rispetto al passato: da un lato l’innovazione tecnologica, che ha consentito di aumentare la portata dell’influenza sociale e di misurarne i risultati; dall’altro l’evoluzione dei processi di acquisto, dove la dimensione della scelta non è più solo il risultato di esperienze ed interazioni personali, ma è diventata sociale, influenzata cioè da propri pari o influencer, che sono oggi i veri connettori tra le marche e le persone.”

E sul concetto di approssimativo ci arriva anche Flora che, con la sua azienda, ha la possibilità di monitorare cosa succede (e sgamare chi fa l’influencer “fuffa”). “Sì, la bolla c’è”, mi conferma Matteo, “principalmente perché alcuni influencer vengono percepiti come la manna dal cielo. Con il crollo di ritorno dell’investimento (d’ora in poi ROI ,Nds) dalla Tv si può pensare che il 2019 sia l’anno dell’influencer marketing. I budget continuano a spostarsi verso questo settore, vogliamo cose fatte da persone di cui ci fidiamo. È una bolla che non scoppia. Il problema è che viene usata per la qualunque. Un poco come i portali internet nel 2000: se non lo avevi non eri nessuno. Le grandi aziende hanno compreso che si deve basare la propria azione e investimento sui dati: senza un approccio data driven (guidato dai dati, Nds) si rischia di brutto.”

Sul tema conviene anche Confortini. “C’è da considerare che l’attuale fenomeno dell’influencer marketing è totalmente basato su piattaforme terze. Di fatto esiste una bolla dal momento che tutti questi influencer, o una maggioranza, potrebbero essere spazzati via o ridimensionati dall’oggi al domani dai gestori di piattaforme quali Google (che possiede Youtube) oppure Facebook (che possiede Instagram)”.

Sullo stesso concetto di piattaforme terze mi atterra anche Aranzulla che spiega che “molti influencer sono su piattaforme terze, non hanno una vera popolazione, io, con il mio sito, so chi viene a visitarmi, con chi dialogo e chi ingaggio. Nutro dei dubbi che i grandi influencer che usano Instagram, pur se parliamo di numeri maggiori dei miei, abbiano la stessa intelligence che posseggo io o chiunque usi un suo sito come landing page.”

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Ma come si può distinguere l’influencer “buono” dall’influencer “fuffa” e gonfiato con finti follower?

Qui si deve chiamare in campo il re degli influencer, prima che tutto esistesse lui c’era e c’è anche oggi: Linus. Da decenni saldo alle redini di Radio Deejay. La sua vita distillata minuto per minuto live ogni giorno. In pratica dopo il Monolito (2001 Odissea nello spazio) si è palesato lui e da allora esiste perenne nella scena degli influencer.

“È troppo facile affidarsi ai numeri”, accusa Linus, “i numeri non sono spesso cosi sinceri. Io credo che chi abbia numeri gonfiati sia facile da sgamare. Ho la sensazione che molti investitori si facciano fuorviare da visioni o ambizioni personali. Ci sono investitori che vorrebbero essere influencer o protagonisti e quindi si tengono vicini degli influencer. Un po’ come dire il direttore marketing che gli piace Fedez, allora lo assume perché vorrebbe essere come lui: lo stile di vita, il modo di fare, i soldi etc. Tu pensi che comprare 5 influencer da 100.000 followers a testa valga come uno da 500.000; forse sì forse no. Ci sono modi di verificare. Si deve esserne consapevoli. Io credo che un cliente attento possa andare a pescare in quel mondo ed evitare di buttare via i soldi e abbinarsi a personaggi che invece di portarti i soldi te lo tolgono”.

Restando nel mondo musicale arriva Roberto Mancinelli, former A&R Director di SonyAtv e attuale Ceo di Imean Music & Management lui, di fatto, crea autori di canzoni e cantanti. “Gli influencer musicali hanno più appeal. C’è un’attinenza tra messaggio e personaggio: scegli di seguire Vasco Rossi, ne sposi i testi, lo stesso dicasi per Fedez. Il messaggio di Fedez sono testi: il rap attuale ha lo stesso impatto dei cantautori degli anni 70. Se sei Vasco hai un messaggio che condividi. Se su Instagram hai 2 milioni di follower che ti seguono. Bene, anche per quello che dici sarai seguito. L’estetica della tua persona di cantante si lega a quello che dici. L’estetica visiva di un Vasco che si mette Gucci è più ingaggiante (dall’inglese engagement, Nds) perché è un completamento visivo.”

