Lo sguardo oltre l’effetto virus: deficit mezzo pieno o mezzo vuoto?

scritto da il 12 Marzo 2020

Gli ultimi dati Istat  ci dicono che il rapporto deficit/Pil per il 2019 è stato del solo 1,6%, a fronte di un preventivato 2.2%. Il NADEF, invece– la Nota di Aggiornamento al Documento Di Economia e Finanza – aveva rivisto a rialzo la precedente stima del 2,1%. Non dobbiamo farci ingannare dal buon risultato: i noti problemi dell’economia italiana, come la crescita anemica e debito eccessivo, permangono. Tuttavia, se si pensa alla lunga e conflittuale contrattazione tra il governo Conte I e Bruxelles sulla manovra finanziaria è naturale chiedersi come si è arrivati a un deficit così basso.

Secondo l’economista Daveri, possiamo spiegare il valore inatteso con due elementi: una spesa pubblica minore delle aspettative, dovuta a un minore tasso di utilizzo di Reddito di Cittadinanza (RdC) e Quota 100, e un incremento delle entrate, grazie alle misure di lotta dell’evasione e alla fatturazione elettronica.

Parte uno: la minore spesa

Va precisato che parte dei risparmi dovuti alla minore diffusione del RdC e Quota 100 erano già stati incorporati nelle stime del NADEF di ottobre: le due misure, complessivamente, sarebbero costate 1,5 miliardi in meno del preventivato.

La Legge di Bilancio 2019 prevedeva 5,6 miliardi per l’erogazione del RdC. Secondo le previsioni del governo, nel 2019 il reddito di cittadinanza avrebbe avuto come beneficiari 1,25 milioni di nuclei familiari. In realtà, i dati INPS ci dicono che, a fronte di 1,6 milioni di richieste, solo 1.041 mila nuclei sono attualmente beneficiari. OCPI (l’Osservatorio Conti Pubblici Italiani) rivedeva le stime di spesa a metà luglio a 4,13 miliardi, riduzione dovuta in parte alla platea ridotta di beneficiari rispetto al preventivato e in parte al fatto che le domande non sono arrivate tutte insieme all’aprirsi della finestra, ma scaglionate. Nel bilancio preventivo, l’INPS indica una spesa complessiva di 4,3 miliardi per il RdC: il risparmio effettivo sembra essere di 1,3 miliardi. Per il 2020 si prospetta un numero costante di beneficiari – ipotesi realistica, se si nota che negli ultimi tre mesi il numero di beneficiari è rimasto sostanzialmente costante. Pertanto, la forbice di risparmio sarà molto ridotta, in quanto l’effetto dello scaglionamento svanirà.

Per Quota 100, invece, il bilancio preventivo INPS mostra come le uscite saranno solo 5,2 miliardi, con un risparmio totale di 600 milioni sulle cifre della legge di bilancio (a fronte di 269 mila richieste stimate per il 2019, al 7 novembre 2019 l’INPS ne registrava solo 205 mila). Il risparmio per il 2020 si prospetta anch’esso significativo. Lo stesso Ufficio Parlamentare di Bilancio prevede 246 mila richieste entro fine anno, rispetto alle 303 mila previste inizialmente. Per OCPI la forbice di risorse inutilizzate sarà compresa tra 1 e 3 miliardi (su un totale di 7,33).

Pertanto, complessivamente, i risparmi sono stati di 1,9 miliardi, solo 400 milioni in più rispetto a quanto già previsto dal NADEF. Una cifra importante, ma insufficiente a spiegare la forte riduzione del deficit. L’origine è da cercare altrove.

Parte due: le maggiori entrate

Le maggiori entrate fiscali hanno avuto un ruolo fondamentale nella riduzione del deficit del 2019. L’anno scorso, la pressione fiscale – il rapporto fra tutte le imposte raccolte dallo Stato e il Pil – è cresciuta al 42,4% rispetto al 41,9% dell’anno precedente. L’incremento è stato notevole, soprattutto a fronte dell’assenza di aumenti nelle aliquote: il risultato è pertanto da attribuirsi all’efficacia delle misure anti-evasione fiscale.

