Le ragioni di Greta e il green new deal: tutto passa per il capitale privato

scritto da il 16 Dicembre 2019

Fa discutere il fallimento dell’accordo alla conferenza COP25. Eppure il Green New Deal è una vera opportunità per tutti. Tuttavia la politica spesso non capisce o non vuole capire. Il recente dibattito sulla sugar/plastic tax ancora una volta testimonia la triste convinzione – almeno dei politici che animano i talk show – che si possa cambiare semplicemente per decreto. Insomma, non ci si rende conto che il punto fondamentale è che noi viviamo in un sistema economico complesso ma pur sempre mosso due principali e semplici leve: gli investimenti e la domanda dei consumatori. Ed in particolare, la prima trova la sua forza nel mondo della finanza.

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Vignetta realizzata da @Griwot

In altre parole, se si vuole davvero essere incisivi e lasciare il segno per un vero miglioramento del mondo in cui viviamo, non si propongono mini-tasse qua e là, con evidenti effetti distorsivi o di mera traslazione verso il consumatore finale, ma si studia un programma di ampio respiro che inneschi quella innovazione culturale “benzina” (davvero verde) necessaria per imboccare seriamente un percorso di progresso e crescita sostenibile. Proprio per questo è importante “convincere” le due leve del sistema economico per realizzare quel cambiamento di rotta verso una green economy ed, in particolare, convincere che tale cambiamento sia un “win-win” per tutti.

Tutto sommato non è particolarmente difficile. Ecco perché.

Sul lato della domanda dei consumatori, l’unica via d’azione efficace appare quella di promuovere una maggiore sensibilizzazione, senza estremismi, sull’utilizzo consapevole e sostenibile delle risorse naturali. In aggiunta alla creazione – tramite i c.d. nudge – di meccanismi di incentivazione virtuosa, sull’esempio di quanto già proposto, proprio su questo blog, da The Smart Institute per la gestione della raccolta differenziata. Questa attenzione, sotto diverse forme, è stata particolarmente recepita dal mondo giovanile, più sensibile a queste tematiche anche per motivi anagrafici, e recentemente cavalcata dalla giovane svedese Greta Thunberg.schermata-2019-12-16-alle-11-44-06

Ma l’aspetto più interessante riguarda il fronte degli investimenti in cui, come accennavamo prima, assume particolare rilievo il funzionamento del mondo della finanza. Questo perché la finanza è trasformativa.

La finanza rappresenta infatti la vera cinghia del meccanismo di trasmissione dall’innovazione allo sviluppo economico, indirizzando risorse verso obiettivi definiti e realizzando traguardi nella concretezza, che altrimenti rimarrebbero meri desiderata, come quello dello “sviluppo sostenibile”.

L’economia si basa sulla regola aurea dell’allocazione ottimale di risorse mentre la finanza possiamo intenderla come applicazione “pratica” della teoria economica, muovendosi anch’essa secondo due principali leve: riduzione o la gestione del rischio e la creazione di valore.

Risk Management

È davvero cambiato il vento, e con questa battuta non mi riferisco solo alle tematiche ambientali. Lo scorso 13 dicembre a Milano ho partecipato ai lavori della Convention annuale di AIFIRM, l’Associazione nazionale dei Risk Manager.

Il nuovo tema dibattuto è stato quello di come considerare nelle nostre analisi di investimento il “Climate change risk” come fattore di rischio da gestire, e il ruolo della governance societaria nella creazione di valore per ciascuna azienda, di cui approfondiremo più avanti.

Questo è solo uno dei tanti segnali che fa registrare un vero cambio di paradigma. Tale consapevolezza è corroborata dal fatto che, finalmente, anche nel mercato italiano si registra un crescente interesse verso l’investimento sostenibile.

La chiave di lettura di queste dinamiche sta nel ruolo del risk management, già riconosciuto nel mondo anglosassone, non più visto come un mero centro di costo ma come una reale opportunità di creazione di valore.

Creazione di valore dal risk management

Sembrano lontani i tempi della finanza <<Greed is fine>> di Gordon Gekko, oggi il mondo del risparmio gestito ha una nuova parola d’ordine: adesione ai principi ESG (Environmental, Social and Governance).

Persino chi non è del settore avrà sicuramente sentito parlare di investimenti responsabili o – addirittura – di “finanza etica”, come veniva chiamata in passato. L’accostamento dei due termini “Etica” e “finanza”, che in prima battuta appaiono antitetiche, ha lasciato poi il passo allo sviluppo di un nuovo framework.

