Taiwan e il tiro alla fune high-tech tra Cina e Stati Uniti

scritto da il 17 Marzo 2020

“Decoupling” è il termine utilizzato da Rana Foroohar, curatrice della rubrica sul commercio globale del Financial Times, per descrivere il 2019. Significa ‘separazione’, e descrive il processo di sdoppiamento del sistema economico mondiale previsto per gli anni a venire. Mentre gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dalla globalizzazione e da un aumento dell’integrazione tra le economie avanzate, le prospettive future sembrano riservare uno scenario completamente diverso. La guerra dei dazi è solo la manifestazione più evidente di una disgregazione delle relazioni economiche tra Stati Uniti e Cina destinata ad intensificarsi.

Il confronto ha assunto proporzioni globali, e poiché la sua dimensione principale è quella economica, un ruolo determinante va assegnato all’industria dei semiconduttori. Questo è un settore particolarmente strategico sia per l’estensione del mercato che ne deriva (stimato da Statista ad oltre 740  miliardi di Euro entro il 2024, dai 410 del 2016) che per le sue aree di impiego; queste includono 5G, intelligenza artificiale (IA), automobili, smartphone, computer, missili e altro. Seppure ad oggi le industrie high tech cinesi e americane siano altamente interconnesse, tra i due paesi è in corso una gara tecnologica.

Taiwan: un hub tecnologico

È all’interno di questo contesto che Taiwan gioca un ruolo sempre più cruciale. Ufficialmente chiamata ‘Repubblica di Cina’, il paese è considerato dalla vicina Repubblica Popolare Cinese come una sua provincia separatista, e per questo non è riconosciuto dalle Nazioni Unite. Di fatto è però una democrazia indipendente e possiede la più avanzata industria di microprocessori al mondo. Taiwan (Isola di Formosa) è situata a ridosso del Mar Cinese Meridionale, a poco più di 150 km dalla costa ed è vicina a tutti i principali centri economici della regione, da Shanghai a Hong Kong fino al Giappone.

Con una popolazione di 23 milioni di abitanti e un PIL pro capite di quasi 55.000 $ (a parità di potere d’acquisto) Taiwan ha assunto un’importanza crescente all’interno della catena di produzione dell’industria elettronica. Le componenti hardware prodotte dalle sue aziende forniscono colossi come Apple e Intel, e nel caso della lavorazione dei semiconduttori e della realizzazione di microprocessori il livello tecnologico raggiunto dalle fabbriche taiwanesi non ha eguali al mondo. Quello dei semiconduttori è un settore che pone le basi per il funzionamento di tantissime altre industrie: l’elettronica di consumo, l’industria del tech e l’e-commerce ad esempio sono tutte attività con mercati miliardari che offrono servizi informatici basati sul silicio.

schermata-2020-03-15-alle-20-16-49TSMC, semiconduttori ‘Made in Taiwan’

I microchip Made in Taiwan sono inoltre presenti all’interno di un elevato numero di apparecchiature militari. Un’azienda in particolare, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), gioca un ruolo cruciale attraverso la produzione di processori commerciali che hanno applicazioni anche nella produzione di satelliti, missili, aerei da guerra e droni, oltre che nel campo delle telecomunicazioni.

TSMC non è una società qualunque: con un fatturato di 35 miliardi di dollari circa è il più grande produttore interamente dedicato alla fabbricazione di microprocessori e circuiti integrati. Non si occupa di progettazione della componente hardware in sé, ma soltanto della sua produzione sotto ordinazione di altre aziende. Tantissimi leader del settore come Apple, Qualcomm e Nvidia commissionano la produzione a TSMC, che secondo il New York Times rappresenta il 90% dell’intero mercato per quanto riguarda i processori più avanzati. Il suo principale cliente è proprio Apple e subito dopo segue Huawei, che contribuisce da sola al 10% dell’intero fatturato dell’azienda di Taiwan.

