La pandemia Covid-19, il tempo della consapevolezza

scritto da il 14 Marzo 2020

“Il tempo è denaro” e “la salute prima di tutto” , oltre ad essere espressioni abusate, sembravano avere poco in comune. Almeno fino al dicembre del 2019.

Alla vigilia del capodanno italiano, un giovane oftalmogo cinese Li Wenliang, 34 anni, lancia l’allarme sulla diffusione di un «virus simile alla Sars» facendo riferimento a 7 pazienti ricoverati in isolamento. In poche ore, gli screenshot dei suoi messaggi dove invita i colleghi a stare attenti, diventano virali. La sua immagine con la mascherina fa il giro del mondo. Il medico viene prima ignorato, poi accusato di diffondere notizie infondate e allarmistiche. Purtroppo, quel medico aveva ragione. In poco tempo il Covid-19, ultimo nato del ceppo dei Coronavirus, diventa un killer spietato, causa una delle epidemie più temute del secolo, dichiarata pandemia dall’Organizzazione mondiale per la sanità (Oms).

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A Wuhan, cuore dell’epidemia, vengono attrezzati almeno 40 ospedali, con oltre 60 mila ricoverati. Il numero dei morti sale vertiginosamente. A pagare il prezzo più elevato sono i medici, compreso Li Wenliang, e infermieri che nelle prime settimane dell’epidemia non erano stati informati del pericolo e hanno continuato a visitare pazienti senza prendere le precauzioni necessarie a evitare il contagio. La tempestività può salvare la vita. Anche ora che l’epidemia è diventata una crisi globale e la Cina la sta affrontando con una mobilitazione generale, mancano le munizioni per combattere: maschere e tute isolanti vengono consumate a ritmo forsennato e l’industria nazionale fatica a rimpiazzarle. Ecco che il tempo diventa nemico. Nemico di quanti combattono il virus, isolato comunque in tempi rapidi. Anche se il concetto di rapido in questo caso sembra eterno visti i 1900 morti registrati ad oggi. Ma per trovare una cura e soprattutto un vaccino, ci vuole tempo. Che protagonista assoluto di una guerra combattuta ad armi impari, mette in ginocchio il mondo. Non c’è settore che il tempo non tocchi e stravolga.

Nello scenario migliore il coronavirus farà rallentare il Pil cinese di 2 punti percentuali nel primo trimestre del 2020, un valore significativamente più alto dell’impatto della Sars, che nel 2003 pesò per l’1,2-1,4%, stimano gli esperti. A calcolare la frenata dell’economia cinese è un’autorevole fonte interna alla Cina, la Luohan Academy, l’Istituto di ricerca «aperto» istituito nel 2018 dal fondatore di Alibaba, Jack Ma, sul West Lake a Hangzhou. Mentre per l’intero 2020 l’impatto, escludendo la regione di Hubei e con una perdita di 10 giorni di lavoro, potrà essere limitato allo 0,8%, con il Pil stimato in crescita del 5,6%. Però, se il governo di Pechino metterà in atto un importante stimolo monetario e fiscale, dando priorità ad alcuni settori e offrendo sollievo finanziario alle piccole e medie imprese, che rischiano la bancarotta, l’istituto di ricerca prevede che la crescita cinese potrà raggiungere il 5,7%- 5,8%, con una flessione tutto sommato contenuta rispetto al target del governo. A condizione, però, che Pechino riporti la fiducia nel sistema economico, messo a dura prova dalla gestione opaca dell’epidemia”.

Sempre sul Corsera evidenzia un articolo di Federico Fubini: “Niente in questo quadro può sostenere una ripresa degli investimenti e dell’industria in Europa nel breve periodo. Ma niente lascia presagire una reazione rapida e coordinata dei principali governi: Berlino è paralizzata dalla crisi della Cdu, il partito della cancelliera Angela Merkel; in Francia il presidente Emmanuel Macron deve gestire l’impopolarità dell’intervento sulle pensioni; a Roma invece la maggioranza sembra ogni settimana sul punto di disfarsi, dunque è concentrata solo su se stessa. Ma proprio l’Italia, con più debito pubblico, più disoccupati e un Pil più in caduta, è l’economia più esposta d’Europa in questo terribile inizio di 2020”.

Vero. Esposta e colpita. Perché dopo la Cina, è proprio l’Italia a subire l’attacco più violento del Covid 19. “Un uomo è stato ricoverato all’ospedale di Codogno, in provincia di Lodi, con una forte insufficienza respiratoria. È risultato positivo al test del coronavirus. Non è stato in Cina, ma avrebbe avuto contatti con un amico rientrato dal Paese”. E’ il 21 febbraio 2020. Al Covid 19 bastano pochi giorni per diventare padrone di un tempo che scandisce vite da tutelare, vite a rischio e vite finite. “Non c’è più tempo” afferma la sera del 9 marzo il presidente del Consiglio Giuseppe Conte in una drammatica conferenza stampa in cui misure senza precedenti fermano il tempo italiano: “Restate a casa e spostatevi solo per necessità” aggiunge. Perché l’unico modo per fermare il contagio è rimanere immobili e aspettare che il virus sfoghi la sua furia omicida sulle fasce più deboli.

