La verità, vi prego, sull’evasione fiscale!

scritto da il 08 Novembre 2019

L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, nonché presidente di Assob.it –

Chi nega l’esistenza dell’evasione, è evasore lui stesso
(Da il “Malleus Tributarium” di H. Kramer e J. Spranger, 1487).

La lotta all’evasione è diventata un mantra, un rito collettivo di epurazione dei mali che attanagliano il paese, vuota litania del “pagare tutti per pagare di meno” che genera consensi, norme volte al contrasto del fenomeno, con decretazione di urgenza, leggi speciali, norme in bianco.

Si potrebbe pensare che la comunicata emergenza sia di tempi recenti, ma in realtà tale messaggio è in voga almeno fin dai primi anni Settanta (basti vedere il titolo del Decreto legge 06.07.1974 n. 260 Norme per la migliore realizzazione della perequazione tributaria e della repressione dell’evasione fiscale, nonché per il potenziamento dei servizi dell’Amministrazione finanziaria).

Menti disabituate al pensiero complesso congiuntamente al distacco totale dalla realtà producono sonni della ragione in campo tributario, immaginando che la compressione di diritti comporti la fedeltà fiscale, come del resto l’inasprimento della sanzione penale attraverso la carcerazione.

Tali geni, oramai perennemente dissociati dal mondo reale, in una follia laplaciana, ritengono che la totale tracciatura delle forme di pagamento sia la pietra filosofale per combattere l’evasione, congiuntamente ad una selva di obblighi, comunicazioni, sanzioni, invii telematici contenenti un’infinità di dati.

Potremmo accettarlo da persone poco esperte che basano il proprio giudizio sul limitato angolo della propria esperienza che ne limita le capacità percettive, invece si assiste oramai ad affermazioni totalitarie sulla pubblica piazza, ove il Fisco deve avere il diritto di penetrare sempre di più nella nostra vita privata e cibarsi di dati.

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“Ma se non hai nulla da nascondere, non hai nulla da temere”, ripeteva l’imbianchino austriaco diventato Führer in Germania: sulla base di tale principio tutti i Tuoi dati devono essere consegnati al controllore e tu devi lavorare 238 ore l’anno (quasi 6 settimane Fonte WorldBank) per poter adempiere agli obblighi tributari, nonostante le “semplificazioni” (onnipresenti in ogni decreto) e la telematizzazione degli adempimenti.

Questa tendenza aumenta la convenienza dell’evasione: un evasore ha un mese e mezzo in più di lavoro disponibile rispetto ad un contribuente che intenda adempiere alle follie contenute degli adempimenti tributari.

Non solo.

Tale clima da caccia alle streghe, nonché la pressione derivante dalla corruzione della pubblica amministrazione, potrebbe determinare una ricerca ossessiva dell’imponibile nell’ansia da risultato, innestandosi in un sistema tributario italiano ingestibile, improponibile, contraddittorio e ambiguo.

Motivazioni contenenti “Logiche contrarie al comune operare, comportamento antieconomico dell’imprenditore, presunzioni semplici, accertamenti induttivi, interpretazioni pro-fisco” talvolta sono poste a base di accertamenti “legittimi” ma immorali (legalità e moralità non sono connesse come nel caso delle leggi razziali) generando ulteriore tensione negli imprenditori e nei professionisti.

Solo la logica volta a dividere, a generare emozioni per ottundere il pensiero, quali il tintinnio di manette e abnormi sanzioni, può pensare di risolvere il problema.

Paradossalmente, tali atteggiamenti ingigantiscono il problema poiché aumenta il profitto atteso dell’evasore rispetto a chi vuole rispettare le norme. Ciò avviene perché l’evasore (inteso come colui che non intende rispettare le norme) ha un vantaggio competitivo in termini di minori costi di compliance e di tributi rispetto al contribuente onesto, generando un’asimmetria che porta l’onesto fuori dal mercato.

L’analisi economica, esulando da questioni etiche o di mera sopravvivenza economica, potrebbe essere svolta in tale maniera:

M(e) (Margine da evasione) = Minori Tributi (dT) + Minori costi di compliance (dC) – Valore atteso dei Tributi e Sanzioni (vaTS) x probabilità percepita (p).

Il ragionamento è semplice: l’evasione è conveniente se il valore atteso dei tributi e sanzioni cui sarà sottoposto l’evasore per la probabilità che lo stesso percepisce come rischio, è inferiore a quanto risparmia immediatamente sotto forma di minori tributi e costi. Nel caso in cui il valore sia positivo, lo stesso deve essere raffrontato con il disvalore sociale (DS) in cui l’evasore può incorrere nella sua comunità.

Nel caso in cui il valore resti positivo, la lotta all’evasione potrebbe risultare del tutto inutile.

Ove si può lavorare per ridurre l’evasione è ora comprensibile:

1. Abbassare l’imposizione tributaria, riduce il differenziale sui Tributi (dT).

2. Semplificare, riduce i costi di compliance (dC).

3. Le Sanzioni aumentano il valore atteso dei Tributi e Sanzioni (vaTS).

4. L’aumento della probabilità percepita è composto dalla capacità di individuare i soggetti da sottoporre ad accertamento e dalla capacità di individuare gli imponibili sottratti.

