Lucciole per lanterne (rosse). La pandemia di errori sui cinesi in Italia

scritto da il 08 Febbraio 2020

L’autore di questo post è Luca Martucci, consulente ed esperto di marketing di destinazione –

L’impatto del coronavirus sul turismo in Italia sarà consistente. Se è ancora presto per dire quanto, non è mai troppo tardi per ribadire che certe previsioni sono basate su dati discutibili e vere e proprie acrobazie statistiche.

Il neologismo infodemia è entrato da qualche giorno nella Treccani, che frettolosamente ha attribuito la sua paternità all’OMS, al pari di molti media. In realtà, grazie ad un paio di tweet, abbiamo scoperto che il termine inglese infodemic fu coniato da David J. Rothkopf nel 2003 in relazione alla SARS , mentre già si parlava di infodemia nel libro “I meccanismi complessi della comunicazione nelle emergenze” (G. Manfredi 2015).

Di numeri strani e fake news ne avevamo parlato sempre su Econopoly  due anni fa. La situazione si è aggravata con l’ esplosione del virus e, come era prevedibile, oltre all’epidemia di informazioni sul Corona, si sta diffondendo l’infodemia di dati sui turisti cinesi in Italia e sulle perdite che verranno.

Lasciamo all’ OMS il compito di combattere l’infodemia sull’uso dell’aglio o sul pipistrello della blogger nelle Filippine, e cerchiamo di fare chiarezza e dare il nostro resiliente contributo per contrastare quella in oggetto ed il panico eccessivo che l’ accompagna.
La prima domanda è: ma quanti sono i turisti cinesi in Italia? I dati ufficiali al momento disponibili sono ancora quelli 2018 .Come noto le due statistiche divergono non poco sul numero degli arrivi con ovvi riflessi su peso ranking e permanenza media.

immagine-1-cina2018_masterPer il 2019 si dà per scontato un sensibile incremento basato sulla previsione di arrivi aeroportuali di +16 % fino a novembre e sul solito incontrollabile ottimismo diffuso. Prima dell’ avvento del virus era tornato a circolare il numero magico dei 4 milioni di arrivi, a volte come risultato del 2019 , altre come previsione per il 2020.

Per sapere com’è andata dovremo aspettare Novembre, ma non saremmo così ottimisti. Emilia Romagna e Liguria, tra le poche regioni virtuose che pubblicano i dati provvisori, avrebbero registrato lo scorso anno una flessione degli arrivi di cinesi rispettivamente del 14 e dell’11%.

Poco incoraggiante anche Il dato provvisorio di Banca d’ Italia fino a settembre 2019. Seppure la statistica consideri solo Asia e Giappone, gli altri mercati che si ottengono per differenza, e dove la Cina ha ovviamente il suo peso, mostrano un calo del 2% degli arrivi.

Se questi quattro milioni di arrivi ( anche tre!) usati per affermare un presunto primato in Europa, non sono credibili ( l’Italia supererebbe anche gli USA !), i cinesi sono fermi ancora ai loro 1,4 milioni di arrivi in Italia del 2017 come si legge tra i sottotitoli del loro video presentato qualche settimana fa all’inaugurazione dell’ Anno della Cultura e Turismo Italia Cina (però, che sfiga!). Insomma niente di eccitante visto che parlavano dello stesso numero già per il 2016 come dicevamo in un altro nostro articolo.

La questione più importante: quanto vale il turismo cinese in Italia ?

Anche qui nessuna novità. Nessuno lo sa. L’unico dato ufficiale è sempre quello di Banca d’ Italia : 626 milioni di euro nel 2018 (+ 40% vs. 2017), con un peso del 1,6 % sul totale che pone la Cina al sedicesimo posto del ranking , mentre nel mondo è al top delle classifiche. Strano ma vero, ed accettato da tutti senza farsi troppi problemi.

Non ci stanchiamo di ribadire che questo dato è fortemente sottostimato. Basti dire che la spesa per motivazione di viaggio acquisti/shopping dei cinesi in Italia per Banca d’ Italia sarebbe incredibilmente pari a zero, nonostante quanto dichiarato continuamente dalle aziende che operano nel tax fre shopping. Come sempre da queste possiamo aspettarci solo dati percentuali , che questa volta purtroppo saranno com il segno meno.

Così a Milano i cinesi avrebbero speso per l’Istituto di Via Nazionale solo (per molti “ben“) 155 milioni di euro, mentre il sindaco di Milano ha parlato di circa 300 milioni..ma al mese !( fonte Confcommercio). Per quelli che si accontentano di questo dato davvero inostenibile questa è la distribuzione mensile.

immagine-2-spesacinesi_mensileLe mele (arrivi ISTAT) con le pere (spesa Banca d’ Italia) o viceversa

In uno scenario così confuso è comprensibile lo smarrimento dei giornalisti. Possiamo anche perdonare la superficialità ed errori ricorrenti come quello di scambiare il numero delle presenze con quello degli arrivi, non quando prendono migliaia per milioni.

