Proposta radicale per la sanità: un gestore unico per la salute

scritto da il 12 Dicembre 2019

La sanità in Italia, dal punto di vista economico, è organizzata secondo un meccanismo di allocazione a priori di budget per erogatore, sia per erogatori pubblici che privati convenzionati (ovviamente qui non entrano in alcun modo le fonti private, sia il cosiddetto out-of-pocket che le assicurazioni). All’interno di quel budget si quantifica la produzione tramite dei “listini prezzi” definiti dalle Regioni, in cui ogni prestazione specifica viene quantificata una certa cifra. Se un erogatore privato sfora il budget non viene pagato per il surplus. Nel caso degli erogatori pubblici ci sono varie forme di compensazione a fine anno a seconda della regione e delle istituzioni, anche in nome dei diritti che queste devono garantire ai cittadini. Non mi interessa entrare qui nel merito dei dettagli di questo sistema (dettagli molto rilevanti per capire bene come funziona), vorrei però discuterne gli effetti generali e proporre un modo per modificarlo per il meglio dei cittadini.

Questo meccanismo ha tre grandissimi vantaggi, difficili da replicare con altri meccanismi.

1. Per la costruzione del budget complessivo di spesa di una Regione tiene, perché non è altro che la somma dei budget allocati ai singoli erogatori.

2. Si può distribuire sul territorio il budget in modo da avere un’offerta equilibrata secondo i bisogni in termini sia quantitativi (quante persone vivono vicino a quel erogatore) che epidemiologici (quali sono i bisogni da coprire maggiormente in quel territorio).

3. Lascia il paziente libero di scegliere chi sarà l’erogatore che desidera per la singola prestazione, a meno delle liste di attesa di cui parleremo dopo. Questa libertà di scelta permette al cittadino di muoversi su tutto il territorio nazionale, producendo parte di quei flussi tra regioni (tendenzialmente da sud a nord) di cui tanto si discute.

Dal punto di vista dei cittadini questi meccanismi cosa significano? Fondamentalmente agiscono sulle liste di attesa e quindi limitano la domanda. In sanità quello che succede è che l’offerta genera una parte di domanda. Limitare quindi l’offerta spinge tutto il sistema a porsi il problema di quali sono le priorità su cui mettere risorse e limitare l’offerta del resto.

I grandi difetti di questo modo di gestire le risorse in sanità sono:

1. I migliori non crescono, i peggiori non calano. Poiché l’allocazione dei budget viene fatta su base storica e con pochissimi collegamenti con la qualità clinica erogata, non c’è un forte meccanismo che lega la qualità ai volumi. Per intenderci, se c’è un reparto di livello mondiale, come molti reparti di molti ospedali italiani, questo non può di fatto crescere in numero di pazienti trattati. Viceversa, se c’è  un reparto pessimo in termini di qualità clinica è molto difficile farlo calare o chiuderlo.

2. I valori riconosciuti per le singole prestazioni sono spesso sballati rispetto ai costi di produzione, sia in alto che in basso. Tipicamente sono pagati molto: radiologia, ricoveri, chirurgia, esami del sangue. E poco: visite, fisioterapia, servizi psico, odontoiatria. In generale ciò che viene pagato molto crea buona offerta, ciò che viene pagato poco genera restrizione di offerta. Mentre ci sono grandi ospedali che fanno tutto e quindi nel mix erogato le cose pagate molto equilibrano quelle pagate poco, per gli erogatori verticali questo non è vero. Il risultato è che ci ritroviamo con un sistema dove alcuni fondi europei stanno comprando budget di prelievi del sangue e radiologia perché altamente remunerativi, mentre le prestazioni pagate poco hanno liste di attesa chilometriche.

In fondo è un sistema in cui l’elemento centrale è la prestazione, non il paziente. Il che significa che tutti in un modo o nell’altro ragionano di “produzione” mentre chi sta a stretto contatto con i pazienti vorrebbe ragionare sulla loro salute e sulla cosa migliore da fare per loro.
La dimensione della prevenzione e lavoro sugli stili di vita risulta sempre la cenerentola della spesa corrente su pazienti quando invece dovrebbe diventare molto più rilevante.

