La Natura non ci ama e le scelte politiche: le prime lezioni del Covid-19

scritto da il 13 Marzo 2020

L’autore è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) –

L’epidemia si allarga a macchia d’olio sul territorio nazionale, le autorità rilanciamo messaggi allarmanti, la popolazione è spaventata. In questo momento bisogna assolutamente evitare il panico, tenere a freno l’immaginazione e razionalizzare. Mentre aspettiamo che il peggio sia passato, potremmo iniziare a chiederci cosa ci lascerà in eredità questa terribile crisi, cosa dovremo imparare da quest’epidemia per evitare che situazioni analoghe si ripropongano nel futuro. E, in realtà, abbiamo già materiale su cui riflettere.

1) La Natura non è una madre amorosa ma è una matrigna crudele, come scriveva Leopardi
Il Covid-19 non è molto diverso dalla tubercolosi o dalla peste: una malattia (la prima di origine virale, la seconda e la terza di origine batterica) che ha fatto il salto di specie infettando l’uomo. È perfettamente naturale che esistano malattie di questo genere: dei quasi 1.500 agenti patogeni in grado di infettare l’uomo, più del 60% proviene da altre specie. Nonostante qualche esperto si sia affannato a individuare un collegamento tra l’epidemia di Covid-19 e il cambiamento climatico, la realtà è che le epidemie sono da sempre la livella con cui la Natura mantiene l’equilibrio tra le specie viventi complesse. Non c’è niente di più naturale di una pandemia. Quello che non è naturale, invece, è che una specie sviluppi gli strumenti per contenere e contrastare gli agenti patogeni. Continuiamo a ripeterci che dobbiamo ripristinare l’equilibrio naturale ma il Covid-19 ci dimostra che questa narrativa non è solamente infantile ma anche estremamente pericolosa. L’unico modo che abbiamo per convivere con la Natura è privarla della capacità di minacciarci. E se nel 2020 ci troviamo a fronteggiare una nuova pandemia globale sconosciuta e potenzialmente catastrofica vuol dire che abbiamo ancora tanta strada da fare. Non dobbiamo cercare un equilibrio con la Natura, la dobbiamo neutralizzare.

2) Raramente la Scienza parla con una voce sola
Mentre l’epidemia ha iniziato a diffondersi sul territorio nazionale abbiamo assistito a uno spettacolo impietoso: gli scienziati hanno iniziato a litigare. Certo alcuni, come la professoressa Ilaria Capua, sono riusciti a sottrarsi alle polemiche adottando un impeccabile profilo istituzionale ma molti altri si sono abbandonati a battibecchi pubblici poco edificanti. Speriamo che questa esperienza mandi definitivamente in soffitta lo slogan “ascoltate gli scienziati”, che oltretutto presenta più di una sfumatura antidemocratica e una validità epistemologica pressoché nulla, come dovrebbe ricordarci la sottile satira di Giovenale nei confronti della Repubblica di Platone (“chi controllerà i controllori stessi?”). Gli scienziati prima di essere serbatoi di conoscenze sono esseri umani come tutti gli altri. E quindi, per esempio, hanno una percezione del rischio diversa a seconda della personalità e delle esperienze. In questo momento, qui, in Italia, sono più preoccupanti le ripercussioni sanitarie o economiche dell’epidemia di coronavirus? Dipende dai punti di vista, non abbiamo tutti lo stesso. E non ce l’hanno neanche gli scienziati.

3) Le decisioni politiche le devono prendere i politici, non gli scienziati
L’epidemia di Covid-19 è un’emergenza sanitaria che mette a dura prova il tessuto sociale delle comunità e danneggia gravemente l’economia. La gestione della crisi coinvolge decine di esperti diversi, matematici, virologi ed epidemiologi, psicologi, sociologi ed economisti. Nessun tecnico può avere chiaro il quadro d’insieme, ciascuno specialista è portato a interpretare il problema sotto la lente della sua disciplina. Spetta alla politica prendere tutti questi fili e farne una treccia, adottando come principio guida l’interesse nazionale. Sono i politici che si devono assumere la responsabilità di decidere quanti disoccupati vale la vita di un paziente oncologico terminale, magari anche anziano.