5. Nel caso in cui non si riesca a contenere il margine da evasione, l’aumento di disvalore sociale aumenta la fedeltà tributaria.

Sfortunatamente, in campo tributario non è questo il meccanismo di riflessione e si preferisce un tifo da stadio, la proclamazione di una crociata, la diffusione di odio e di invidia, con azioni sconclusionate e controproducenti.

Il punto di partenza è la presenza di un elevato tempo di compliance (già di un mese e mezzo), senza tener conto dei costi dei professionisti coinvolti e senza contare gli ulteriori adempimenti per le imprese (AML, GDPR, Sicurezza sul lavoro, HCCP, autorizzazioni, licenze, etc): più si aumentano i costi di compliance per incrementare la probabilità di intercettare un fenomeno evasivo, più si rischia di accrescere il vantaggio atteso per l’evasore, dato che il minor costo di compliance si amplia immediatamente, mentre la probabilità percepita potrebbe rimanere costante.

La percepita incapacità della macchina burocratica ad effettuare verifiche ha portato a forme di misure antievasione indirette e presuntive (indeducibilità, indetraibilità, presunzioni automatiche, norme antiabuso). Queste si prefiggono l’obiettivo di evitare comportamenti opportunistici ma, d’altro canto, possono generare automaticamente materia imponibile, vale a dire attrarre a tassazione redditi non guadagnati. Ciò determina un aumento del risparmio tributario (dT) e la diminuzione del disvalore sociale, dato che la percezione di vessazioni potrebbe condurre alla giustificazione della violazione tributaria.

La continua legislazione di urgenza che si innesta in un sistema complesso non aiuta nella fruibilità e nella comprensibilità della norma (possibile avere leggi finanziarie di un unico articolo con oltre 1.500 commi?), generando la percezione di un’assoluta confusione normativa in cui si possono annidare comportamenti opportunistici o predatori. Come faceva dire Manzoni nei Promessi Sposi, “a saper ben maneggiare le gride, nessuno è reo, e nessuno è innocente”.

In tale paradigma, il controllo statale potrebbe essere percepito, non tanto alla finalizzazione della verifica del rispetto delle norme, quanto quale pretesa ingiusta basata sulla necessità di “accertare” per portare risultati sull’evasione (quanti accertamenti sono stati chiusi a zero?), piuttosto che su elementi di fatto. Ciò diminuisce la percezione di costo, essendo il rischio di maggior tributi indipendente dalla “compliance”.

Per coloro che non seguono le mode becere e non hanno abbandonato i diritti ed il diritto, non possono sfuggire le continue condanne ricevute a livello internazionale del Governo Italiano (Corte di Giustizia e CEDU) per violazioni dei principi fondamentali negli accertamenti tributari: la violazione degli obblighi tributari potrebbe essere considerata quasi un atto di Resistenza.

Il problema assume ulteriori forme dato che il Disvalore Sociale può essere azzerato da:

1. Il fatto che se nessuno è in grado di rispettare i propri obblighi per la selva di norme illeggibili e di interpretazioni cervellotiche, sono tutti colpevole e quindi nessun colpevole, azzerando il concetto di disvalore sociale!

2. La confusione dei concetti di mancato versamento, elusione, evasione e risparmio legittimo di imposta, genera un terreno melmoso ove tutto è lecito e allo stesso tempo illecito, senza generare alcun disvalore sociale tra colui che evade rispetto a chi legittimamente risparmia le imposte.

3. Una macchina burocratica inefficiente che neanche è stata capace di fare concorsi per i propri dirigenti, preferendo la violazione delle normative sui dirigenti pubblici per raggiungere i propri scopi.

4. Una Giustizia Tributaria basata più sul dovere morale, sull’eroismo e sul volontariato, visto i ridicoli compensi per i Giudici Tributari (pari a 93 euro a sentenza da suddividersi tra i componenti oltre 400,00 euro di fisso mensile!).

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Ora, facendo tintinnare le manette, quale scopo raggiungiamo? Quello di rendere l’aria oltremodo irrespirabile, criminalizzando l’imprenditoria e dimenticandoci che sono gli imprenditori i datori di lavoro e che, quindi, senza creazione di impresa non vi sarà nessuna creazione di posti di lavoro!

Il mantra della lotta all’evasione, così strutturato, ci fa assistere al macabro raggiungimento di tale scopo, dato che le imprese stanno chiudendo, pervenendo all’agognata fedeltà tributaria: con nessuna impresa si avrà zero evasione.

Sì, perché essere imprenditore in Italia equivale ad essere considerato un criminale abituale o per tendenza, e quindi, sulla base della dottrina di un noto PM, mai innocenti, bensì colpevoli a carico dei quali non sono state ancora trovate la prove.

Twitter @s_capaccioli