Lo sapevate? Anche i bambini sanno parlare di economia a scuola

scritto da il 22 Gennaio 2020

<<Allora continuo (disse il Topo). Edwin e Morcar, signori della Mercia e della Northumbria, optarono per lui, e persino Stigand, il patriottico arcivescovo di Canterbury, trovò opportuno (…)>>

<<Trovò cosa?>> disse l’Anatra.

<<Trovò opportuno>> rispose il Topo piuttosto seccato. <<Lo saprai cosa vuol dire opportuno, no?>>

<<Io so quello che trovo quando trovo qualcosa>> disse l’Anatra. <<Di solito, è un verme o una rana. La questione è: cosa trovò l’arcivescovo?>>

L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

14 gennaio 2020, ore 8:20. Varco la soglia dell’Istituto G. Dezza di Melegnano. Lo confesso: sono emozionato e, tra l’ansia e il timore, faccio fatica a spiegarmi questo stato d’animo. Insegno ormai da circa quindici anni all’università, tengo conferenze, convegni, seminari, presento i libri che scrivo, pur non essendone mai troppo convinto, grazie a Dio, eppure, adesso, mi sento incerto, vacillo. Mi attendono dei bambini, ai quali devo dire che cos’è la povertà e i quali, a propria volta, sono altrettanto scossi: immaginano di dover incontrare una sorta di personaggio mitologico. Se sapessero quant’è grande la mia gratitudine nei loro confronti per il momento di celebrità che stanno per donarmi, sarebbe un incontro tra pari. Falsa modestia? Qualcuno potrebbe chiederselo. Il batticuore però c’è ed è incontrastabile. Perché? Provo a spiegarvelo.

L’aula si riempie in dieci minuti. Mi sfilano innanzi ossequiosi. Salutano, accennano a un sorriso e abbassano immediatamente lo sguardo. Hanno tutti circa dieci anni, sono umili e volenterosi, ma determinati e mostrano fieramente, ma inconsapevolmente, i segni della speranza, di qualcosa che non è semplicemente un sogno a occhi aperti o una visione delle cose; è anzitutto una rappresentazione autentica del mondo. A quest’età, infatti, ogni parola rappresenta il mondo stesso, ogni discorso lo ridisegna interamente, ogni azione ne propone addirittura un altro. Senza rifletterci troppo, mi viene da pensare che il primo atto di un educatore responsabile consista in una benefica rinuncia: rinunciare al proprio dominio per accedere a quello del bambino. Tuttavia non sono un pedagogista né uno psicologo. Quindi, non aggiungo altro in tal senso. Frattanto, però, continuo a chiedermi quale sia il modo giusto per conciliare l’esigenza ludico-didattica degli alunni e la complessità dello spinoso argomento. Comincio a capire… No, forse, comincio solo a immaginare quanto sia difficile il lavoro delle maestre delle scuole elementari. Al G. Dezza sono tutte donne, come d’altronde nella maggior parte degli altri istituti d’Italia.

In dieci minuti sono pronti, energici, grintosi. L’insegnante Daniela Nicosia, coordinatrice del plesso Cadorna, mi presenta e introduce l’argomento. So che ogni parola che uscirà dalla mia bocca dovrà avere un rapporto diretto col mondo. Non c’è spazio per i sofismi o per i giri di parole. Questi uditori mi ‘sgamerebbero’ subito, come si suol dire. Dunque, una grande lezione per me.

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A questo punto, è appena il caso di far conoscere al lettore l’antefatto. Un paio di mesi prima, avevo scritto un pezzo proprio per Econopoly, in cui avevo trattato il problema della povertà: il focus del mio lavoro era stato l’Indice di Sviluppo Umano (HDI), a partire dal quale avevo sviluppato uno studio comparato tra reddito pro capite ed ‘economie estrattive’. Non sapevo quanti fossero stati i lettori del mio contributo né quale fosse il loro gradimento, ma di certo non mi sarei mai aspettato di essere contattato da un’insegnante dell’Istituto Comprensivo G. Dezza, la summenzionata Daniela Nicosia, la quale, avendo letto e apprezzato il mio l’articolo, aveva deciso di usarlo come spunto per una ricerca da assegnare ai propri giovani alunni. Non solo: la preside, la dottoressa Laura Cusinato, d’accordo con le insegnanti che avevano aderito all’iniziativa, mi aveva invitato presso la scuola. Sarebbe ingeneroso dire che sono riusciti a produrre lavori sorprendenti. Perché? Perché i bambini sono andati molto oltre la semplice compilazione. Naturalmente, ne avevo parlato con Alberto Annicchiarico, il quale, essendo fondatore, oltre che curatore del blog in questione del Sole 24 Ore, s’era mostrato gratificato e contento della scelta didattica.
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Adesso, torniamo al presente narrativo.

Ginevra, Beatrice, Nicole, Pietro, Lorenzo, Ludovica, Emma, Sofia, Davide, Giulia, Riccardo, Alessio: sono solamente alcuni dei giovani ‘ricercatori’ di cui ricordo il nome. Sono seduto accanto alla maestra, proprio presso la cattedra. A turno, suddivisi per gruppi di ricerca, come nel migliore dei modelli di studio, si avvicinano recando con sé un quadernone e un cartellone.