Scelte facili, ovvie, fino a quando non si è chiamati a prenderle per conto del popolo italiano, scontrandosi con le priorità dell’elettore medio. Scelte di cui il decisore sarà chiamato a rispondere davanti all’intera comunità nazionale e che non potranno essere giustificate semplicemente con una cattedra e una lunga lista di pubblicazioni.

4) L’attuale modello di sviluppo non produce solo disuguaglianze e miseria come vogliono far credere alcuni
Non è la prima volta che, nell’epoca industriale, i Paesi avanzati si trovano a fronteggiare un’emergenza sanitaria. Poco più di un secolo fa l’Influenza Spagnola uccise in due anni il 2% della popolazione mondiale, probabilmente un centinaio di milioni di persone. In meno di un secolo l’HIV, un altro virus che ha fatto il salto di specie, ha ucciso più di 30 milioni di individui, nonostante l’imponente sforzo economico e sanitario per contenere l’epidemia. E più andiamo a ritroso, peggio è: il vaiolo e la peste hanno ucciso probabilmente più di un miliardo di persone ciascuna in epoche in cui la popolazione mondiale era un decimo o un ventesimo di quella attuale, la tubercolosi a cavallo della piccola glaciazione (1600-1800) era responsabile di un quarto di tutti i decessi in Europa. Quello che cambia oggi, con il Covid-19, è che, per la prima volta nella Storia, abbiamo gli strumenti per fronteggiare una pandemia sconosciuta. Abbiamo informazioni in tempo reale, abbiamo supercomputer per selezionare rapidamente molecole adatte a contrastare il virus, abbiamo tecnologie a buon mercato per produrre respiratori artificiali. Se la situazione precipita, per quanto sia impopolare ricordarlo, abbiamo strumenti per monitorare capillarmente gli spostamenti delle persone. Al massimo entro un anno avremo il vaccino, forse addirittura entro qualche mese. È una situazione del tutto nuova per l’umanità: per la prima volta una pandemia non è un flagello che ci lascia come unica possibilità quella di pregare ma è una sfida che possiamo vincere grazie alla Scienza e alla tecnologia.

5) Abbiamo una visione distorta del rischio
Quanto dobbiamo preoccuparci per un fenomeno raro ma dai potenziali effetti catastrofici? Per natura, sottostimiamo i rischi che si presentano più raramente: i terremoti, le eruzioni vulcaniche e, nell’ultimo secolo almeno, le pandemie. Per questo genere di rischi abbiamo, sostanzialmente, un solo strumento a disposizione: la ridondanza, essere pronti a tutti. Tradizionalmente, le malattie più pericolose per l’uomo sono quelle a trasmissione area, per evidenti motivi legati alla forma di contagio. Come è possibile che non siano state predisposte scorte adeguate di mascherine, ma anche di disinfettati e altri presidi sanitari di base, persino di respiratori se sappiamo che i polmoni sono un punto debole dal punto di vista epidemiologico? Abbiamo sviluppato da anni unità di emergenza sanitaria mobili, che possono trasformare un capannone in un reparto di terapia intensiva perfettamente attrezzato per il biocontenimento. Un fiore all’occhiello della tecnologia sanitaria. Dove sono adesso che servono?

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Rambam Medical Center, Haifa

La NATO dispone di depositi climatizzati in cui sono stipati, tra le altre cose, mezzi blindati da centinaia di migliaia di dollari ciascuno e mezzi corazzati da milioni, per difendere l’Europa da un’eventuale invasione russa.

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Frigaard Cave, Norvegia

Quale logica perversa ci ha spinto a non accantonare quantomeno scorte di mascherine, oggetti da pochi centesimi al pezzo? Quando la crisi sarà passata dovremo ripensare completamente la nostra strategia di mitigazione del rischio epidemiologico. Per il momento ci affidiamo alla sorte: se invece del Covid-19 ci trovassimo ad affrontare un virus come la peste polmonare, con una letalità potenziale del 50%? Ciascuno tragga le sue conclusioni.

Twitter @enricomariutti