Sempre più sommersi dai messaggi. Ma email volant e verba manent

scritto da il 30 Dicembre 2019

L’autore di questo post è Silvano Joly, country manager di Centric Software Italia, che dal 1995 lavora in aziende high tech seguendo il mercato italiano e del Mediterraneo –

Tempo di feste, di Auguri. Ci siamo arrivati rassegnati a qualche sparuto biglietto postale, centinaia di email, infine la consueta esplosione di sms e messaggi WhatsApp. Poche telefonate, meno ancora gli auguri fatti di persona. Ormai si parla poco e si scrive sempre più, non solo a Natale. Ho quindi pensato di recuperare un vecchio motto latino e dargli una ritoccatina. Mi sono così inventato Email Volant, Verba Manent. Le mail volano, Le parole restano, frase che dal 2008 è in calce alla firma della mia mail personale.

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Ovviamente mi ha ispirato il motto Verba volant, scripta manent che pronunciato oltre duemila anni fa nel Senato Romano. A differenza di quanto molti credano, la frase non difendeva lo scrivere ma era invece un elogio all’eloquio, alla voce umana, alla leggerezza poetica delle parole. Riprendendo Socrate e Platone: La scoperta della scrittura avrà l’effetto di produrre la dimenticanza nelle anime che l’impareranno, perché, fidandosi della scrittura, queste si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesime.

Sempre dai classici, a proposito di oralità e scrittura, leggiamo un’altra frase, Mettere nero su bianco, che Manzoni faceva dire a Tonio saldando un prestito contratto con Don Abbondio. Ora si  è contenti di mettere un po’ di nero sul bianco. L’uomo sprovveduto ma non troppo voleva una ricevuta scritta dal Parroco maneggione.

Ma cosa succede oggi, quanto scriviamo? Quanto poco parliamo? Che cosa sta succedendo?

Siamo certamente di fronte ad una overdose di comunicazione scritta (digitale in particolare) ed una penuria, quasi un problema a parlare. Se i Social hanno dato voce e memorabilità online (parole di Umberto Eco) a legioni di imbecilli, mail, whatsapp e messaggistiche varie l’hanno tolta a molti che ormai parlano pochissimo e scrivono tantissimo. Pensiamo alle comunicazioni di lavoro, tra clienti, aziende e colleghi. Questioni che si risolverebbero in 3 minuti di telefono, richiedono invece migliaia di righe e minuti per leggere e soprattutto evitano l’incontro con l’altro, anche solo telefonico, la presenza, lo sguardo. E se si suppone che una serie di mail possano complicare la vita, non crediamo sia meglio quando si usano le comunicazioni immediate. Le WhatsApp chat (o simili) magari tra clienti e fornitori, han spesso creato problemi, incomprensioni e casi limite di rottura di progetti, contratti o relazioni commerciali.

Tuttavia, la capacità di comunicare, attraverso il body-language e le espressioni non si è persa del tutto. È solo in pausa. Mancando il coraggio di dire qualcosa vis-a-vis, si scrive e ci si aiuta con gli emoticon. Ormai accettati ed accettabili anche nelle comunicazioni formali. Ho personalmente condotto un piccolo esperimento: dico cose terribili nelle email e poi stempero con una faccina. Ad esempio: commentando l’ennesima cavolata di un collega scrivo “Ma questo chi lo ha assunto? “… poi piazzo una faccina sorridente accanto alla frase che mi dovrebbe costare il licenziamento. Voilà, la faccina mi scagiona.

Sarà evoluzione o involuzione? La frase la dicevo già a fine anni ‘90 per stimolare i neoassunti: “Ma a te chi ti ha assunto?” ma la accompagnavo con un sorrisone, rigorosamente verba volant.

Sono state stravolte codifica e etichetta della comunicazione, questo cambiamento è tuttora in corso e non sono certo sia migliorativo. Il mantra, restando al latinorum, davvero è diventato Email ergo sum?

Consideriamo il mio passato; che non raccoglie secoli di esperienze ma qualche decina di anni, seppur decine di anni dove i cambiamenti sono stati significativi. Nel 1989, appena assunto, ho sperimentato la regola del “potere di firma”, una prerogativa aziendale riservata ad alcune funzioni dirigenziali. Non quelle che firmavano il bilancio ma quelle (poche) che potevano scrivere una lettera a nome e per conto dell’Azienda. Le escalation avvenivano lungo una linea: discutevi con un fornitore al telefono ma non potevi scrivergli una letteraccia. Dovevi andare dal tuo capo che valutava ed eventualmente scriveva, esercitando il suo potere di firma. Il tutto era tracciato persino nella dattiloscrittura e le lettere (di carta) recavano in calce due iniziali: in maiuscolo quella del capoufficio con potere di firma, in minuscolo quelle di chi aveva battuto a macchina la missiva, così: “SJ/eb”.