Se il comparto musicale ha le idee chiare serve chiamare in aiuto anche i tecnici.

Comincia Flora e spara pesante.“Dal 10 al 20% dei followers son falsi e non parlo solo di followers comprati. Per esempio buona parte dei bot italiani politici seguivano Grillo. È naturale che vi sia una parte organica di bot in ogni gruppo di follower di profili importanti. Si deve capire il processo di creazione dei bot per comprendere la natura dei fake follower (bot, appunto). Quando si crea un bot si automatizza una serie di processi in modo che possa apparire un utente in carne ed ossa. Se, per esempio, voglio un bot di moda egli andrà a seguire, per sembrare umano, una serie di profili di moda che la piattaforma sociale (poniamo Instagram) gli suggerisce. Ovvio quindi che un profilo come Ferragni possa attirare suggerimenti da parte della piattaforma e conseguenza un numero variabile di bot (si stima che oltre il 30% dei follower di Ferragni siano bot/fake come riporta questa analisi del Rolling Stone, Nds). Un modo molto semplice, per un marketing manager che deve valutare un profilo se sia o meno valido come influencer (pur avendo tanti like, commenti e follower), è osservare chi sono i suoi ingaggi e follower: se sei un influencer italiano e ti prendi traffico fatto solo di stranieri qualche dubbio può sorgere. C’è poi da aggiungere che molto spesso i fake follower sono indonesiani. La ragione è insita nel sistema nazionale in cui non è attivo la verifica del numero di cellulare per il social”.

In scia arriva Confortini con una posizione simile. “Il problema dell’affidabilità di un profilo è serio. Di recente, per esempio, Instagram ha cominciato a testare una soluzione che nasconde i like agli utenti. In pratica solo l’influencer può vederli. Se consideriamo che, in media, ad ogni like corrisponde il 10% o meno di ingaggi (commenti o condivisioni) si capisce presto come il rischio di questo nuovo passaggio di Instagram sia serio per molti influencer. C’è poi da considerare il tema principale che, mi pare, si tenda a non discutere in pieno. Ogni influencer usa una piattaforma di terzi. Io sarei curioso di vedere quanti dei milioni di follower che ha la signora Ferragni sono profilati da lei, tracciabili e ingaggiabili al di fuori di Instagram. È un tema serio che il marketing automation, settore in cui opero, mira a risolvere: usare le piattaforme come territorio di caccia ma non diventarne schiavi.”

Sul tema Fake Followers / Bot anche Instagram dice la sua per tramite di un suo portavoce “Un esempio concreto è dato dalle policy di Instagram nei riguardi di interazioni e account falsi. 1 L’acquisto di falsi follower e altri tipi di attività automatizzate sono contro le nostre linee guida della comunità. 2 Ogni giorno rimuoviamo da Instagram milioni di account fake, non autentici o generati automaticamente. Abbiamo un team dedicato, costituito da circa 30.000 persone, che lavora sulla sicurezza – e abbiamo sviluppato una tecnologia che ci aiuta a identificare questi tipi di account e rimuoverli su vasta scala. 3 Oltre alle misure di carattere tecnico, applichiamo quanto prevede la legge contro i servizi che violano i nostri termini di utilizzo. Di recente abbiamo intrapreso azioni contro i bot che creano like non autentici e continueremo a combattere gli abusi sulla nostra piattaforma. Abbiamo anche chiuso un popolare strumento automatizzato che ha permesso agli utenti di Instagram di far crescere il proprio account generando automaticamente commenti falsi, like e follow.”

Estinzione di influencer e piattaforme terze. Che dire?

La parola a Linus: “Uso Instagram da un pajo di anni, è più light: lo uso con prudenza stando lontano da temi caldi come calcio e politica. Per comprendere la mia scelta basta far mente locale alla bagarre nata sui social in merito ad un mio presunto supporto alla rivista Rolling Stones (mai dato supporto e autorizzazione a usare il mio nome) per una campagna politica paracula contro l’attuale ministro degli interni Salvini. Cerco di mantenere un contatto con chi mi segue e mi accontento di quel che posso. Non uso le stories, perchè ho una dignità e una certa età”.