Nel 2018 all’industria dei semiconduttori corrispondeva un fatturato globale annuo di 481 miliardi di dollari (Deloitte, 2018), TSMC è una delle principali imprese nel settore e genera dei ricavi inferiori solo a quelli di Intel e Samsung. Sia la Cina che gli Stati Uniti vorrebbero raggiungere autonomamente il primato tecnologico in materia di microprocessori, ma ciò richiede tempo e sforzi finanziari non indifferenti (una sola fabbrica può costare più di 10 miliardi di dollari). Chi ha da preoccuparsi maggiormente è la Cina: per fabbricare le componenti da vendere a Huawei, TSMC utilizza a sua volta delle strumentazioni prodotte da aziende americane. Gli USA potrebbero decidere di bloccare la fornitura all’azienda di Taiwan causando seri danni a Huawei, anche se ciò comporterebbe un costo elevato per tutte le imprese statunitensi hanno stretti rapporti commerciali con TSMC.

‘Made in China 2025’, la strada verso il primato tecnologico

Il desiderio cinese di autonomia nella produzione di semiconduttori rappresenta un elemento fondamentale per la realizzazione di ambizioni già chiarite con i progetti ‘Made in China 2025’ e con la Nuova via della seta. Il paese vuole dichiaratamente cessare di essere “la fabbrica del mondo”, e trasformarsi invece in un fornitore all’avanguardia di beni e servizi ad alto valore aggiunto. L’obiettivo è quindi quello di sviluppare un’economia più indipendente, con delle infrastrutture ben collegate al resto del mondo che le permettano di controllare le principali catene del valore mondiali e affermarsi commercialmente e tecnologicamente come leader globale. Se la centralità economica e politica statunitense passa anche dal controllo delle rotte commerciali marittime, quella cinese potrà emergere dal dominio delle industrie e catene del valore più importanti e strategiche. Il ruolo di Taiwan in questo processo potrebbe essere determinante.

Secondo l’Economist (Poles Apart, 2020) la Cina dipende ancora largamente da fornitori stranieri per il 90% dei superconduttori impiegati, e sebbene questo possa cambiare ci vorranno almeno 10-15 anni prima che possa diventare autonoma nella produzione di microchip.

La Cina dipende soprattutto da Taiwan per la sua fornitura di chip, e le due economie sono in generale molto connesse. La Repubblica Popolare è di gran lunga il principale partner commerciale di Taiwan, acquisendo il 26,9% delle sue esportazioni e contribuendo alle importazioni per il 18.6%, seguono Hong Kong al 12.4% e gli Stati Uniti all’11.8% (dati dell’International Trade Administration). Nonostante la vicinanza tra i due paesi, le elezioni presidenziali dello scorso 11 gennaio hanno confermato la volontà dei taiwanesi di mantenere la propria indipendenza dalla Cina. Complici le proteste ad Hong Kong, che hanno alimentato un forte scetticismo verso il modello ‘una Cina due sistemi’, gli elettori hanno confermato la presidente uscente, Tsai Ing-wen del Partito Progressista Democratico (PPD), con posizioni liberali e identitarie.

schermata-2020-03-15-alle-20-15-32Agli antipodi

Seppure stia riducendo la sua distanza dagli USA, la Cina soffre di consistenti deficit tecnologici, mentre gli Stati Uniti sono consapevoli di aver perso il primato in un settore fondamentale e soffrono la dipendenza da Taiwan. I due rivali stanno cercando di sviluppare una catena del valore che non dipenda dalle forniture dell’altro, escludendo i competitor del rivale per vie legali (USA) o sussidiando e privilegiando ampiamente le aziende domestiche (Cina). Queste filiere distinte potrebbero dare origine a due mondi digitali separati, con prodotti diversi e incompatibili, due reti divise con piattaforme e applicazioni distinte. L’Economist (Poles Apart, 2020), stima il costo per duplicare la sola filiera dell’hardware tecnologico attorno al 6% del PIL combinato delle due potenze. Le conseguenze economiche di questa eventualità sono difficili da prevedere, ma da un rimescolamento delle catene di valore è possibile aspettarsi, almeno nel breve/medio termine, un aumento del livello dei prezzi.  Per una democrazia come gli Stati Uniti i costi di un simile evento sarebbero difficilmente sostenibili.

