La pandemia condiziona i consumatori, arginiamola con spinte gentili

scritto da il 18 Marzo 2020

Gli autori del post sono Francesco Baldo Tesi, laureato con lode in Economia e Management presso l’Università degli Studi di Firenze, attualmente laureando in Corporate Finance presso la LUISS Guido Carli e Lorenzo Padella, laureato con lode in Economia e Finanza all’Università di Pisa, master in Inghilterra (in corso) per specializzarsi in Behavioural Economics –

Il virus SARS-CoV-2 e la COVID-19, ovvero la sindrome che ne consegue (nota anche come ‘coronavirus’), hanno innescato nei consumatori e negl’investitori una serie di comportamenti discutibili: alcuni alquanto bizzarri, altri, giudicati inizialmente come folli, in realtà sono assolutamente razionali.

Piuttosto singolare è il caso della birra Corona. Nel momento di massima diffusione mediatica del ‘coronavirus’, molte persone hanno cominciato ad associare il nome della birra messicana, facente parte del gruppo americano Constellation Brands, Inc., alla malattia.

Linea rossa: beer coronavirus termine di ricerca Google; Linea blu: corona beer virus termine di ricerca Google

Linea rossa: beer coronavirus termine di ricerca Google;
Linea blu: corona beer virus termine di ricerca Google

Come è possibile osservare dalla figura, si è verificata un’impennata nel volume delle ricerche ‘birra-virus’, confermando una crescente attenzione riguardo il legame tra la birra e il virus. Questa fantasiosa relazione (oltre a essere in netto contrasto con la perfetta razionalità dell’homo oeconomicus) ha avuto nel brevissimo termine un impatto sull’immagine del marchio Corona, con un calo nei ranking delle preferenze dei consumatori, e successivamente sul prezzo azionario del Constellation Brands, Inc., che effettivamente ha perso in una settimana (poco meno di un mese fa) circa l’8% sulla borsa di New York. Una fotografia di come i mercati, seguendo le assurde informazioni girate dalle persone, si siano comportati efficientemente, riflettendo la notizia sul prezzo azionario.

Fonte: Bloomberg

Fonte: Bloomberg

Nonostante l’assurdità di tale collegamento mentale (di simile c’è solo una parte del nome), nella sua irrazionalità vi è una spiegazione: il nesso ‘birra-corona-coronavirus’ è il frutto di un’illusoria correlazione per somiglianza, ovvero una delle distorsioni cognitive che il cervello umano produce più che abitualmente, soprattutto in fase di stress (e di ignoranza). Ad alimentare questa notizia hanno contribuito i tweet e i post dei social networks, che hanno innescato un vero e proprio ‘effetto cascata di informazioni’, a scapito dell’immagine della birra messicana.

Panic buying: la corsa agli scaffali
Simile, ma differente è l’effetto gregge (in inglese herding behaviour), ossia la condotta coerente e uguale tenuta da molte persone, senza che fra queste ci sia alcun coordinamento. Conferenze stampa, comunicati ufficiali o una fuga di notizie ‘preoccupanti’ possono portare a questi fenomeni di massa, dove gli individui tendono a seguire il sentimento della maggioranza.

Un effetto gregge a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane a causa del coronavirus è stato il fenomeno della corsa da panico ai supermercati. In questo contesto, il sentimento comune non è tanto il timore per la malattia stessa, ma la paura che gli altri siano spaventati e corrano nei negozi, e di conseguenza cresce la preoccupazione di non possedere beni di prima necessità per un periodo medio-lungo. Tale nesso mentale porta a un collettivo assalto ai negozi. Le file chilometriche e le risse per qualche rotolo di carta igienica hanno aperto un interessante discussione in chiave behavioural.

Fonte: Yahoo Finance

Fonte: Yahoo Finance

L’economista e professore australiano, Justin Wolfers (University of Michigan), ha spiegato, attraverso una serie di tweet, come la corsa disperata nei supermercati per la carta igienica (apparentemente vista come un comportamento folle) non sia altro che uguale alla corsa agli sportelli bancari, altro atteggiamento da non considerare puramente irrazionale.

