Tesla è davvero una bolla? Quando e perché si parla di bolle speculative

scritto da il 10 Febbraio 2020

A inizio ottobre 2019 un’azione di Tesla valeva 240 dollari; appena quattro mesi dopo la stessa azione poteva essere acquistata per 922 dollari e Tesla è diventata la seconda compagnia automobilistica di maggior valore al mondo. Eppure, solo un analista su cinque consiglia l’acquisto delle azioni dell’azienda di Musk, che rimangono le più vendute allo scoperto sul mercato americano. Ciò significa che gli investitori scommettono sul fatto che il loro valore stia per calare.

Alla luce di queste evidenze, diversi esperti hanno indicato Tesla come una possibile nuova bolla speculativa, non diversa da quelle che hanno interessato Bitcoin e i prezzi del petrolio qualche anno fa. Ma cos’è esattamente una bolla?

Che cos’è una bolla?

Per bolla speculativa si intende il progressivo scostamento tra il valore di mercato di un bene, ovvero il prezzo a cui viene scambiato sui mercati, e il valore intrinseco dello stesso, il suo “giusto prezzo”. Quest’ultimo è difficile da determinare, motivo per cui una bolla è difficile da individuare. In ambito finanziario, il valore reale viene dunque approssimato attraverso l’analisi fondamentale, una tecnica che si basa sulle caratteristiche economico-finanziarie della società, tra cui flussi di cassa, ricavi, utili e dividendi e sulle prospettive di crescita del settore in cui opera. I metodi più utilizzati consistono nell’attualizzare i flussi di cassa o i dividendi futuri attesi dell’azienda, o nel confrontare alcuni indicatori significativi dell’azienda, come ad esempio il rapporto tra il prezzo di un’azione e gli utili per azione (noto come Price-Earnings ratio o P/E), con quelli di altre aziende comparabili per settore e dimensioni (metodo dei multipli). Con riferimento a Tesla, il fatto che quest’ultima presenti un P/E pari a 48,58 mentre General Motors e Ford rispettivamente di 5,58 e 6,34 è un indizio della possibilità di un’errata valutazione della società californiana.

L’analisi fondamentale aiuta gli investitori a capire se un’azienda è sopravvalutata o sottovalutata e orienta le loro decisioni di investimento. Seguendo questo ragionamento non dovrebbero verificarsi (duraturi) scostamenti tra valore di mercato e valore intrinseco, poiché gli investitori intervengono tempestivamente a chiudere eventuali scostamenti. Questa è l’ipotesi di efficienza dei mercati. Come si spiegano allora le bolle speculative di cui è costellata la storia? Da un lato, la finanza comportamentale sostiene che gli investitori, mancando di razionalità economica, commettono errori sistematici nelle proprie scelte. Per esempio, adattandosi al comportamento di coloro che li circondano senza considerare le informazioni a propria disposizione (il cosiddetto comportamento del gregge), oppure riponendo eccessiva fiducia nelle proprie capacità (bias dell’ottimismo) o nell’esistenza di un investitore più folle disposto a pagare ancora di più (teoria del greater fool). Dall’altro lato, alcuni modelli spiegano la nascita delle bolle senza discostarsi dal paradigma di razionalità degli agenti. Un titolo viene acquistato a un prezzo già troppo elevato rispetto ai fondamentali perché è razionale assumere che possa ancora crescere.

Come si forma una bolla?

La prima fase di una bolla è caratterizzata da un animato interesse tra gli investitori, spesso giustificato dalle potenzialità di un’azione e dunque razionale. Non a caso le bolle speculative sono più frequenti nei settori innovativi. Tuttavia, la componente psicologica prende presto il sopravvento: data l’innovatività del modello di business, gli agenti basano le proprie aspettative su prospettive di guadagno immediato e non più sui fondamentali. La bolla comincia a gonfiarsi, sostenuta da una domanda crescente, innescando un circolo vizioso potenzialmente infinito: nuovi investitori, attratti dai facili guadagni, entrano sul mercato causando un aumento della domanda che spinge ulteriormente i prezzi, attirando altri investitori, e così via.

