Così la matematica del virus batte la retorica della Milano da bere

scritto da il 12 Marzo 2020

L’autore di questo post è l’avvocato Matteo Bonelli. Si occupa di societario e contrattualistica commerciale –

Il 22 febbraio scorso ero andato in montagna coi miei figli piccoli, esattamente il giorno dopo la scoperta del “paziente 1” del Coronavirus. Il problema allora sembrava contenuto, ma in meno di venti giorni i contagi sono passati da poco più di dieci del primo giorno a quasi 13.000 di ieri. Con lo stesso tasso di crescita ci vorrebbe un altro mese per contagiare tutta la popolazione italiana (circa 60 milioni), bisognerebbe attendere ancora una settimana per arrivare a quella dell’Unione Europea (circa 500 milioni) e pochi giorni in più per quella del mondo intero (circa 7,5 miliardi).

Ovviamente questo scenario è un po’ esagerato. Ma è indubbio che il problema delle crescite esponenziali è di apparire innocue nelle fasi iniziali, ma di non essere più arginabili quando iniziano a farsi notare. Semplicemente perché è troppo tardi. Dunque non è mai troppo presto per intervenire con drastiche misure di contenimento.

Due giorni dopo la scoperta del “paziente 1” i contagi del Coronavirus erano già passati da 14 a 152. Questa progressione dipendeva in parte dal numero dei tamponi fatti in quei giorni. Ma la situazione era già chiara: a prescindere da quale fosse stata diffusione del contagio, era ovvio che senza drastiche misure di contenimento si sarebbe presto arrivati a una situazione simile a quella di Wuhan, se non peggio. D’altra parte i dati sull’evoluzione dei contagi a Wuhan e nella provincia di Hubei erano già noti. Quindi non c’era nemmeno bisogno di tirare a indovinare: l’ordine di grandezza del tasso di riproduzione del virus – il famigerato R0 – era già chiaro. Come era chiaro il suo impatto sul sistema sanitario e sulla mortalità dei pazienti.

Che cosa avremmo dovuto fare? Pressappoco ciò che si è fatto Cina. Oppure, se proprio si voleva evitarne gli eccessi, almeno ciò che si è fatto nella democratica Corea del Sud: una campagna di tamponi a tappeto – non solo fra i sintomatici, ma anche fra gli asintomatici – e un sostanziale “lock-down” delle aree in cui emergevano i contagi. E poi il contenimento e monitoraggio di ogni singolo contagiato, anche tramite servizi di geolocalizzazione, oltre a una campagna d’informazione severa e sincera sui rischi a cui la popolazione andava incontro. I dati sui contagi di Cina e Corea del Sud confermano l’efficacia delle misure di contenimento adottate da questi due paesi. Ma è importante riconoscere che non si basavano su ipotesi catastrofiste, ma su banali proiezioni matematiche.

Le proiezioni sulla riproduzione dei virus sono così facili e intuitive che il 23 febbraio – quando i contagi erano ancora molto contenuti – perfino io, che di matematica non so nulla, ho capito che era meglio lasciare i piccoli in montagna. Dovevo tornare a Milano per “comprovate esigenze lavorative”, ma ne avrei fatto volentieri a meno. Amici e colleghi mi davano dell’ipocondriaco e del catastrofista, se non del folle paranoico. Nel frattempo i miei figli grandi continuavano a gozzovigliare allegramente per le strade e i bar di Milano, come se nulla fosse accaduto. Perfino mia madre, che ha ottant’anni e ha già avuto una brutta polmonite, mi prendeva in giro sdrammatizzando. Per farla stare a casa ho quasi dovuto minacciarla. Ho poi provato a fare ogni appello al senso di responsabilità dei miei figli grandi, chiedendo loro di rinunciare a bagordi e aperitivi, se non per la loro salute, almeno per quella dei nonni e dei più vulnerabili. Ma non c’è stato verso.