La sensibilità del mercato alle tematiche ESG, nata da lontano nel 2006 sotto l’input dell’ONU[1] e sviluppata negli anni recenti a livello di regolamentazione dall’Unione Europea, rappresenta in realtà un cambio di prospettiva. Non più ideali etici e filantropici (fine a se stessi) ma piuttosto un’ottimale ed efficace mitigazione e gestione del rischio a beneficio degli investitori.

Non si tratta di aggiungere una sovrastruttura ai sistemi di controllo di un asset manager ma piuttosto di adottare un approccio olistico di risk management in tutti gli ambiti della gestione del risparmio.

In questo il Risk Manager assume un importante ruolo di guida e di meccanismo di trasmissione della “cultura del rischio”, tenendo tuttavia presente che l’approccio ESG richiede di essere adottato a tutti i livelli aziendali.

Infatti, i Principi per l’Investimento Responsabile (PRI) rappresentano un’iniziativa del mondo della finanza promossa dale istituzioni internazionali (Nazioni Unite) in cui i firmatari si impegnano a mettere in pratica i sei principi fondamentali ESG.

Fonte: UN PRI (https://www.unpri.org)

Fonte: UN PRI (https://www.unpri.org)

L’obiettivo dell’approccio ESG è quello di comprendere gli effetti di tematiche ambientali, sociali e di buon governo aziendale sugli investimenti e di assistere chi aderisce a tali principi nell’integrazione del processo ESG nelle decisioni di investimento e nel proprio azionariato attivo. Un numero crescente di investitori istituzionali sta considerando i fattori ESG nelle proprie decisioni d’investimento al fine di ridurre i rischi, migliorare i rendimenti finanziari e soddisfare le aspettative di tutti gli stakeholders.

Esempio dei fattori ESG

Esempio dei fattori ESG

Il tema ESG è stato fortemente marcato dalla stampa e dalle iniziative del settore del risparmio gestito, dove il messaggio sotteso sembra essere un “must  have”. Il principale “rischio” è quello di evitare che sia un mero “greenwashing”: qualcosa di mera facciata e senza contenuto. Insomma, evitare di cadere nel banale “screening negativo” (non investo in aziende che producono armi ecc..) ma piuttosto perseguire uno “screening positivo”.

In questo è decisivo il ruolo del capitale privato, ancora più significativo se pensiamo al tipico orizzonte di investimento che è di medio termine e non certo in ottica di trading. Il vero ruolo di trasformazione, infatti, è dato dalla finanza alternativa: private equity e private debt che entrando all’interno delle aziende creano l’opportunità di avviare quella spinta decisa.

Fonte: UN PRI

Dalla sua nascita, nel 2006, l’iniziativa è cresciuta costantemente. Fonte: UN PRI

Linee guida di AIFI su ESG

AIFI, l’Associazione di categoria degli asset manager di Private Equity, Private Debt e Venture Capital, ha presentato recentemente delle linee guida sui principi ESG. Innocenzo Cipolletta e Anna Gervasoni hanno dunque illustrato un primo documento di sensibilizzazione al tema con utili indicazioni riguardo le diverse fasi dell’investimento.

A tal proposito è importante considerare i momenti di Due Diligence ESG (soprattutto in investimento) dove il tema principale riguarda l’attitudine al cambiamento del management della società target, un percorso che si avvia tipicamente con l’input del private equity e che è da intraprendere tramite la definizione di action plan. L’attenzione, naturalmente, deve essere sempre tenuta anche nella fase del monitoraggio. Il documento di AIFI è stato così realizzato con l’esperienza sia di chi aveva già adottato tale approccio in passato, come Ambienta SGR, sia da operatori che dopo aver studiato gli aspetti di rilievo hanno aderito agli ESG come Green Arrow Capital SGR.

Tutti gli operatori, riuniti dal tavolo di lavoro di AIFI, sono concordi nel porre un forte accento sul fatto che tutto ruota intorno ai team di investimento, in quanto sono loro il motore “operativo” per l’implementazione dell’ESG, pensato e strutturato in ottica di risk management. Dunque è proprio il team di investimento che deve trasmettere i giusti input alle società partecipate[2] e predisporre un flusso di reportistica adeguata per gli investitori dei fondi.

A tal proposito, infine, sta emergendo un altro punto che riguarda la proposta discussa un paio di settimane fa, sempre in AIFI, di includere indicatori di performance (KPI) relativi agli aspetti ESG nelle policy di remunerazione dei team di investimento, far rientrare dunque tali aspetti nella parte retributiva di incentivo variabile.

Insomma, la vera trasformazione è verso una finanza che deve essere <<Smart>>, ossia: intelligente, inclusiva e sostenibile.

Twitter: @pasqualemerella

[1] Grazie al lavoro dell’allora Segretario Generale Kofi Annan.

[2] Si intendono le società in portafoglio ai fondi di Private Equity