10 marzo 2020. Il Messaggero scrive: “Il bilancio dell’epidemia inesorabilmente si aggrava: a fronte di un numero complessivo di 10.149 casi, sono 1.004 le persone guarite e 631 le vittime, oggi 168 vittime in più. Sono 877 le persone al momento ricoverate in terapia intensiva.

Nelle ultime 24 ore, secondo i dati resi noti poco fa dalla Protezione civile, i morti legati al coronavirus in Italia sono stati 631, 168 in più di ieri, con un incremento del 36,2%. L’incremento dei malati, passati da 7.985 a 8.514 (+529) è stato del 6,6%. Ma il dato risente di un aggiornamento della Regione Lombardia non arrivato in tempo. L’aumento delle persone guarite, diventate in totale 1.004, con un incremento di 280 unità, è del 38,6%. Infine i malati in terapia intensiva (877) sono aumentati di 144, con un incremento del (877) sono aumentati di 144, con incremento del 19,6%”.

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Numeri che richiamano impietosi bollettini di guerra quando i morti si contavano e non si seppellivano. Non c’era tempo.

Il centro di ricerca britannico Oxford Economics, citato dalla Bbc, ritiene sia presto per tentare di quantificare gli effetti economici, perché molto dipenderà dalla capacità di contenere il virus. In ogni caso però nel primo trimestre di quest’anno l’economia cinese crescerà meno del 4% rispetto allo stesso periodo del 2019, con una stima sull’intero anno del 5,6% che, prima dell’epidemia, era invece del 6%. Il tutto dovrebbe impattare sull’economia mondiale tagliando lo 0,2% alle attese di crescita: ma solo nell’ipotesi che si eviti lo “scenario peggiore”. Nei dati diffusi on line da “Valori” in un articolo di Nicola Borzi, si sottolinea che le linee di approvvigionamento globali “che entrano in crisi per lo stop causato dall’epidemia ai loro fornitori cinesi hanno già colpito pesantemente il settore dell’auto. Ma non solo. Qualcomm, il maggior produttore al mondo di chip per smartphone, ha avvertito che l’epidemia stava causando “significativa” incertezza sulla domanda di smartphone e sulle forniture. Anche i produttori di beni di lusso sono sotto tiro. Il marchio britannico Burberry ha chiuso 24 dei suoi 64 negozi nella Cina continentale. Almeno 60 linee aeree hanno ridotto o interrotto i voli da e per la Cina. Mohamed El-Erian, capo economista di Allianz, ha dichiarato a Cnn Business che i potenziali effetti economici a cascata sono estremamente preoccupanti: «Hanno prima paralizzato la regione dell’epidemia di virus – ha detto El-Erian – Quindi si sono gradualmente diffusi a livello nazionale, minando il commercio interno, il consumo, la produzione e la circolazione delle persone. Se il processo si diffondesse ulteriormente, anche a livello continentale e internazionale, si bloccherebbero il commercio, le catene di approvvigionamento e il turismo». Ecco il possibile impatto sui Pil dei vari Paesi di una pandemia secondo il Rapporto Oms-Banca Mondiale “A World at Risk”.

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Secondo il comitato di 15 esperti indipendenti che ha redatto la ricerca «il mondo è impreparato a gestire la concreta minaccia di una pandemia in rapida diffusione e altamente letale di un agente patogeno respiratorio che uccida da 50 a 80 milioni di persone e cancelli quasi il 5% dell’economia mondiale». La Sars del 2002-2003 costò oltre 40 miliardi di dollari, mentre l’epidemia di febbre emorragica virale Ebola che tra il 2014 e il 2016 sconvolse l’Africa occidentale danneggiò le già fragili economie dei Paesi coinvolti sino a 53 miliardi di dollari. Tra i 45 a i 55 miliardi di dollari viene stimato l’impatto della pandemia influenzale H1N1 del 2009-2010. La Banca mondiale stima che una pandemia di influenza virulenta come la “Spagnola”, che nel 1918-1919 colpì 500 milioni di persone (un terzo della popolazione mondiale dell’epoca) e ne uccise oltre 50 milioni, costerebbe all’economia globale 3 mila miliardi di dollari, il 4,8% del prodotto interno lordo globale. Una pandemia influenzale con minor letalità avrebbe costi inferiori, pari al 2,2% del Pil mondiale: il Pil dell’Asia meridionale calerebbe di 53 miliardi di dollari, quello dell’Africa sub-sahariana di 28 miliardi, cancellando la crescita economica di un intero anno.

Eccolo il tempo che non si può fermare, quello da cui non si può scappare, quello che può trasformare un attimo in un secolo e una vita in un attimo.

Qualcuno una volta ha detto: “Il giorno inizia e finisce comunque, senza il nostro consenso. Non siamo padroni del tempo, solo padroni di dargli un senso”.