Risparmi, la paura è l’elefante dentro di noi. Come limitare i danni?

scritto da il 22 Marzo 2020

L’autore del post è Duccio Martelli, professore aggregato di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università di Perugia e visiting professor alla Harvard University –

La paura è certamente lo stato d’animo più comune, che tutti noi abbiamo provato a vari livelli in queste settimane, a seguito dell’allarme coronavirus scoppiato anche nel nostro Paese. La paura di ammalarsi, la paura di un crollo dell’economia nei prossimi mesi, la paura del prossimo, sono solo alcune delle cause scatenanti tale emozione. Ci verrebbe quindi da dire che la paura porta purtroppo con sé solo delle ricadute negative nelle nostre vite, come mostrano le reazioni fatte registrare dagli individui in questi giorni (una su tutte la corsa agli scaffali dei supermercati, per accaparrarsi gli ultimi pacchi di pasta, penne lisce escluse ovviamente).

Tuttavia, è opportuno tenere sempre a mente che la paura ha invece anche un lato positivo molto importante. Anzi, la paura ha degli effetti positivi sul nostro comportamento, se questa viene gestita in maniera corretta. La paura rappresenta infatti un’emozione primaria in risposta a uno stato di pericolo, sia esso reale o anche solo percepito. Essa ha permesso alla specie umana di sopravvivere fino al giorno d’oggi grazie all’attivazione di alcuni sintomi fisiologici, quali l’accelerazione del battito cardiaco, la dilatazione delle pupille e la produzione di adrenalina; tutti segnali preparatori del nostro organismo allo stato di lotta o di fuga (c.d. fight or flight) per gestire l’imminente pericolo. Se i nostri avi non avessero sentito la paura, non sarebbero stati in grado di proteggersi dai pericoli circostanti; minacce che molto spesso avevano impatti diretti sulla loro stessa sopravvivenza o morte. Fortunatamente i pericoli che corriamo al giorno d’oggi solo raramente possono condurci alla morte; tuttavia, il nostro cervello e il nostro corpo non sono sovente in grado di distinguere la gravità delle varie minacce. Ecco spiegato il motivo per cui tutti i pericoli che noi percepiamo vengono di solito considerati come potenzialmente letali.

Ovviamente se la specie umana è riuscita a superare i vari pericoli nel corso dei secoli, questo non significa che i singoli soggetti siano stati altrettanto capaci di gestire le situazioni critiche che hanno dovuto fronteggiare nel corso della loro vita. Studi accademici mostrano infatti come individui con carichi emotivi eccessivi (siano essi positivi, come l’euforia; che negativi, come ad esempio la paura), così come pazienti, che per danni cerebrali sono clinicamente incapaci di provare qualsiasi tipo di emozione, mostrano una tendenza sistematica a prendere decisioni non ottimali, rispetto a quelle compiute da soggetti che riescono invece a gestire correttamente i loro livelli di emotività nelle varie situazioni di pericolo, in campo finanziario e non.

Pensiamo a quale potrebbe essere la nostra reazione se in questo momento vedessimo entrare un leone affamato nella nostra stanza o nel nostro ufficio. Se cadessimo in preda al panico, in altre parole se fossimo in presenza a un carico emotivo eccessivo, il nostro corpo rimarrebbe molto probabilmente pietrificato, con vita facile per il leone, che potrebbe saziare il suo appetito. Il risultato sarebbe simile anche in presenza di un carico emotivo nullo: in questo caso, infatti, poiché la presenza del leone non verrebbe percepita dal nostro corpo come un elemento di pericolo, continueremmo a restare seduti alla nostra scrivania a svolgere i nostri compiti. Anche in questa situazione, quindi, il leone non avrebbe troppe difficoltà a procurarsi il pasto del giorno.

Il finale potrebbe invece essere diverso (per noi e per il leone), nel caso in cui percepissimo l’ingresso dell’animale in ufficio come un segnale di pericolo imminente e fossimo in grado di gestire questo carico emotivo nella maniera opportuna. I segnali fisiologici descritti in precedenza, come l’aumento del battito cardiaco e la dilatazione delle pupille, servono infatti al nostro corpo per decidere cosa sia meglio fare (in questo caso la fuga sarebbe forse la scelta preferibile rispetto alla lotta) e quali siano le modalità da seguire per scappare dal pericolo (se all’interno del nostro ufficio sono magari presenti diverse possibili vie di uscita, il nostro cervello sarebbe in grado di scegliere quella che ritiene più efficace).

