Mascherine, Manzoni e Grande Carestia irlandese: gli svarioni della storia

scritto da il 27 Febbraio 2020

La vicenda delle mascherine in vendita su Amazon, a prezzi più consoni a dei gioielli che a dei comuni presidi sanitari, ha aperto una selva di polemiche, interventi ed articoli sul ruolo dei prezzi e del mercato che sono arrivati fino a citare il famoso episodio dell’assalto al Forno delle Grucce nella Milano del 1628 descritto dal Manzoni ne “I Promessi Sposi”.

Il capitolo XII del romanzo narra infatti la vicenda dell’assalto al Forno delle Grucce da parte del popolo di Milano.

Ma cosa era successo?

Manzoni racconta che due anni di raccolti scarsi, uniti alle devastazioni e ruberie dovute alla guerra contro Mantova ed il Monferrato, avevano prosciugato le scorte granarie della città di Milano.

La conseguenza fu un rincaro dei prezzi del pane dovuto alla scarsità. Il popolo affamato, non in grado di poter acquistare il poco pane disponibile a caro prezzo, era in tumulto. Diceva che il frumento era accumulato e nascosto da profittatori, che ce ne fosse in realtà in abbondanza e chiedeva quindi al governo della città di prendere le opportune misure.

Queste pressioni da parte della popolazione portarono il gran cancelliere, lo spagnolo Ferrer, a stabilire per decreto il prezzo del grano a 30 lire il moggio contro le 80 di “mercato”.

La popolazione assediò quindi i forni, ansiosa di acquistare il pane finalmente a prezzo calmierato, salvo poi che i fornai, lavorando in perdita, minacciavano di fermarne la produzione.

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L’assalto al forno delle Grucce

A quel punto una giunta di notabili costituita dallo stesso Ferrer stabilì un rincaro del prezzo del pane, riportandolo a prezzi “di mercato”, ma la folla, di nuovo non in grado di comprarlo, vedendo la mattina uscire dai forni i garzoni con le gerle piene di pane, destinate alle “solite case”, li aggredisce per rubarglielo e poi assalta un forno lì vicino, il famoso Forno delle Grucce.

Questo in breve riassunto la vicenda descritta dal Manzoni, inopinatamente portato, con la sua auctoritas, in mezzo a queste polemiche.

Perché inopinatamente?

Perché l’opera di Manzoni è un romanzo, storico certo, ma sempre pieno di distorsioni ed inesattezze, in parte accidentali, in parte volute perché l’autore volle dare all’opera diversi fini morali ed ideologici.

Già a una prima lettura si capisce che il racconto zoppica, per esempio se si calmiera il prezzo del grano perché ci perdono i fornai, che ne sarebbero gli acquirenti, e non i mercanti o i produttori agricoli? Inoltre alla penna dello stesso Manzoni sfugge che la popolazione si rivolta vedendo il pane destinato alle “solite case”, cioè ai nobili in grado di comprarlo.
Gli stessi nobili che probabilmente erano nella giunta che aveva abolito il prezzo calmierato. Questo per dire come poi il funzionamento dei prezzi del libero mercato aveva “ben allocato” questo bene indispensabile in una situazione di scarsità.

La realtà inoltre è più complicata e molto diversa.

Quella che viene descritta da Manzoni, ligio alla sua propaganda anti austriaca utilizzando come proxy i dominatori spagnoli, come una gestione improvvisata e contraria al buon senso, era la normalità in una epoca in cui la gestione dei principali beni alimentari era scrupolosamente amministrata dalle autorità pubbliche tramite l’istituto, di origine romana, dell’Annona.

La Milano Spagnola aveva numerose funzioni pubbliche, tutte in mano al patriziato milanese, Magistrato delle Entrate Straordinarie, Tribunale di Provvisione, Vicario di Provvisione, Giudice delle Vettovaglie, ecc (1), che si occupavano sia della fornitura degli alimenti di prima necessità, non solo grano, sia del loro immagazzinamento, sia del controllo delle compravendite, stabilendo settimanalmente il prezzo al quale dovevano esser ceduti sul mercato di Milano, in un continuo confronto-scontro con le corporazioni dei mercanti, con l’esigenza di mantenere la popolazione tranquilla e, soprattutto, con il fine di mantenere bassi i salari.

