Coronavirus: non è successo (ancora) niente

scritto da il 05 Marzo 2020

Immaginate un quotidiano (cartaceo o online) titolare a tutta pagina qualcosa come “Non è successo niente”. Nessun direttore, editore, titolista o altro soggetto deputato a rilasciare dichiarazioni pubbliche accetterebbe mai un tale suicidio mediatico. Eppure, l’immagine evocata dal romanzo di Tiziano Sclavi di circa vent’anni fa ci offre lo spunto di partenza per un’utile riflessione sulla comunicazione e la diffusione delle informazioni specie in momenti delicati come quello che stiamo vivendo con la diffusione del coronavirus da qualche settimana e che verosimilmente continueremo a vivere nelle prossime.

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Disclaimer: non essendo giornalista, virologo, statistico e nemmeno esperto di comunicazione, mi espongo alla critica di trattare argomenti che non conosco a fondo. Chiariamo dunque che questo post è scritto da un “consumatore di notizie” o da cittadino/contribuente destinatario delle informazioni rilasciate da istituzioni e autorità in un momento particolarmente delicato. Nessuna velleità di insegnare agli altri a fare il proprio mestiere, ma qualche ragionevole (e si spera utile) dubbio su cui riflettere.

A che serve una non-notizia come quella usata come spunto di partenza? Se non è successo niente perché scrivere? È abbastanza logico e razionale che un’ipotesi di questo tipo possa concretizzare un vero e proprio tabù: se non succede niente, a cosa servono i giornali? Plausibile allora che la necessità di raccontare qualcosa sia in qualche modo anche una giustificazione della propria esistenza: deve essere successo qualcosa che valga la pena raccontare. Anche se non è successo niente. In particolare, questo approccio esistenziale si rafforza e autoalimenta nell’epoca della informazione istantanea e dei social network, nella quale assistiamo al paradosso autoreferenziale in cui troppo spesso la notizia è che gli altri media (o i profili social di tendenza) hanno una notizia, a prescindere dal fatto che ci sia davvero qualcosa di cui parlare.

Eppure talvolta l’assenza di informazioni può essere l’informazione più importante, così come chiarire i limiti e il grado di precisione e attendibilità delle notizie disponibili, costituiscono il tratto distintivo di un organo di stampa responsabile, che riesce a veicolare contenuti utili invece di rilanciare a amplificare il rumore dilagante.

A cosa mi serve sapere con frequenza oraria il dato cumulato sui contagi da coronavirus in Cina? Sono tanti o sono pochi? SI tratta di un andamento in linea con le aspettative degli esperti oppure no? Ha senso fare il confronto con altre patologie oppure no? Che significato si può attribuire al numero di decessi sul totale dei contagiati? Quanto incide su questo rapporto l’intervallo temporale tra il momento del contagio e il decesso? Se i decessi al tempo t sono stati infettati dal coronavirus a t-n non andrebbero rapportati al numero dei contagiati a t-n invece che al tempo t? Come tenere conto del fatto che possiamo censire solo una parte del totale effettivo dei contagiati poiché non rileviamo coloro alcuni di quelli che non presentano sintomi?

Discorso troppo complicato, la gente vuole notizie semplici e il più possibile univoche così gli accusati diventano colpevoli e le cifre vanno riportate come articoli di fede senza fastidiose ambiguità come i margini di errore o gli intervalli di confidenza. Finché si tratta di pettegolezzi o di rumor di borsa utili a separare gli ingenui dai propri denari, per quanto sgradevole può essere una linea editoriale anche tollerabile, ma di fronte alla concreta possibilità di diffondere allarmi ingiustificati non è più logico, utile e moralmente preferibile resistere alla tentazione di fornire notizie in maniera compulsiva?

Come trovare il giusto mezzo che informi in modo utile senza contribuire al rumore? Come raccontare gli eventi complessi in modo corretto, senza indulgere nella pedanteria dei tecnicismi? La risposta più convincente è che probabilmente non esiste una ricetta precostituita o una bacchetta magica. Esistono professionisti dediti a questa attività ai quali si può richiedere uno sforzo extra nei momenti difficili ed esistono consumatori di notizie che non hanno titolo per insegnare il mestiere ai professionisti, ma hanno tutto il diritto di lamentarsi e rifiutare la cattiva informazione, tanto quanto di premiare e incentivare quella buona.

Discorso analogo si può fare con le istituzioni, dove chi si ferma è perduto e nessuna delle alternative praticabili sarà mai esente da critiche. Chi non agisce è irresponsabile, chi interviene è eccessivo e la strategia di intervento va decisa sempre in tempi rapidi, con informazioni incomplete e in condizioni di incertezza. Come trovare il giusto equilibrio tra strafare e sottovalutare?

Come sarà ormai chiaro l’intento di questo post non era di trovare risposte che esulano dal mio ambito di competenza, ma suggerire domande che credo tutti i cittadini consumatori di notizie dovrebbero porsi e trasferire ai professionisti dell’informazione e della politica.

Per quanto sia difficile definire e delineare la buona informazione, è abbastanza facile e agevole individuare quella cattiva: come possiamo immaginare che la disinformazione abbia fine o trovi un argine, se noi che la riceviamo come lettori continuiamo a tollerarla? Se non ci pensiamo noi elettori a punire gli amministratori irresponsabili negandogli il consenso e facendo sentire la nostra voce, come possiamo pensare che cambi qualcosa?

Non mi illudo di poter leggere mai un articolo intitolato “non è successo niente” così come credo sia molto difficile osservare un politico o un amministratore vantarsi di non aver fatto danni. Credo che però valga sinceramente la pena di continuare a chiedere : quanto è utile (o dannoso) far circolare questa notizia in questo momento? Quanto è attendibile il dato numerico fornito in questo contesto? Qual è l’informazione utile e rilevante che tutti dovremmo ricevere e trattenere nel rumore generalizzato che ci travolge tutti i giorni? Quant’è l’approssimazione contenuta nelle spiegazioni (troppo) semplici dei fenomeni complessi? Chi pagherà il conto lasciato da amministratori e politici che agiscono in modo irresponsabile?

Dulcis in fundo: quanto dovremmo diffidare di coloro che sembrano avere tutte le risposte e non si pongono mai domande?

Twitter @massimofamularo