Difendiamo le filiere! L’economia in emergenza e appello agli economisti

scritto da il 14 Marzo 2020

In questi giorni riceviamo infinite notizie, spesso negative, siamo tutti tesi a gestire l’emergenza. È giusto che sia cosi, il mio studio ed io per primi manteniamo uno scambio informativo serrato con le imprese clienti, anche a causa non lo nego della incapacità del legislatore di gestire la situazione in maniera ordinata.

Più tutto ci porta a concentrarci sull’immediato, più sento il bisogno di spostare l’analisi in un orizzonte temporale di medio periodo, diciamo da giugno in poi, nel secondo semestre del 2020.

Sono consapevole che oggi è presto per poter fare previsioni sicure ma lavorare per scenari aiuta a tenersi allenati e, forse, ci porta ad essere più propositivi ed ottimisti. O almeno è quello che accade a me. Sono un commercialista, mi occupo di valutare aziende, analizzare i settori produttivi e accompagnare i miei clienti a pianificare per crescere o per superare momenti come questo.

In questo sabato uggioso, ascoltando Paolo Fresu in “Tempo di Chet”, provo a buttare giù qualche riflessione. In un ideale zibaldone che vuole solo essere l’inizio e non la conclusione del lavoro. Per questo chiedo agli amici esperti ed economisti che ci leggono, in una sorta di staffetta virtuale, di aiutarmi a correggere ipotesi e conclusioni, allargando l’orizzonte ed ampliando gli scenari.

Livello macro
Il mio contributo a livello macro è forse quello più debole. Il Paese aumenterà il proprio debito e diminuirà il proprio PIL in una combinazione pericolosa. Non mi soffermo su scenari di crisi del debito, uscita dall’euro, ecc., se ne è scritto già molto. Tremo solo a prendere in considerazione tali scenari.

Sicuramente l’Italia ha meno cartucce da sparare avendo già dissipato gran parte delle risorse in una politica pubblica scellerata e soprattuto avendo dimostrato in questi anni scarsa capacità di gestione delle poche risorse rimaste, con una classe politica alla costante ricerca di consenso.

Assistiamo invece con un po’ di sana invidia alle manovre di Paesi più forti come Germania e Cina, capaci di sostenere il proprio apparato produttivo. Le nostre imprese rischiano di perdere una battaglia importante (non la guerra, lasciatemi essere scaramantico) per la totale inadeguatezza del nostro sistema Paese.

schermata-2020-03-14-alle-19-32-40Livello micro
Consentitemi di banalizzare per semplicità di analisi. Le PMI Italiane credo possano raggrupparsi in tre categorie:

1. Imprese marginali, spesso inefficienti, costantemente sostenute dalla politica attraverso agevolazioni a vario titolo;

2. Terzisti di valore, spesso in filiere di produzione nobili ed orientate all’export;

3. Imprese capaci di competere a marchio proprio, vere e proprie eccellenze, leader della propria nicchia di mercato.

In un sistema efficiente, fatti salvi gli auspicati meccanismi di solidarietà sociale, le imprese marginali dovrebbero uscire dal mercato, preferibilmente agevolando meccanismi di crescita di quelle più virtuose, meglio se incentivando fusioni e acquisizioni.

La politica economica di questi anni ha invece perseguito il sostegno costante di tali realtà bruciando ingenti risorse, creando pericolose distorsioni di mercato e rendendo meno premiante l’innovazione. Risorse che si sarebbero dovute investire in infrastrutture, istruzione, ricerca, ecc. creando cosi occupazione e quei presupposti necessari alla crescita del Paese.

La politica anche questa volta temo persisterà nel perseguire la stessa strategia ma la scarsità di risorse ( e ribadisco la scarsa capacità di gestione delle stesse) non consentirà di creare un ombrello efficiente.

Molte imprese chiuderanno e molte altre coglieranno l’occasione della crisi per ridurre il proprio organico.

Sono convinto anche che se in molte realtà lo smart working contribuirà a rivedere le procedure aziendali, ad innovare e ad incrementare la produttività, in altre renderà evidenti le inefficienze dell’attuale organizzazione spingendo ad importanti razionalizzazioni. Contribuendo così alla contrazione della domanda interna.

Il mio timore, inoltre, è che le aziende maggiormente competitive ed inserite nelle catene internazionali del valore usciranno da questa crisi pesantemente indebolite ed indebitate senza ricevere il necessario sostegno dal nostro sistema Paese.

Certo la buona notizia è che ne usciranno ma a quale prezzo?

Immaginiamo due importanti imprese, una italiana ed una tedesca, che competono oggi nello stesso settore. Quella italiana, pur brava, uscirà appesantita dai debiti, con maggiori difficoltà ad investire. Quella tedesca invece potrà contare su un sistema Paese sano, una burocrazia efficiente, banche solide e la possibilità di indebitarsi a tassi bassi per sostenere sviluppo e crescita. Crescita che potrebbe giustamente avere come obiettivo il fare un po’ di shopping tra i concorrenti, soprattuto tra quelli dei Paesi più deboli, probabilmente acquistabili a sconto.