Se Linus usa Instagram con moderazione, utilizzando come landing page (insomma come suo centro) la sua radio e le relative piattaforme proprietarie (sito internet per esempio), diverso è l’approccio di altri influencer, che sono letteralmente “esplosi”, in termini di seguito e potenziali guadagni, grazie a questa piattaforma. “Io ho un centro dell’universo che è il mio programma radio. Il social è una continuazione. Chiara Ferragni e Fedex son due casi interessanti come influencer: per Chiara Instagram è il suo centro, Fedez dovrebbe orbitare sulla musica ma si sta spostando sui social.”

E sul concetto di “universo” espresso da Linus torno a far chiarezza con l’altro influencer Aranzulla. “Esiste il problema che ho già indicato qualche anno fa. Questi influencer operano all’interno di piattaforme di terzi. Tali soluzioni sono soggette alle regole, gli umori e interessi dei rispettivi proprietari (Mark Zuckerberg, per esempio). Negli ultimi giorni (fine agosto, NdS), per dire, i like di Instagram spariscono. La funzionalità è in test, il mio account non è cambiato, quello della mia fidanzata sì. Se andasse a regime potrebbe creare dei seri problemi per tutti quegli influencer che usano questa metrica come valore da promuovere presso i loro clienti. In verità sono vanity metrics: metriche che di fatto non hanno una reale corrispondenza con il ROI”.

Sul tema “estinzione” di influencer, un concetto che potrebbe far riflettere seriamente molti giovani imprenditori digitali, torna pesante anche Confortini. “Il fenomeno Instagram-like non è nuovo. Ricordiamo quando ormai un anno fa Facebook decise di cambiare il suo algoritmo. Risultato tutti i grandi giornali, che mungevano gratis view dal social, ebbero un crollo verticale. E se vogliamo andare un poco più indietro ricordiamoci la Youtube Apocalypse, che vide la piattaforma di Google cambiare i suoi algoritmi per venire incontro, detto educatamente, alle richieste dei grandi investitori pubblicitari. Il tema che gli influencer, una buona parte di essi almeno, è che loro investono soldi, tempo e risorse per creare contenuti per piattaforme che non li considerano un valore, al più un derivato che è utile per fare traffico. Le piattaforme sociali leggere, dove i contenuti sono gattini, video, belle ragazze, hanno un tasso di intensità basso. Penso alla differenza tra i contenuti di un Aranzulla o le interviste di Linus: sono contenuti di interesse, dove l’utente consumatore si posiziona per studiare un tema o seguire la vita di una persona simpatica. Quando vedo tette e culi per 10 minuti in metro li sfoglio alla velocità della luce. Se gli influencer non imparano a trascinare fuori dai social il loro traffico di follower sono destinati all’oblio se, un domani, Instagram dovesse decidere di girare la chiave e cambiare l’algoritmo”.

Sul tema dei like anche il portavoce di Instagram ha da dire la sua. “Ci auguriamo che rendendo privato il numero di likes, le persone siano in grado di concentrarsi maggiormente sui contenuti, ovvero sulle foto e sui video pubblicati nel feed, e che questo possa portare anche un coinvolgimento più profondo. Mentre questo test è in fase esplorativa, stiamo pensando a modi aggiuntivi che consentano ai creator di comunicare il valore del loro lavoro ai loro partner commerciali. Un esempio è il branded content, un ecosistema in continua evoluzione che, da poco, dà la possibilità di incorporare i contenuti brandizzati nelle strategie pubblicitarie aziendali. Per venire incontro alle esigenze dei brand, infatti,  Instagram ha introdotto la possibilità per gli inserzionisti di promuovere i contenuti brandizzati – organici – dei creator sponsorizzandoli sul feed.”

Ma quindi alle piattaforme social servono gli influencer o li sopportano?

Qui mi arriva Aranzulla: “Gli servono ma nella misura in cui portano vibrazioni, hype e comunque muovono massa. Ma come ha dimostrato il caso di Youtube Apocalypse se gli influencer disturbano il vero business delle piattaforme terze queste ci mettono un attimo a contenerli”.