Troviamo invece sbalorditiva la disinvoltura con la quale, non solo uffici studi od istituti di ricerca, ma soprattutto le massime istituzioni del turismo mettono insieme 3 o 4 milioni di arrivi con una un dato di spesa così esiguo ( e che si riferisce a ben altro universo di arrivi) .

Possibile che nessuno si preoccupi del conseguente parto di una spesa pro-capite davvero irrisoria? Nessuno fa un confronto con i dati ben più consistenti dichiarati da altri paesi, per i quali il numero di arrivi è più vicino a quello seppure sottostimato di Banca d’Italia?

Così le previsioni sull’impatto economico del corona virus sul turismo cinese di associazioni di categoria, istituti di ricerca od esperti vari spaziano da chi si accontenta del suddetto dato ufficiale ( definito a volte tesoretto ), a chi parla di 800 milioni, di un miliardo e mezzo, fino a due miliardi di euro, ottenuti con l’ acrobazia statistica di prendere la spesa unitaria di Banca d’ Italia e moltiplicarla per gli arrivi di ISTAT ! Quest’ultimo studio, che estende l’ effetto vírus ad altri mercati, stima 4,5 miliardi di perdite. È la previsione (finora) più catastrofica e, per questo, ovviamente quella che va per la maggiore su social e media.

Cinque milioni di presenze: dove vanno in Italia e chi rischia di più

Il dato ISTAT resta il più attendibile, al netto del sommerso che in questo caso vista la preferenza dei Cinesi per gli hotel, dovrebbe essere di poco conto. Questa la stagionalità.

immagine-3_presenzeitalia_mensileLa distribuzione per regioni visitate dimostra la preponderanza delle prime quattro (80% del totale cinesi ) con un peso comunque relativo sul totale stranieri , che diventa irrisorio per buona parte delle altre, per le quali non dovrebbe essere difficile trovare alternative in mercati ben più significativi.

immagine-4-presenzecinesi_regioniLe prime 20 provincie consuntivano l’86 % del totale. Oltre alle solite Big Four, troviamo Treviso, Padova (Abano Terme) o Pistoia ( Montecatini ) grazie ai gruppi che le preferiscono per risparmiare sulle tariffe alberghiere e visitare Venezia e Firenze in giornata, e Varese e Prato caratterizzate da una forte presenza di cinesi residenti. Le città dormitorio e quelle cartterizzate da flussi per lavoro o visita di parenti ed amici saranno probabilmente quelle che più soffriranno nel breve termine e si troveranno meno preparate per sbocchi alternativi.

immagine-5_presenzecinesi_top20provincie“Ho sempre cercato di trasformare i disastri in opportunità” – John Rockefeller

Impossibile prevedere oggi l’effettivo impatto del coronavirus sui flussi anche da altri mercati nel caso in cui la situazione diventi davvero pandemica. Limitandoci a quelli dalla Cina non facciamoci prendere dal panico: stiamo parlando comunque di poco più del 2 % di tutte le presenze internazionali!

Dopo la “sinoturismomania” che ha portato negli ultimi anni anche regioni o comuni meno visitati ad ingenti investimenti di marketing più per modismo che per visione strategica, questa crisi, che speriamo si risolva presto, almeno può essere di stimolo per un paio di riflessioni .

La prima riguarda l’insostenibile inadeguatezza delle statistiche ufficiali per una potenza turistica come l’Italia. La seconda è relativa alla capacità di player pubblici e privati di saper leggere ed interpretare nei dati disponibili (anche se non attualizzati ) le opportunità che offrono tanti altri mercati.

Nel 2018 l’Italia ha guadagnato quasi 6 milioni di presenze internazionali (delle quali solo 300mila dalla Cina) pur avendone perse quasi un milione ( circa 700mila dal suo primo mercato). Le potenzialità ed il trend di crescita dei grandi mercati europei (salvo il rischio Brexit per il Regno Unito) unitamente al recupero possibile da quelli del Nord, offrono chiare opportunità. Senza scordare che sono bacini che, per prossimità, facilità di accesso e percentuale di repeater, sono anche più compatibili con obbiettivi di dispersione locale e temporaria dei flussi turistici.

immagine-6-variazioni2018_top20marketsTra i principali mercati di lunga distanza si distaccano gli USA non solo per le quantità , ma anche per la crescita degli ultimi tre anni a fronte della stasi delle presenze cinesi dopo il boom del 2015 (+ 54 %).

lmmagine-7-evoluzione-mercatilonghaul2010_2020-1Infine non può che farci piacere sottolineare che, se l’effetto vírus purtroppo confermerà l’emorragia di turisti cinesi, il Brasile, senza manco un decimo degli investimenti fatti sulla Cina, quest’ anno potrebbe battersi per il secondo posto con la stessa e con l’Australia.

Insomma, si tratta di non piangersi addosso e rimboccarsi le maniche…

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