I nostri terzisti potranno beneficiare come oggi, e forse di più, della domanda estera ma soffriranno forti pressioni sui margini. Le imprese tedesche (sempre per continuare nell’esempio), più forti, potranno permettersi di far valere il loro maggiore potere contrattuale.

Politici e PA: una sconfitta annunciata (ma parliamo anche delle straordinarie eccellenze).
In questi giorni possiamo dire che la nostra pubblica amministrazione ha mostrato tutta la sua inadeguatezza, risultato di scelte non fatte e costantemente rimandate. Ho abbastanza anni per ricordare l’impulso propulsivo che la PA ebbe negli studi dei commercialisti quando fu introdotto l’invio telematico delle dichiarazioni. Molti di noi scoprirono per la prima volta internet e furono costretti ad adottarla in ufficio. Da troppo tempo invece la PA non stimola ma insegue tardivamente l’innovazione tecnologica. Le code in attesa di essere ricevuti in tribunale o in agenzia delle entrate, prima stoicamente sopportate, oggi sono apparse intollerabili, così come i tentennamenti ed i ritardi di strategia politica nella gestione dell’emergenza.

La stessa Milano si troverà a dover fare un’ampia analisi sulla sua risposta alla crisi. Menzione particolare invece per le nostre università, capaci in pochissimi giorni di cambiare il loro modo di insegnare senza interrompere la didattica. Le scuole al contrario a mio parere in molti casi hanno scontato grandi difficoltà. Non capirò mai perché non utilizzare la Rai per supportare la didattica almeno per le scuole elementari. Non tutti hanno un pc in casa, un televisore però sì. Il discorso è complesso ma gli investimenti nella scuola devono tornare all’ordine del giorno dell’agenda politica.

Straordinaria soprattutto la risposta dei nostri ospedali e del personale medico e paramedico.Leggo che sono allo studio campagne pubbliche di marketing per difendere l’immagine dell’Italia nel mondo ed il suo Made in Italy. Credo basterebbe parlare dei nostri medici ed aiutare i Paesi che si troveranno ad affrontare la crisi dopo di noi per dare un segnale straordinario. Non buttiamo soldi in altro.

schermata-2020-03-14-alle-19-29-10Una spinta all’innovazione e la forza dei territori
Voglio concludere provando a essere ottimista. Questi mesi ci metteranno a dura prova ma ci costringeranno a ridisegnare le nostre imprese e le nostre professioni. Lo smart working (quello vero, quello che modifica le procedure e ci insegna a lavorare per obiettivi) andrà implementato e probabilmente non ci lascerà più, in qualche modo contribuirà a modificare anche il modo di lavorare di tutti noi che lavoriamo in realtà di ridotte dimensioni.

La formazione subirà cambiamenti notevoli, sempre più on line, sempre più micro formazione. Per contrasto la formazione in aula sarà un lusso e dovrà essere di maggior valore. Sono molto critico degli attuali modelli formativi. Molto cambierà, sono convinto in meglio.

La stessa informazione tornerà ad essere un valore ed una parte della popolazione pretenderà che sia libera, obiettiva, di valore. Questo sarà il punto di non ritorno e sarà un bene. Perché le informazioni sono un valore e soprattutto sono uno strumento di lavoro. Scopriremo che la dimensione aziendale è un valore e ci costringerà ancor più di prima a disegnare con consapevolezza e difendere le nostre filiere, il nostro network. Perché solo essere inseriti in una filiera di valore farà da antidoto ad un sistema Paese inefficiente. La crisi incrementerà le operazioni di M&A, accentuando una tendenza già in atto.

Interessante sarà poi valutare il ruolo dei territori. Le grandi imprese continueranno ad accentrarsi a Milano o preferiranno suddividere il rischio riscoprendo antiche capitali come Torino ( San Paolo) o Trieste ( Generali)? Il corona virus ha colpito maggiormente le regioni più ricche ed industrializzate del nostro Paese. Questo avrà effetti sul piano politico? Possiamo ancora parlare di regioni o iniziano a delinearsi zone più omogenee per interessi rappresentate da legami tra città o macro province? Milano oggi probabilmente ha più cose in comune con Bologna rispetto alla Valtellina. Ciò che ci accade oggi tende a scomporre e ricomporre, accelerando tendenze già in atto da tempo. Spesso nei miei convegni non a caso parlo di “Italia del Freccia Rossa”.

L’Italia ha di fronte a se due scenari (o forse più, spetterà agli economisti correggere ed integrare le mie considerazioni). Questa crisi può consacrare la pericolosa tendenza alla stagnazione oppure diventare, almeno per la parte più dinamica del Paese (non per forza coincidente con il nord, dipende sempre di più dalla filiera più che dalla localizzazione), un detonatore. Andando ad accelerare tendenze positive di modernità.

Paolo Fresu ha smesso di suonare, tra poco inizio una conference call con un amico economista per provare a capire un po’ di più. È sabato sera ed il nuovo decreto fiscale non è ancora stato reso pubblico mentre ci tocca passare un weekend in attesa di capire che cosa deciderà la politica in merito ai versamenti di lunedì. Non saranno mesi facili ma io ho fiducia.

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