Per ricordare un caso recente, nel 2015 le famiglie greche correvano in banca per ritirare la propria liquidità con la paura che l’istituto creditizio collassasse e i risparmi si volatilizzassero. Così oggi miriadi di persone in tutto il mondo hanno cominciato a correre nei supermercati con il timore di essere anticipati e di trovare vuoti gli scaffali. Inoltre, l’idea di prepararsi a vivere alcuni giorni in quarantena o in isolamento è una reazione intelligente dello spirito di sopravvivenza umano. E rispecchia un’altra caratteristica comportamentale: l’avversione al rischio, ovvero la tendenza a dare maggior peso a situazioni critiche e incerte rispetto a periodi migliori. È la paura in queste circostanze a rendere tale comportamento una scelta perfettamente razionale.

Nudges comportamentali per fronteggiare il coronavirus
In data 1 Marzo, l’Irlanda ha dovuto fare i conti con il primo cittadino contagiato da COVID-19. Vista l’alta trasmissività del virus, sin dal giorno in cui l’uomo è stato ricoverato, l’ospedale ha messo in atto una strategia ingegnosa per incentivare i giusti comportamenti di prevenzione. All’entrata dell’ospedale sono stati posizionati cartelli con segnali di stop che chiedevano di lavarsi accuratamente le mani una volta entrati nello stabilimento e, come se non bastasse, il personale alla reception aveva il ruolo di accertarsi che i visitatori avessero effettivamente seguito le indicazioni.

Questo tipo di azione, tanto semplice quanto poco costosa, ha avuto un notevole successo incrementando la cautela presa dalle persone. Ogni tipo di politica volta a indirizzare positivamente ed in maniera leggera le decisioni degli agenti, senza ostacolarne la libertà, viene detta nudge (spinta gentile).

La Teoria dei Nudge, resa nota dal lavoro di Richard Thaler e Cass Sunstein (2009), può risultare di vitale importanza per combattere la pandemia Coronavirus, che sta minacciando gran parte del globo. È infatti ormai indubbio che la sconfitta del virus (e quindi la frenata della sua diffusione) dipenda largamente dal comportamento delle masse, le quali si trovano di fronte ad una sfida molto complicata: cambiare le proprie abitudini.

Un’abitudine è riconducibile ad un qualcosa che le persone fanno senza nessun tipo di sforzo mentale, come toccarsi ripetutamente il viso o i capelli, ed è per questo che il suo cambiamento non può essere dettato dalla semplice informazione.

Un modo efficace, come evidenziato dal caso dell’ospedale irlandese, è quello di catturare continuamente l’attenzione con piccoli, ma potenti segnali.

Se i comportamenti incentivati diventassero virali (è il caso di dirlo), gli effetti positivi di politiche nudge sarebbero maggiori. In altre parole, diffondere un “contagio di giuste cose da fare” può sconfiggere una pandemia. La figura sotto riportata evidenzia il fenomeno appena descritto quando rispettivamente il 20 ed il 60% della popolazione è sottoposta a nudge.

Fonte: J. Haushofer, C. Jessica E. Metcalf, 2020

Fonte: J. Haushofer, C. Jessica E. Metcalf, 2020

Come si incoraggiano i giusti comportamenti durante una pandemia?
Le autorità pubbliche ed i media sono oggi chiamati a rivestire un ruolo fondamentale: informare le relative popolazioni sugli sviluppi del virus ed i comportamenti da seguire. Esse si avvalgono delle scienze comportamentali come strumento per rallentare la pandemia.

Ad esempio, la descrizione degli accadimenti occupa un ruolo delicato, ed il rischio dovrebbe essere comunicato con la massima trasparenza e tramite statistiche: raccontare storie di singoli casi potrebbe solamente aumentare paura e sconforto.

Come l’effetto framing ci insegna, comunicare che la malattia ha un tasso di mortalità del 2% è notevolmente differente dal dire che il 98% delle persone riuscirà a sopravvivere. I numeri dovrebbero quindi essere presentati in modo da suscitare emozioni positive.

La trasparenza è inoltre un ingrediente importante per accrescere la fiducia ed avere quindi un più alto ‘potere di ancoraggio’ sugli individui. Quando infatti la popolazione si fida ciecamente della governance del proprio paese, si ancorerà più facilmente alle sue indicazioni.

L’isolamento stesso che oggi molti paesi stanno affrontando dovrebbe essere accompagnato da istruzioni precise, in modo da non lasciare dubbi ed ancorare i comportamenti; d’altro canto, è lecito chiedersi se portare fuori il cane o fare una passeggiata rappresenti una condotta da evitare. È perciò compito delle istituzioni chiarire fino a che punto i cittadini devono sacrificare la loro libertà durante la pandemia coronavirus.

Twitter @lennyy_belardoo