In bella vista, accuratamente ritagliato e sottolineato, l’articolo di Econopoly: Povertà, diminuisce, ma per la maggior parte è creata artificialmente. Mi lascio catturare dal privilegio della contemplazione: i cartelloni, in particolare, sono colmi di dati. L’armonia dei colori con cui sono state realizzate le cartine, il rigore e lo zelo che traspaiono dai testi e la creatività artistica che contrassegna ogni elemento della composizione rivelano una forza intellettuale che di sicuro si fa fatica a riconoscere in un adulto. Il nostro mondo, anche se per poco, mi appare come il migliore dei mondi possibili, senza che ciò implichi – intendiamoci! – alcuna suggestione leibniziana. L’insegnante m’informa di avere spiegato il concetto di percentuale, cosicché gli alunni sono diventati gli attori di un vero e proprio laboratorio: hanno definito, per esempio, il numero di abitanti della regione subsahariana, la più povera del mondo, ne hanno estrapolato il dato sulla povertà assoluta, hanno suddiviso la popolazione per fasce d’età e, da ultimo, ha pure dato spazio al reddito pro capite. L’idea secondo cui i bambini hanno dei limiti intellettuali, tali che ‘certi presunti adulti’ si rivolgono a loro cantilenando scemenze, dipende esattamente e inequivocabilmente dai limiti intellettuali degli adulti stessi.

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I bambini sanno parlare di economia e lo fanno con padronanza di linguaggio, se opportunamente motivati e indotti alla meraviglia della scoperta.

“Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” Mt 18, 3

Apprendo pure che un’altra classe dello stesso istituto ha svolto la stessa ricerca sotto la guida della maestra Deborah Zago. Le due insegnanti, in collaborazione con la collega Cecilia Bianchi, la veterana del team, hanno dato vita a un vero e proprio centro studi. La dottoressa Cusinato può essere soddisfatta del proprio lavoro e di quello delle proprie insegnanti: se, su 498 alunni del plesso, una cinquantina di loro reagisce con tale prontezza a una consegna del genere, ciò vuol dire una sola cosa: a dispetto della scarsità di fondi e delle lacunose riforme, la scuola può funzionare lo stesso. Soprattutto: la scuola non può e non deve essere solo un cumulo di teorie e nozioni, ma può e deve qualificarsi fin dai primi anni come una pratica della conoscenza, una scoperta del mondo e della comunità entro cui siamo chiamati ad agire.

Frattanto, cioè tra una mia riflessione e l’altra, i giovanissimi iniziano ad esporre oralmente i propri lavori: parlano del metodo, raccontano dei propri coetanei africani o sudamericani costretti ad andare a scuola col morso della fame, affrontano il problema dell’alfabetizzazione e sono inarrestabili. Mi viene pure concesso d’interrogarli. Non vorrei farlo. Non credo d’averne l’autorità, ma non sarebbe giusto deludere le aspettative dei piccoli ricercatori, cosicché pongo loro qualche domanda. L’esito è scontato: hanno studiato e lo dimostrano. Poi, legittimamente, ‘contrattaccano’ perché la loro curiosità è vivida, incondizionata e insaziabile. Andiamo tutti davanti alla cartina e osserviamo insieme le regioni povere, chiacchierando amabilmente. E il tempo scorre inesorabile: 3 ore di un vero e proprio workshop, che all’università o in un consesso più ‘maturo’, probabilmente, avrebbero indebolito le resistenze dell’uditorio.

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Per anni, da studioso della lingua e, più ancora, da analista del linguaggio dell’economia, mi sono chiesto quale fosse l’utilità del mio lavoro, delle mie competenze. Mi sono detto più volte: – Se avessi fatto il medico, molto probabilmente, avrei salvato delle vite umane. Se avessi fatto l’elettricista, avrei saputo realizzare degli impianti. Il vigile del fuoco? Avrei protetto delle persone. Ma così… -. Spesso è difficile capire, bisogna ammetterlo. Cosa ho trasmesso davvero ai miei studenti? Ho permesso loro d’instaurare un discreto rapporto col mondo e con la realtà? Li ho aiutati, in qualche modo? E perché continuo a scrivere? Di fatto, questo mondo di cui sempre parlo può fare tranquillamente a meno della mia scrittura, dei miei articoli, dei miei libri… Non sono il nuovo Manzoni o il nuovo Dostoevskij né, tanto meno, un Amartya Sen rivisitato. Sono solo uno che studia tanto, come ce ne sono tanti, anche più talentuosi di me.

Se tuttavia devo individuare almeno un motivo valido per andare avanti con caparbietà, allora non posso fare altro che individuarlo nel lavoro dei bambini dell’Istituto G. Dezza di Melegnano e in quello delle loro insegnanti, che mi hanno materialmente e spiritualmente rigenerato, tanto che, adesso, non posso non pensare – fiabescamente, lo confesso – che andare in giro per le scuole d’Italia a fare sana divulgazione scientifica sarebbe, forse, il ‘mestiere’ più bello del mondo.

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E arriva anche il momento di gloria per Econopoly: non per autocelebrazione del blog ed effimera esaltazione del suo fondatore… sarebbe miseria umana e tutte le energie dedicate, nel tempo, all’informazione sarebbero immediatamente sprecate. Raggiungere questi lettori vuol dire creare un forte spirito di comunione, come nella migliore lezione del Simposio di Platone, un simposio itinerante in cui letteratura e vita non sono più separate l’una dall’altra.

“Non si accende la lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” Mt 5, 15

 

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