Conviene anche Confortini: “Il rischio serio è che le piattaforme possano decidere, ad un certo punto, che gli influencer sono fastidiosi oppure troppo presenti. Esiste un equilibrio: influencer crea interesse, la gente sta sulla piattaforma e spende tempo ed è irraggiata di pubblicità. Pubblicità diretta degli inserzionisti della piattaforma e degli influencer. Ma se questo equilibrio si sbilancia troppo a favore degli influencer, il caso Youtube ha fatto scuola”.

“Lavoriamo con i creator – concludono da Instagram – per sensibilizzarli sull’importanza della trasparenza e per far sì che possano editare più facilmente i loro post. Quando i nostri sistemi e i nostri revisori rilevano situazioni in cui un creator pubblica contenuti brandizzati ma non utilizza il tag, inviamo al creator una notifica con la possibilità di modificare il post per aggiungere il tag. Instagram ha la stessa politica sui contenuti brandizzati di Facebook. Esaminiamo i report che riceviamo dalla comunità e dai nostri sistemi e prendiamo provvedimenti (compresa la rimozione dei contenuti) quando queste policy vengono violate”.

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Ma quindi soldi ne facciamo con gli influencer?

Partiamo dall’hacker Flora. “Ci sono 3 mondi tra loro diversi. Mondo branding. Non posso non esserci, il presidio di Cannes o Festival Venezia. Ci sono tutti i brand a cui non interessa di essere lì, ma che non possono non esserci. I grandi influencer, se non li inviti alle sfilate di moda, non hai copertura. Ed è importantissimo. Awareness. Io esisto. Mi trovo all’interno e mi creo e mi rende esistente, so che esisto perché ho visto. Per la serie come visto in televisione. La gente non ti interessa che faccia cose (tipo comprarti) ma che sappia che esiste il brand. Activation. Ok lo compro. Più sei piccolo e vai nell’activation. Le aziende non capiscono che esistono almeno questi 3 livelli. Ad ogni mondo si può dire corrisponda un influencer. I grandi influencer sono per branding e awareness. Pochi dei grandi sono in grado di fare activation. Tutti gli influencer dai più grandi al più piccolo fanno branding. I piccoli, plausibilmente, sono utili per fare activation, perché più vicini ai loro follower. L’influencer che riescono a fare activation sono molto diversi dagli influencer branding. In genere per le activation ti conviene avere i 100 piccoli blogger”.

Sul tema arriva anche Perrelli: “Il 45% delle aziende italiane attribuisce un ruolo specifico all’influencer marketing nell’ambito della propria strategia di comunicazione. La maggior parte riconosce all’influencer marketing la capacità di agire nella fase di “aware”, per far conoscere novità di prodotto o nuovi brand e nella fase di “appeal”, per avvicinare il prodotto al consumatore finale.”

Anche Confortini conviene sul tema ma preferisce virare sul tema piattaforma. “La conversione che generi con una strategia di influencer marketing è sicuramente importante ma è vitale avere una posizione proprietaria esterna verso cui indirizzare gli sforzi di una strategia di marketing automation. Penso anche a Flora che, di recente, si è creato un suo spazio video. Immagino che la sua conversione avvenga verso la sua agenzia e le sue attività di divulgazione scientifica. Ma per quanto sia su video mantiene saldamente il conto dei suoi flussi”.

E su flussi e piattaforma per convertire ci arriva veloce anche Aranzulla: “L’unica voce vera è il fatturato. Noi fatturiamo 3 milioni. La questione è capire se le aziende riescono a guadagnare. Noi abbiamo varie rubriche sponsorizzate: per esempio se uno legge una recensione di un cellulare e poi va a comprarlo entro 48 ore, io ricevo una commissione. È un concetto semplice ma funziona. Se dovessi fare lo stesso con Instagram dovrei mettere un referral, ma ho seri dubbi che i grandi influencer possano generare quantità di vendite rilevanti.”

Ora premesso che affrontare questo tema in modo dettagliato richiede una serie di analisi, era mia intenzione offrire una visione d’insieme coinvolgendo profili di grande peso. Per approfondimenti suggerisco caldamente a chiunque di contattare i singoli profili, che si sono rivelati tutti estremamente disponibili, per capire meglio i singoli rischi e opportunità visti dai singoli contributori.

Un giorno un genio visionario come Andy Warhol disse: “In futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti”. Warhol era ottimista, con Instagram hai 8 secondi

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