Oggi chiunque può scrivere una email a chi vuole dicendo quello che vuole, ma non ha nessun potere di firma. Così le Aziende hanno inventato il disclaimer che viene inserito automaticamente nelle email e che in pratica afferma che qualunque cosa dica un dipendente non è necessariamente valida. Ma allora perché gli si dà una email? Mistero …

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Ma restando sul tema, perché scriviamo così tanto e perché parliamo sempre meno?
Perché è molto più semplice. Quasi vile. È facile mandare una email alle 11 di sera, dicendo ad un collega che non consegneremo il lavoro che era atteso per il mattino seguente (per quanto nulla vieti al collega di scriverci di ritorno, tanto, ormai, il lavoro è sempre con noi). Ci vuole coraggio a chiamare e confessare la propria inadempienza. Sovente quando telefono a qualcuno avverto quasi disagio e quando chiedo “La disturbo?” penso che forse sarebbe stato meglio scrivere, ma poi vado avanti e in due o tre minuti di telefonata faccio un ragionamento che avrebbe richiesto 300 parole di email, magari scatenato una serie di botta e risposta. Magari comunico un ritardo ma subito propongo una soluzione. In modo dialettico.

In verità, osservando anche le nuove tecnologie, ho quasi l’impressione che si sia sviluppata una sorta di regola: un sistema di velocità di comunicazione. Si parte da una email, una sorta di fire and forget. È un documento ufficiale, seppur lento. Lo si usa per essere precisi (idealmente) ma anche per allegare documenti. Ovviamente non è detto che il ricevente la legga subito. Se si vuole una reazione più rapida si usa una chat interna. Da Slack alle chat aziendali sino ai più comuni Facebook Messenger e WhatsApp. Idealmente il ricevente legge, spunta ed è a conoscenza. L’ultimo step, stile emergenza mondiale, si chiama al telefono. Manco il telefono rosso dello Studio Ovale!

Comunque ormai è andata: ogni secondo, nel mondo, vengono inviate 3 milioni di email, 250 miliardi ogni giorno (non oso immaginare quanti equivalenti whatsapp). Collegatevi a Internet Live Stats ,il sito che in tempo reale misura le attività on line per stupirvi…

Ma quanto tempo impieghiamo, in media, per leggere la posta elettronica e tutta la messagistica? Secondo Bain & Company, un dirigente riceve più di 200 e-mail e dedica almeno 1 ora al giorno per smaltirle. Su Harvard Business Review Michael Mankins ha detto – a proposito del “costo delle comunicazioni inutili, non solo sul singolo dipendente, ma anche sulla società in termini di burn-out e perdita di produttività dei lavoratori” – che i capi devono assumersi “la responsabilità di cambiare il modo in cui il lavoro viene organizzato, solo così i dipendenti potranno restare sconnessi fuori dall’orario di lavoro e dedicare le ore lavorative a ottenere grandi risultati”. Mankins propone nello stesso articolo (che è del 2014…) di eliminare il tasto “rispondi a tutti”. Non sono certo sia la soluzione.

Non molti anni fa, l’amministratore delegato di una notissima casa automobilistica italiana impose una regola: massimo 3 destinatari per mail. Ma non funzionò: la stessa regola suggeriva di inoltrare le email per sfuggire al limite: Because of XXXX internal policy, this email can’t be sent to more than three recipients. Please, forward this email to all persons concerned by this subject.

A detta di molti, la soluzione alla proliferazione di email arriverà probabilmente dalla tecnologia con la cosidetta UCC, la Unified Comunication and Collaboration. Nella UCC convergono Instant messaging (chat), telefono (se VOIP), telepresence, ovviamente la email, gli SMS e così si possono consultare informazioni da dispositivi fissi e mobili, in modalità bimodale: analogica e digitale. Gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano hanno evidenziato i benefici della UCC in:

1- Benefici tangibili associabili: risparmio dei costi di comunicazione o delle spese di viaggio

2- Benefici intangibili: gestione del know how, dell’informazione e proprio del welfare, inteso come clima aziendale e qualità relazionale

Forse. Ma io penso che la tecnologia non basti e che ci voglia buona volontà. Il proverbio dice: Un bel tacer non fu mai scritto. Sai Baba suggeriva “Before you speak, ask yourself: Is it kind, is it necessary, is it true, does it improve the silence?” Oggi prima di mandare una mail, un sms o altro bisogna – potremmo parafrasare il Santo di Puttapharti – Before you write an email, ask yourself: Is it kind, is it necessary, is it true, does it improve your business?

Non sarà facile e come in ogni disciplina occorreranno l’esercizio e l’esempio. Per riappropriarsi del valore della comunicazione orale, segnalo l’ottima iniziativa degli Amici di Una Parola al Giorno, progetto nato a Firenze nel 2010, dall’idea di due giovani poco più che ventenni, con l’intento di riscoprire parole belle e poco conosciute. Magari usate ogni giorno, ma di cui ignoriamo l’origine ed il significato originale. Ogni giorno una mail, oppure dei bellissimi libri e audiolibri.

A partire da queste Festività che segnano la fine di un anno e l’inizio dell’Anno Nuovo, cerchiamo quindi di comunicare, scrivendo con giudizio e con moderazione e ricordando che stiamo interagendo tra individui e non solo con la mediazione di una mail o di uno strumento UCC… Papa Francesco ha trovato una sintesi che Patrick Mc Donnell ha illustrato benissimo: “La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo mai ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa”.
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Grazie e molti auguri a tutti.

Twitter @s_joly