Tale sistema non fu precipuo dello stato milanese sotto dominazione spagnola, ma era diffuso in tutti gli stati europei dell’Ancien Régime e durò per decenni anche in epoca contemporanea in molte realtà, salvo poi essere rispolverato nei momenti di crisi quali le guerre. Chi non si ricorda la tessera annonaria dei nostri padri e nonni durante la seconda guerra mondiale?

Il racconto del Manzoni è quindi la descrizione del “fallimento” di un tipo di mercato, quello dei prezzi amministrati per i beni alimentari di prima necessità, probabilmente causato da incapacità dei funzionari, da imprevisti e dalla sottovalutazione degli effetti della guerra.

Ai contemporanei non dimostrò però assolutamente l’inefficienza di questo sistema tanto che Ludovico Antonio Muratori ne tesse le lodi nel suo “Della Pubblica Felicità” pubblicato nel 1749, salvo evidenziare le storture e gli errori da evitare, mentre solo venti anni dopo, nel 1769, Pietro Verri con le sue “Riflessioni sulle leggi vincolanti, principalmente nel commercio de’grani.” propone invece come migliore la libertà di commercio e di prezzo, con posizioni vicine a quelle dei fisiocratici francesi.

Ma la storia non ci parla solo di fallimento dei prezzi amministrati, ma anche di fallimento dei prezzi di libero mercato, e con esiti ancora più tragici di quelli descritti dal Manzoni: sto parlando della Great Famine irlandese del 1845-49.

L’Irlanda, allora interamente sotto il controllo del Regno Unito, era una regione quasi completamente agricola, dominata da grandi proprietà signorili la cui produzione di cereali e di carni era destinata all’esportazione verso l’Inghilterra. La dieta della stragrande parte della popolazione era invece basata sulla patata, coltivata nelle piccole proprietà personali dei contadini irlandesi.

L’apparire nel 1845 della peronospora della patata, una malattia che la rendeva inutilizzabile, iniziò un terribile periodo di carestia lungo cinque anni. Il primo anno il governo dei Tories cercò di minimizzare gli effetti, vietando le esportazioni alimentari in modo da calmierare i prezzi interni, come già fatto durante la carestia del 1782-83, e addirittura importando a spese dello stato del mais dalle Americhe.

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Una scena dalla Grande Carestia irlandese

Ma il successivo governo Whig, ligio ai dettami del laissez-faire (come veniva chiamato il liberismo allora) riaprì le esportazioni alimentari verso l’Inghilterra, lucrative per i grandi proprietari terrieri, contando che il libero mercato delle merci e il naturale funzionamento dei prezzi avrebbe risolto il problema della scarsità alimentare dei poveri contadini.

Il risultato fu talmente disastroso che già nel 1847 il governo dovette cercare di porre qualche rimedio con le Irish Poor Laws che istituirono delle workhouses per i poveri dove potevano ricevere almeno una zuppa al giorno.

Ma era troppo poco e troppo tardi.

Alla fine il bilancio fu una popolazione di oltre 8 milioni che si era ridotta a 6 milioni e mezzo a causa delle morti per malattia e all’emigrazione per disperazione verso le Americhe.

Ci volle più di un secolo perché l’Irlanda recuperasse una demografia positiva e questa tragica pagina storica è stata una delle principali basi ideologiche e propagandistiche per i movimenti indipendentisti irlandesi sino ad ancora oggi.

Cosa quindi ci insegna la storia? Che in una situazione di scarsità di beni alimentari lasciare libero il funzionamento dei prezzi produce un effetto ben preciso: che chi ha i soldi mangia, chi non ce li ha di solito digiuna.

Twitter @AleGuerani

(1) Lavinia Parziale – “Nutrire la città. Produzione e commercio alimentare a Milano tra Cinque e Seicento” – Franco Angeli 2009