Il taglio dei parlamentari è uno specchietto per le allodole (e una proposta)

scritto da il 26 Settembre 2019

L’autore di questo post è Costantino Ferrara, vice presidente di sezione della Commissione tributaria di Frosinone, giudice onorario del Tribunale di Latina, presidente Associazione magistrati tributari della Provincia di Frosinone –

Pensavi solo ai soldi, soldi! Come se avessi avuto soldi! Così cantava l’ultimo vincitore di Sanremo, toccando un tema, quello dei “soldi”, che è, ahinoi, centrale nelle vite di ognuno e parimenti centrale nei discorsi politici.

In particolare, si parla da sempre di risparmio nei conti italiani, prima con la “spending review”, oggi con quello che è un vero e proprio cavallo di battaglia del M5S, ovvero la riduzione del numero dei parlamentari. Personalmente, da umile studioso attento alla politica e al sociale, ma anche con una minima capacità “matematica” di fare 2+2, non mi sembra cha l’approdo, di cui comunque dubito fortemente, ad una riduzione dei parlamentari possa incidere chissà quanto sul risparmio nei conti pubblici.

Svisceriamo un po’ di numeri. In rapporto alla popolazione, abbiamo un deputato ogni 96mila abitanti e un senatore ogni 192mila. Come spiega un report del Centro Studi del Senato, la riduzione dei parlamentari è un tentativo portato avanti con alterne fortune da anni. Parlando in termini realistici, il taglio dei parlamentari porterebbe ad un risparmio massimo di circa 6o milioni di euro alll’anno, cifra simile a quella calcolata per la riforma Renzi – Boschi, di analogo tenore, stimata in 50 milioni l’anno. In effetti, la riforma non incide né sul personale, né sulle spese correnti di funzionamento delle Camere, né sui trattamenti previdenziali (almeno non nel breve termine), dunque il semplice taglio dei parlamentari determinerebbe risparmi sulla quota per indennità, spese per l’esercizio del mandato e rimborsi spese di senatori e deputati.

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Una cifra minima rispetto ai circa 975 milioni di costo della Camera dei deputati e ai 550 circa di costo del Senato. E ancor più irrisoria se si pensa ai numeri di una manovra economica o, per citare un provvedimento, al reddito di cittadinanza, stimato inizialmente in 9 miliardi di euro di costo, poi scesi a 7. Quindi, richiamando in ballo la matematica, i 60 milioni di euro che si risparmiano tagliando i parlamentari, paragonati ai 7 miliardi del reddito di cittadinanza, rappresentano lo 0,8%.

Basti questo esempio per comprendere che la speculazione mediatica su questo punto pare improntata più che altro alla ricerca spasmodica del consenso, della propaganda come fine ultimo e non come mezzo per raggiungere un fine. Il c.d. “taglio delle poltrone”, si inserisce perfettamente in tale contesto, perché è una misura d’impatto propagandistico, ma di ben poco effetto sul piano pratico.

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Tornando, invece, al tema del risparmio sui conti pubblici, ritengo che siano altre le soluzioni da intraprendere quale, per esempio, l’abolizione totale di 100 enti statali e para-statali inutili, che da oltre 30 anni risultano nelle liste da abolire, ma che sono ancora li con tutto il personale, inattivo ed inutile, ma con un costo non indifferente per le casse pubbliche.
Se, invece, volessimo intervenire specificamente sul Parlamento, sarebbe auspicabile, semmai, l’abolizione di una delle due camere, considerando che questa bipartizione determina inesorabilmente ritardi nell’iter di formazione di ogni provvedimento legislativo. In Europa, del resto, gli esempi in questo senso non mancano e il “modello Italia”, con due camere spesso anche spaccate tra loro, non fa certo la fila di ammiratori e potenziali imitatori: evidentemente ci sarà un motivo. Sarebbe il caso di riaprire, dunque, la Costituzione e pensare ad una riforma concreta, piuttosto che allo specchietto per le allodole della riduzione dei parlamentari.

Nella scia di questo argomento, approfitto per parlare di un progetto che mi è caro da oltre 20 anni e che ho cercato di sottoporre all’attenzione di alcuni leader politici. Di elezione in elezione, assistiamo ogni volta a dei governi che non rappresentano la totalità degli elettori, ma al massimo il 50%. In ogni tornata elettorale, è ormai un mantra l’ aumento inarrestabile dell’assenteismo, come conseguenza del distacco tra paese reale e paese legale, della dicotomia tra cittadini e classe politica. Penso che non sia comunque giusto che un governo rappresenti solo il 50% degli elettori cittadini, per quanto il restante 50% abbia consapevolmente scelto di non recarsi alle urne. Per contrastare il fenomeno si può pensare ad una soluzione: nella premessa che non possano essere eletti politici in proporzione agli elettori che non sono andati a votare (che quindi in un modo o nell’altro hanno espresso una propria volontà) si potrebbe invece ridurre il numero degli eletti, in base alle percentuali dell’assenteismo. Ad esempio, se si dovessero votare 100 deputati e si fosse presentato alle urne il solo 50% degli elettori, allora i parlamentari eletti potrebbero essere solo 50, anziché i 100 previsti. Tanti eletti quanti in proporzione sono gli elettori attivi, con i dovuti aggiustamenti. Scommettiamo che, in tal caso, la lotta all’assenteismo sarebbe fortemente sponsorizzata dagli stessi politici che aspirano ad una poltrona? Forse è una provocazione. O forse no.