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Quale proposta

Ogni Regione oggi può creare una semplice statistica che a fronte di sesso, età e patologie croniche dice quanto in media la Regione sta spendendo su quella categoria di persone (la somma delle prestazioni erogate, più la medicina di base, diviso il numero dei pazienti in quella categoria). Inoltre è possibile (anche se oggi non sempre si hanno questi numeri) definire una batteria di parametri che definiscono la “salute media” di una categoria di persone e quindi anche come evolve nel tempo.

La proposta consiste in questo: permettere ai cittadini di farsi prendere in carico, per tutti i loro bisogni sanitari, da un’unica azienda, pubblica o privata convenzionata. Questo significa che la libertà di scelta che oggi vige per ogni singola prestazione, diventa libertà di scegliere quale istituzione prenderà in carico i propri bisogni. Può rimanere l’Asl, possono essere medici di medicina generale (MMG) e cooperative di MMG, aziende private convenzionate. Le Regioni riconoscono a chi prende in carico quel paziente la cifra che oggi spende mediamente per i pazienti nella sua categoria (ovvero la sua età, il suo sesso, le sue patologie croniche). Questo indipendentemente dalle prestazioni effettivamente erogate. L’erogatore si prende un pezzo di rischio d’azienda.

Chi prende in carico un paziente deve poter erogare in forma diretta o attraverso convenzioni con altri erogatori tutti i LEA (Livelli essenziali di assistenza) e quindi, tra gli altri:

medicina e pediatria di base
servizi poliambulatoriali
prestazioni ospedaliere
farmaci
servizi diagnostici

Per creare trasparenza con i pazienti gli erogatori devono obbligatoriamente pubblicare i propri parametri di servizio e soprattutto di qualità clinica. Se questi scendono sotto ad una certa soglia decisa dal pagante, ovvero la Regione, viene tolto il convenzionamento. Ogni istituzione può prendere in carico un numero massimo di persone in un certo territorio, in base agli investimenti che farà su quel territorio (e anche per evitare pericolosi monopoli). Questo allinea gli interessi di tutti e permette di non scoprire territori meno densi di cittadini. Infine i reclami e le valutazioni del servizio da parte dei pazienti devono tutti essere condivisi con la Regione, la quale quindi riesce ad entrare nel merito dei problemi con gli erogatori. Anche i dati sui reclami e le valutazioni dei pazienti devono essere pubblici e comparabili tra erogatori.

Questo sistema è per sua natura capace di mantenere saldi i conti delle regioni, perché la spesa è la stessa che avremmo oggi. Ha un effetto chiaro: i migliori crescono e i peggiori calano e potenzialmente chiudono. Questo avviene con la scelta dei cittadini, i quali guardando ai dati comparati dei vari erogatori e alla loro prossimità geografica a dove vivono o lavorano, scelgono da chi farsi seguire. Questo produce un modo di pensare il miglioramento continuo radicalmente diverso da quello di oggi, dove il mantenimento delle entrate a tutti gli operatori è un assioma di sistema.

I gestori possono inserire in ogni momento nuove tecnologie e protocolli diversi, se i risultati clinici migliorano. In particolare NON è interesse degli erogatori fare più prestazioni possibile.

Un sistema di questo tipo tocca moltissimi interessi e per questo in un paese cronicamente debole nell’esecuzione delle riforme è difficile da portare avanti. Come sempre il modo migliore sarebbe quello di battezzare qualche territorio in cui sperimentarlo e vederne gli effetti concreti. La presenza del metodo attuale rimarrebbe in parallelo e quindi i cittadini che non vogliono cambiare possono farlo senza problemi.

Per difendere il sistema sanitario nazionale dobbiamo modernizzarlo e interpretare i nuovi scenari. Proviamoci

Twitter @lforesti