Inoltre, la prospettiva di un’eventuale invasione anfibia di Taipei da parte di Pechino (opzione che la Cina non esclude) spaventa le aziende americane e l’amministrazione statunitense, che considera pericolosa la possibilità di dipendere da una tecnologia che entrerebbe a tutti gli effetti sotto il controllo della Repubblica Popolare. La politica estera americana si basa sulla costruzione di alleanze strategiche e sulla deterrenza militare (e informatica). Gli USA intraprendono relazioni de facto diplomatiche con quelle che vengono definite come “autorità governative di Taiwan”, trattandolo in molti contesti al pari di ogni altro stato sovrano. Le relazioni tra Washington e Taipei si stanno consolidando, ad agosto la Casa Bianca ha firmato un accordo di vendita per 66 caccia f-16, indispettendo la Cina nonostante lo scambio sia in linea con una legge precedente che prevede che il presidente americano conduca regolarmente affari col Taiwan in ambito di difesa “atti a far fronte a minacce esistenti e possibili future”.

Il 4 marzo il Congresso americano ha passato all’unanimità il Taiwan Allies International Protection and Enhancement Initiative Act (Taipei Act). Questa legge chiede al governo americano di aumentare la presenza diplomatica nei Paesi che supportano Taiwan, riducendola invece per quelli che si allineano a Pechino. Per disincentivare ulteriormente deviazioni dalle linee diplomatiche statunitensi, la proposta di legge conferisce al Segretario di Stato USA il potere di espandere, ridurre o terminare l’assistenza economica agli Stati che, cedendo alle pressioni Cinesi, decidano di deteriorare i loro rapporti con Taipei. Il disegno di legge invita inoltre ad una maggiore inclusione di Taiwan nelle organizzazioni internazionali, come membro o osservatore (passaggio importante per il riconoscimento come Stato sovrano a tutti gli effetti da parte della comunità internazionale). Il Taipei Act – che potrà essere firmato dal presidente Trump dopo un ulteriore voto al Senato – propone anche un’area di libero scambio tra i due Paesi, avvalorando gli argomenti a sostegno dell’importanza del commercio tra i due paesi.

Decoupling Tecnologico CINA – USA

Il confronto tra Stati Uniti e Cina ha già ripercussioni tangibili sull’industria dei semiconduttori, con contrazioni nel settore che preoccupano gli investitori. Se le tensioni dovessero intensificarsi ed estendersi ad altri ambiti (come sta già succedendo), l’eventuale decoupling delle due economie rivoluzionerebbe il commercio mondiale sotto quasi ogni aspetto. La catena di produzione delle tecnologie informatiche potrebbe dividersi in due rami indipendenti che potrebbero sviluppare standard differenti e componenti potenzialmente incompatibili. Un processo del genere richiederebbe anni di graduale reshoring e risorse difficilmente quantificabili. Il Financial Times stima la dipendenza mondiale da componenti cinesi all’interno delle filiere produttive di prodotti elettrici ed elettronici attorno al 30%. Per gli USA il dato è stimato è del 45%, sganciarsi dalla Cina non è quindi né facile né conveniente.

Sia gli Stati Uniti che la Cina vogliono mantenere un saldo controllo sulle proprie aziende, sui loro fornitori ma soprattutto sulla tecnologie in loro possesso. Taiwan non è da meno e a causa del primato tecnologico che detiene viene allo stesso tempo corteggiato e minacciato dalle due potenze. Taipei e la TSMC, consapevoli della loro importanza e sotto costanti pressioni, avranno difficoltà a restare neutrali a lungo.

 

Twitter @OrizzontiPo