In particolare, l’introduzione della fatturazione elettronica e degli indici sintetici di affidabilità (ISA) ha permesso un notevole recupero di gettito fiscale. La fatturazione elettronica, entrata a pieno regime nel 2019, interviene sull’IVA, un’imposta affetta da un mancato gettito di 35 miliardi. Il nuovo sistema ha richiesto un notevole sforzo di adattamento a imprese e lavoratori autonomi, ma l’iniziale complicazione burocratica sembra aver pagato in termini di gettito aggiuntivo: il MEF, a luglio, stimava un recupero di IVA nel 2019 attorno ai 4 miliardi, ed effettivamente l’introito IVA è stato maggiore di 3,25 miliardi fra gennaio e novembre, rispetto all’anno precedente. Un ulteriore strumento nella lotta all’evasione sono gli ISA: questi indicatori statistici, introdotti nel 2018, incentivano una maggiore collaborazione fra il fisco e il contribuente, che deve fornire dati per mostrare di essere conforme alla legge. L’obiettivo finale è quello di far emergere spontaneamente le basi imponibili e premiare con vantaggi fiscali e burocratici i lavoratori e le imprese virtuosi.

Le misure appena descritte si sono certamente dimostrate strumenti potenti nella lotta all’evasione, su imposte dirette e indirette e sulle relative attività di controllo. Infatti, il MEF riporta che gli incassi da attività di accertamento e controllo fra gennaio e novembre 2019, sono cresciuti del 14,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con un maggior introito di 1,4 miliardi. In particolare, si registra un incremento del 23,4% degli introiti derivanti da controlli su imposte dirette, quali IRPEF e IRES, e del 6,4% su quelle indirette. Sembra dunque, che le nuove misure adottate abbiano reso più efficiente ed efficace l’utilizzo di informazioni per l’emersione di basi imponibili.

Contenti a metà

Se da un lato possiamo dirci soddisfatti di questi risultati, non è ancora tempo di dormire sonni tranquilli. Il rapporto debito/PIL è rimasto costante al 134,8 per cento (a fronte di una previsione del 135,7 per cento), un valore già di per sé molto elevato, ulteriormente aggravato dall’anemica crescita economica italiana. Rispetto al 2018, il PIL è aumentato in termini reali dello 0,3 % (la variazione più bassa dal 2014), troppo poco per invertire il segno del differenziale con il tasso di interesse medio sul debito. Tale variabile è fondamentale per spiegare l’andamento del rapporto tra debito e PIL: idealmente, per invertirne la rotta, è necessario che il PIL cresca in misura maggiore rispetto al debito. Così non è:  l’Italia è rimasta nel 2019 uno dei pochi paesi sviluppati con un differenziale positivo, peraltro in aumento rispetto ai due anni precedenti.

Un ulteriore fattore che nell’anno passato ha aiutato le nostre finanze pubbliche è da cercarsi fuori dai calcoli tradizionali di deficit e Pil. OCPI ci spiega come non vi sia una diretta corrispondenza tra deficit e aumento di debito. Vi sono vari elementi per cui le due variabili potrebbero differire: semplici convenzioni di contabilità, operazioni finanziarie (privatizzazioni, acquisizione di quote aziendali) e spese differite da un anno all’altro. Per la prima volta dal 2015 queste dinamiche, chiamate “aggiustamento stock flussi”, hanno aiutato a contenere l’aumento del debito anziché aumentarlo (i singoli fattori responsabili di tale risultato sono ancora da individuare).

Abbiamo quindi visto come i fattori che ci hanno portato ad un deficit così basso siano difficilmente replicabili per i prossimi anni: le voci di spesa pubblica torneranno a crescere nel 2020, così come non si può fare affidamento su un recupero dall’evasione fiscale o su un aiuto ex machina dall’aggiustamento stock flussi analoghi al 2019. L’1,6% è una credenziale in più, di fronte a Bruxelles ma soprattutto ai mercati, per poter fronteggiare l’emergenza del COVID19 con maggiore spesa pubblica (abbiamo già ottenuto il via libera dalla Commissione per portare il deficit 2020 al 2,5%). Questi risparmi non rappresenteranno una costante strutturale, ma un aiuto inatteso e una tantum.

Una volta che saremo finalmente usciti dalla situazione emergenziale, sarà bene ricordarsi che il nostro target è la crescita sostenibile: il nostro indebitamento netto annuo, oltre ai decimali, deve consentirci di ridurre il debito e aumentare il prodotto interno lordo.  Riforme e investimenti volti all’aumento della produttività, nei limiti del pareggio di bilancio strutturale, sono la via da seguire.

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