Le dannose complicazioni del Decreto fiscale sulla filiera degli appalti

scritto da il 14 Febbraio 2020

Poco meno di un anno fa, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte proferiva queste parole:

«Sentite parlare di Dl semplificazione che contiene alcune norme. Non siate delusi. C’è una legge delega approvata a dicembre sulla semplificazione (…) che sarà la madre di tutte riforme». Inoltre, «Dobbiamo fare in modo che non ci sia mai una sovra-regolazione», nonché «Lavoriamo molto per la semplificazione. Il nostro paese ha bisogno di semplificazione dell’ambiente legale che sia aperto e più facile per business community».
Tralasciando in questa sede il destino della “madre di tutte le riforme” -per il quale consiglio il recente pezzo di Carmine Fotina- vorrei soffermarmi su un esempio di come si stia “semplificando” il lavoro quotidiano di quella business community menzionata da Giuseppe Conte.

Con il Decreto-legge n. 124/2019 (cosiddetto “Decreto Fiscale”), convertito in Legge sul finire del 2019, il Governo si è posto il principale obiettivo di lottare contro l’evasione fiscale. Tra le misure previste, il Decreto interviene con una stretta sulla filiera degli appalti a cosiddetta “alta intensità di manodopera”. Lo scopo prefissato dal Governo è quello di «(…) contrastare l’illecita somministrazione di manodopera e l’aggiramento della normativa contrattuale in tema di appalti da parte di cooperative o imprese fittizie, che in tal modo evadono l’Iva e non procedono al versamento delle ritenute sui redditi dei lavoratori».

Per raggiungere questo fine, il Decreto impone una serie di nuovi e ulteriori obblighi  lungo la filiera degli appalti. In sostanza, possono comportare sospensioni di pagamento a catena o l’applicazione di sanzioni. È il grande tema della responsabilità solidale dei committenti. Da notare che l’ordinamento già prevede degli obblighi in capo ai committenti (Decreto legislativo n. 276/2003). Era altresì prevista una responsabilità solidale in tema di ritenute fiscali, ma era stata abolita nel 2014 con il decreto sulle semplificazioni fiscali (sic!).

Adesso tornano gli adempimenti, che stanno generando il caos nella cosiddetta business community. Appare inutile entrare nei dettagli tecnici della normativa (per i quali basta leggere quotidianamente il Sole 24 Ore). Cerchiamo di ragionare sull’impianto complessivo.

Ogni azienda deve adempiere agli obblighi di legge in tema di pagamento delle imposte e di versamento di contributi previdenziali. Qualora non lo faccia, può incorrere in responsabilità amministrative o penali, a seconda del caso, oltre che reputazionali.

Ma allo Stato non basta che le aziende siano compliant. Molto spesso esso chiede alle aziende di “aiutarlo” nell’esercizio delle sue funzioni primarie, come quelle relative agli accertamenti tributari. Immaginate un quartiere nel quale ci sia una filiale di una banca pubblica e venga imposto agli abitanti non solo un comportamento negativo (non rapinare la banca), ma anche -a pena di sanzioni- uno positivo (organizzare delle ronde, installare a proprio costo degli impianti di videosorveglianza ecc.).

Ora, non occorre banalizzare eccessivamente il tema con esempi che esulano dal contesto. L’evasione dell’IVA, ad esempio, è una piaga italiana conclamata, che ci imbarazza a livello europeo. Ma occorre capire che ogni ulteriore onere burocratico che si va ad aggiungere alle aziende “sane”, va ad indebolire la produttività delle stesse.

Per far comprendere al lettore il tema generale, quanto segue è un tipo di adempimento previsto (Art. 4 del Decreto Fiscale).

docuemnto

In bocca al lupo!

Si sperava che la soglia abbastanza alta prevista per l’applicazione della norma  potesse limitare l’impatto quantitativo della misura. (affidamento di una o più opere o di uno o più servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000) Ma la circolare dell’Agenzia delle Entrate fornisce un’interpretazione estensiva, che allargherà notevolmente l’ambito di applicazione[1] (anche su subappalti di poche migliaia di euro).

L’unica speranza è che si renda agevole la possibilità di ottenere “il certificato di sussistenza dei requisiti”. La presenza di quest’ultimo comporterebbe l’esclusione dall’ambito di applicazione. Il sistema dovrebbe funzionare alla stregua del Durc. Si tratta di verificare il possesso di requisiti che dovrebbero dimostrare la compliance fiscale del soggetto (e già potrebbero sorgere problemi, essendo un atto unilaterale dell’Agenzia). Ma stupisce che ciò sarà precluso alle aziende che abbiano meno di tre anni di vita. (uno dei requisiti richiesti per l’ottenimento del certificato)

Ciò potrebbe comportare che un’impresa “vecchia” venga preferita dal cliente ad una “giovane”, perché quest’ultima si porterebbe dietro maggiori complicazioni burocratiche. La finalità è chiara: si vogliono colpire le aziende create ad hoc e “fatte sparire” rapidamente. Ma, ancora una volta, non sembra il modo più efficiente per contrastare il fenomeno, perché impatta notevolmente sulle aziende “sane” che si affacciano sul mercato.

In un post di qualche mese fa, commentavo la decisione della Corte di Giustizia Europea contro le eccessive limitazioni imposte dal legislatore italiano in materia di subappalti pubblici. Secondo la Corte, ci sono modi meno invadenti per cercare di raggiungere importanti obiettivi socio-economici, senza condizionare eccessivamente la libera iniziativa privata.

Una lezione che facciamo fatica a imparare.

Twitter @frabruno88

[1] «Tuttavia, al fine di evitare aggiramenti della soglia dei 200.000 euro (uno dei presupposti di applicabilità previsti dal comma 1 dell’articolo 17-bis e meglio specificato del successivo paragrafo 3), mediante il frazionamento dell’affidamento di opere o servizi di ammontare superiore alla soglia in più subaffidamenti di importi inferiori, la soglia di 200.000 euro sarà verificata unicamente nel rapporto tra originario committente, anche se non rientrante nell’ambito di applicazione del comma 1 in esame, e affidatario.»
Agenzia Entrate – Circolare N.1/E