Nel frattempo le istituzioni sembravano in preda a uno stato confusionale sconcertante. Inizialmente hanno chiuso le aree dei primi focolai e fatto tamponi a tappeto. Quando hanno visto i contagi impennarsi la priorità e diventata non creare panico. Come? Essenzialmente smettendo di cercare: solo tamponi su sintomatici. A Genova si chiamerebbe la soluzione del pesce in barile. Ma se la matematica non è un’opinione la negazione di un problema (matematico) non equivale alla sua soluzione. Nel frattempo si stavano sollevando cori di protesta capeggiati da pizzaioli, baristi, pubblicitari, influencer, negazionisti e altri ameni personaggi che si ostinavano a sostenere che la reazione delle istituzioni era stata troppo “emotiva”. Ovunque apparivano appelli a “sconfiggere la paura” e “tornare alla normalità”. Ci siamo perfino ritrovati ebbri del motto “Milano non si ferma”, in un curioso revival della retorica enfatica e spicciola della Milano da bere. E abbiamo quindi ripreso a marciare felici come lemming verso la scogliera.

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Ma i virus obbediscono a leggi inesorabili e impietose. Se ne fregano del “coraggio” e della fantasia dei giocatori. Che però commuovono le istituzioni di noialtri, che sono sì emotive, ma non certo perché hanno paura della matematica, magari, semmai dei “piacioni” che criticano. Forse perché abbiamo una lunga tradizione di personaggi analoghi saliti al potere senza altre ragioni plausibili. Così le proiezioni matematiche sono diventate, incredibilmente, un’opinione come un’altra, con pari dignità a quella dei piacioni criticoni. I bar e ristoranti possono dunque riaprire, ma “con cautela”. Le mascherine non servono a niente: che ingenui quei cinesi e coreani! Se poi c’è un birbone che scappa per andare a trovare genitori, o a sciare… Si può mai rinunciare a raggiungere mamà? Come direbbe il marchese Giovan Maria Catalan Belmonte. E poi c’è stata una bella nevicata… che importa se rischiamo di contagiare una funivia gremita di persone? In fondo il Coronavirus è (testualmente) “poco più che un’influenza”.

Il resto è storia. Finalmente sembra che istituzioni e cittadini abbiano capito ciò che è ed è sempre stato scritto nei numeri. Si stenta davvero a crederci, ma è andata proprio così. Il rischio di vedere lo stesso film in altri paesi sbalordisce ancor di più. Se non altro non ci sentiremo più isolati nella nostra solitudine dei numeri (primi e non solo) di questa emergenza. Ma non è consolante.

In un modo o nell’altro finirà. In Cina e Corea del Sud l’epidemia sta già volgendo verso il suo epilogo. Ma sebbene abbiano reagito tempestivamente e con tutte le misure necessarie, nei loro calcoli non hanno considerato ciò che può avvenire nel resto del mondo. Per fermare una pandemia nel tempo più breve possibile e definitivamente occorrerebbe adottare le stesse misure di contenimento in tutto il mondo, per lo stesso tempo e fino a quando il contagio non scompare dappertutto. Se invece si procede per “comparti”, come si sta facendo, è evidente che l’epidemia potrebbe continuare a circolare nel mondo per un tempo indefinito. Tant’è vero che in Cina e in Corea del Sud ci si incomincia già a preoccupare dei contagi “di ritorno”. Quindi fanno bene alcuni a chiedere l’adozione delle stesse misure in tutta Europa. Ma in realtà bisognerebbe chiederle anche in (quasi) tutto il mondo, a cominciare dagli Stati Uniti.

La probabilità di un coordinamento globale sulle misure di contenimento del contagio è ovviamente molto bassa. Può darsi che il virus svanisca con l’arrivo dell’estate, o che si indebolisca, come sostengono alcuni. Ma se così non fosse il rischio è che continui a rimbalzare in tutto il mondo per un periodo indefinito, o almeno fino a quando non ci sarà un vaccino. Speriamo di no, ma è importante capire che anche quest’ipotesi è nella matematica del Covid-19.

Per approfondire:

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