Coronavirus, 5 mosse per tenere un’azienda viva in tempi di resilienza

scritto da il 15 Marzo 2020

L’autore di questo post è Andrea Porcu, direttore generale del Centro Medico Santagostino –

Nel mio calendario lavorativo siamo al giorno 22 dall’inizio della crisi del Coronavirus; per il terzo fine settimana consecutivo provo a restituire alla business community alcune considerazioni che spero supportino le realtà aziendali in questa difficilissima fase.

Dopo l’articolo della scorsa settimana qui su Econopoly – Il Sole 24 Ore, “Coronavirus, cigno nero a impatto esponenziale (e le opportunità che offre)
gli eventi di questa settimana e le proiezioni sulle prossime, mi spingono ad affrontare un tema: le complessità della gestione eccezionale come nuova normalità.

Sempre mettendo un focus sulle questioni di vita aziendale e lasciando per un momento in secondo piano le terribili dinamiche sanitarie attuali (non certo per ordine di priorità): la dichiarazione di pandemia da parte dell’OMS, l’incapacità di molti Stati di reagire prontamente con azioni efficaci nonostante i dati evidenti dell’Italia e della Cina e l’incertezza totale sull’evolversi della situazione ci restituiscono uno scenario che non è più un’emergenza di settimane ma un contesto con cui dovremo convivere per molti mesi a livello imprenditoriale.

Ovviamente il tema non può essere trattato uniformemente per tutti i settori: qualcuno, come quello dei presidi sanitari o pezzi dell’industria alimentare, vive l’emergenza con una spinta di volumi e come challenge logistico, alcuni settori del terziario vivono le complessità di uno smart working pervasivo mai testato sull’intera popolazione aziendale, altri ancora vivono lo shutdown totale della propria attività per decreto governativo.

Un’emergenza sicuramente temporanea, ma con un orizzonte di risoluzione completa di molti mesi (parlo della vita delle aziende in genere, non dell’epidemia in Italia) non può essere vissuta solo come una crisi. Deve adeguare comportamenti e scelte a schemi di resilienza che consentano la sostenibilità su un periodo non breve per il proprio business: non va assorbito un urto, ma una pressione forte e costante di mesi che potrebbe spezzare equilibri di lungo periodo.

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Procedo con 5 punti sulla base di quanto sto osservando nelle dinamiche della mia impresa, di partner e di altre realtà di business con cui ci stiamo confrontando quotidianamente su difficoltà, opportunità e buone pratiche.

1. Riconoscere che non finirà tra una settimana o due e rifare quasi quotidianamente l’esercizio di capire come ri-orientare l’operatività, le scelte di investimento, le opzioni di cassa, le politiche del personale. Siamo abituati a processi di pianificazione trimestrale o annuale, il più delle volte secondo uno schema di ritualità che non rimette in discussione lo scenario di riferimento. Durante questa crisi è necessario riprendere in mano la nostra funzione come se fossimo una startup, con l’apertura mentale del project manager di un innovativo progetto speciale. Dobbiamo farlo ogni volta che elementi nuovi ci spingono a riprendere in mano le valutazioni del contesto che, in questa fase della crisi, è praticamente ogni giorno. Devono farlo soprattutto i leader prendendosi sulle spalle pezzo per pezzo le istanze dei team, degli stakeholder esterni, degli investitori, come se stessimo per finanziare e “staffare” un nuovo progetto, un progetto che avrà bisogno di mesi prima di dispiegare i suoi effetti.

2. Gestire lo stress dei propri team consentendo e incentivando la “panchina” temporanea per chi ha difficoltà a gestire carichi di lavoro o anche semplicemente per l’impatto emotivo della situazione. Mai come in questo periodo vale il principio della capacità di ascolto e dell’empatia nei confronti delle situazioni personali. Lo stress eccessivo può arrivare da super carichi di lavoro, complessità dello smart working, paura per il futuro del proprio lavoro, paura del contagio, paura per i propri familiari etc. Serve un meccanismo di confronto con le persone di cui abbiamo una diretta responsabilità. E bisogna farsi guidare da questo “motto”: “se non ce la fate alzate la mano, potete chiedere aiuto, qualcuno nel team vi aiuterà, potete anche fermarvi per qualche ora o qualche giorno, anche se non siete malate, anche se non siete nella condizione di avere congedi parentali; sarete capiti, aiutati e non giudicati”.