I problemi nascono nel momento in cui investitori e società si affidano in maniera massiccia all’uso della leva finanziaria, ovvero finanziano il proprio ingresso nel mercato contraendo debiti. Un eccessivo indebitamento è problematico perché la crescente domanda di credito da parte degli agenti causa un aumento del prezzo (seguendo il noto meccanismo di domanda-offerta), che in pratica si traduce in un incremento dei tassi di interesse e quindi in una maggiore onerosità dei debiti. Inoltre, sottopone gli agenti a un rischio di liquidità, ovvero al rischio di non riuscire a ripagare un debito quando scade, costringendoli a vendere i titoli in proprio possesso: la bolla è esplosa. Gli investitori hanno bisogno di vendere per ripagare i debiti, ma più vendono più il prezzo scende e i rendimenti calano, e meno è conveniente mantenere i titoli in portafoglio: con un ritmo spesso molto più sostenuto di quello che ne ha caratterizzato l’ascesa, i prezzi cominciano inesorabilmente a calare.

Le conseguenze dello scoppio di una bolla possono essere disastrose (si pensi agli Stati Uniti dopo l’esplosione della bolla immobiliare nel 2008), con effetti sull’intero sistemo economico. Due i fenomeni principali: la stretta creditizia e l’effetto ricchezza. Il primo si verifica quando le banche, temendo un tasso di default eccessivo, diventano restie a concedere credito, riducendo il livello di investimenti e consumi, e in ultimo impattando negativamente il Pil. Il secondo è più semplicemente il risultato delle perdite sostenute dagli agenti in seguito allo scoppio della bolla: essendo più poveri, riducono i propri consumi impedendo lo sviluppo economico, o accelerandone la frenata. Nei casi meno complessi invece, come quelli riguardanti un singolo titolo, la conseguenza principale sono le perdite sostenute dagli investitori, spesso ingenti a livello personale, ma difficilmente in grado di sconvolgere un’economia.

Tesla: una nuova bolla?

Si può quindi sostenere che Tesla sia l’ennesimo caso di bolla speculativa? Rispondere a questa domanda è difficile, poiché una bolla può essere definita tale solamente ex-post, ma analizziamo degli elementi. Da un lato, Tesla rappresenta un caso di compagnia molto innovativa in un mercato in forte sviluppo, restando tuttavia carente in termini di solidità reddituale e finanziaria. L’analisi dei multipli porta a pensare a una sopravvalutazione dovuta all’euforia. Pertanto, adottando questa visione, Tesla non sarebbe diversa dalle azioni della bolla Dot-Com: attrattiva in quanto lanciata in un mercato “futuristico” ma non sostenuta da solidi fondamentali e dunque incapace di crescere sul lungo periodo.

D’altra parte, però, la performance reddituale e finanziaria di Tesla è migliorata gradualmente nel tempo: l’azienda ha ottenuto flussi di cassa positivi in cinque degli ultimi sei trimestri, risultato abbastanza notevole per un’azienda così giovane, oltre ad aver battuto le aspettative degli analisti riguardo i dati finanziari del 2019. Non a caso, è stata recentemente interessata da un cosiddetto short squeeze, un fenomeno che si verifica quando coloro che avevano scommesso su un ribasso dei prezzi, spaventati generalmente da una ripresa delle performance finanziarie, decidono di chiudere le proprie posizioni per evitare perdite ingenti nel futuro.

Bolla o no? Forse il titolo è sopravvalutato, ma non si può biasimare chi, attirato dai facili guadagni, voglia partecipare alla corsa di Tesla. D’altronde, anche il celebre scienziato Sir Isaac Newton rimase coinvolto in una bolla finanziaria: comprò azioni della South Sea Company e perse una fortuna.

Twitter @Tortugaecon

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