3. Applicare in modo religioso il principio del Disagree & Commit. Dopo le fasi di ascolto, bisogna decidere, velocemente e prendendosi dei rischi. Non si possono rimandare le decisioni a dopo l’emergenza, perché non possiamo attendere mesi. Si ascolta, ci si confronta, lo si fa intensamente e senza sconti a noi stessi, poi chi ha la responsabilità decide e chi si è confrontato deve essere a bordo per poter consentire al team di procedere, anche se non è d’accordo: senza esitazioni, anche se si faranno errori, nella certezza che da quegli errori bisognerà ripartire con ancora più velocità e coraggio.

4. Regolare gli stili di leadership al momento e ai contesti relazionali in smartworking.
Siamo abituati, soprattutto nei paesi del sud Europa a una vita aziendale fatta di relazioni fisiche, al caffè insieme, alle colazioni di lavoro, alle riunioni (spesso inutili) che diventano anche occasione di confronto e vita sociale. Con lo smart working le videoconferenze, le telefonate, le chat e le email diventano gli unici strumenti di lavoro. Ottimo lascito in termini di modelli operativi che questa crisi lascerà alle nostre imprese, ma… va regolato il “tone of voice”. Una frase diretta e dura, una voce alzata in un contesto relazionale fisico può essere ri-adeguata in base alla reazione delle controparte; un approccio aggressivo con mezzi scritti o di contatto virtuale genera un impatto emotivo nella controparte che scava, viene rielaborato, viene filtrato fino al punto di modificarne quasi il contenuto stesso. Va posta quindi molta attenzione allo stile di leadership in questi giorni e, laddove si pongano temi, è importante ascoltare, gestire feedback e, ove ne riconosciamo autenticamente il punto, scusarci e ripartire. Se lo crediamo veramente: non smettiamo di dirci che la nostra squadra sia la migliore in cui giocare questa partita e facciamolo percepire al team.

5. Proiettare, solo se si pensa siano reali, in modo continuo le opportunità del momento in termini di costruzione del valore. Dobbiamo continuare a pensare (tornando al punto 1 con lo spirito di una start up) che tra qualche mese (3, 6 o 9 a seconda del settore), se saremo ancora uniti avremo spalle molto più forti, che ci rialzeremo dopo l’estate per fare potenzialmente cose enormi. Dobbiamo continuare a pensare alla crescita e alla ripartenza che ci permetteranno di avere tanti nuovi inizi. Questo, ovviamente, potrà accadere se vi sono fondamenti reali per poterlo fare: tra gli effetti positivi di questa crisi ci sarà una “pulita” consistente e sana delle forme vuote di “storytelling” interno ed esterno alle aziende.

Senza in alcun modo voler dare una connotazione politica a un articolo di economia aziendale, voglio dire che tutto quanto scrivo assume un senso solo se le aziende saranno messe nelle condizioni di sopravvivere.

Governo Italiano e Commissione Europea, come mi sembra stiano facendo, dovranno agire in modo rapido, consistente ed efficace con interventi mirati a dare ossigeno reale alle realtà imprenditoriali italiane uscendo per una volta da logiche corporative ed entrando in scelte sistemiche che impattino la sostanza dei problemi di cassa e sostenibilità delle imprese. Dovranno farlo avendo come faro il medio e lungo periodo, pensando a ciò che saremo dopo e rendendosi conto che non dobbiamo ammortizzare un piccolo urto, ma sostenere per mesi la resilienza del nostro tessuto produttivo. @

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