Addirittura, se il nostro ufficio fosse posizionato ai piani alti, e le uniche vie di uscita fossero gettarsi dalla finestra o uscire dalla stessa porta dove si trova adesso il leone, la scelta migliore potrebbe addirittura essere quella di rimanere all’interno della stanza, nella speranza che il leone sia sazio, una volta mangiati (purtroppo o per fortuna) i colleghi che sono a lui più prossimi. Oggi è molto più difficile fare incontri ravvicinati con un leone o altri animali feroci e, fortunatamente, i pericoli che corriamo nelle nostre vite quotidiane solo raramente possono condurci alla morte. Tuttavia, il nostro cervello e il nostro corpo non sono spesso in grado di distinguere la gravità delle varie minacce; ecco spiegato il motivo per cui tutti i pericoli vengono di solito considerati come potenzialmente letali.

Se la paura ha dunque una valenza positiva, quando gestita correttamente, per trarre beneficio da tale emozione è importante comprendere il fattore di pericolo, che l’ha scatenata, in modo da poterne analizzare l’effettiva gravità. Tornando alla situazione attuale, la paura dei soggetti è in estrema sintesi la diretta conseguenza di non una, ma ben tre differenti minacce:

i) un pericolo di tipo clinico, dato dal rischio di ammalarsi;

ii) una minaccia di tipo fisico, causata dalla percezione di una futura assenza di cibo;

e iii) un pericolo di tipo finanziario, dovuto al crollo dei mercati, a una possibile crisi economica nei prossimi mesi e all’aumento dei prezzi di alcuni beni di prima necessità (es. disinfettanti).

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Essendo la paura un’emozione primitiva, questa non può essere gestita a livello razionale. Una comunicazione basata su dati e numeri è inefficace, se non addirittura poco opportuna. Descrivere infatti gli effetti del Covid-19 in termini quantitativi, o i differenti impatti rispetto a quelli provocati dall’influenza stagionale, può far aumentare le preoccupazioni per l’allerta in corso. In queste situazioni, infatti, il nostro cervello è solito dare poco peso ai dati positivi, mentre tende ad amplificare in maniera significativa quelli negativi.

Per comprendere infatti il differente peso all’interno del processo decisionale dovuto all’emotività e alla ragione, si è soliti utilizzare l’immagine di un elefante con il suo guidatore, dove l’animale rappresenta la nostra parte più primitiva e incontrollabile del cervello, mentre il portatore raffigura la nostra parte razionale. Ne deriva che, quando l’elefante è agitato, il guidatore può fare ben poco per indirizzare l’animale verso la direzione voluta. L’animale tenderà infatti a scegliere la strada che ritiene più sicura, anche se nella pratica così non è. Questo meccanismo si verifica soprattutto quando l’animale si sente in pericolo di vita. Lo stesso vale per gli esseri umani: quando anche noi ci sentiamo in pericolo, è molto raro che la ragione riesca a prendere il sopravvento sull’emotività. Anzi, in situazione di panico, sentirsi dire di “stare tranquilli” non fa altro che amplificare il nostro carico emotivo. Utilizzare quindi dati numerici per calmare il nostro “elefante interiore” non è dunque la strategia migliore da seguire; occorre invece interagire a livello emotivo con i destinatari dei vari messaggi.

Lo stesso vale anche in ambito finanziario. Se da un punto di vista razionale, la storia insegna che dal Dopoguerra a oggi ci sono stati oltre trenta buone motivazioni per uscire dai mercati (come ad esempio le varie guerre in varie aree geografiche o le diverse crisi economiche dei decenni passati), la statistica dimostra come, anche investendo su un orizzonte temporale lungo, un tempismo sbagliato di ingresso o uscita dai mercati porti i risparmiatori ad azzerare i potenziali guadagni accumulati, se non addirittura a chiudere le posizioni in perdita. Questo perché nel medio e lungo termine i mercati sono soliti crescere in maniera significativa, ma nel breve possono presentare momenti di incertezza talvolta molto elevata. Anche in queste giornate turbolente, le piazze finanziarie internazionali sembrano alternare pesanti cali a rimbalzi importanti, penalizzando chi non è riuscito prontamente a cogliere le inversioni giornaliere.

Se la paura non si vince con i dati, come è possibile gestirla, quando la volatilità del nostro portafoglio diventa eccessiva? Sebbene molti consulenti continuino a postare sui loro canali social statistiche e numeri, anche in questo caso i dati non aiutano granché. Un’emozione può essere gestita solo a livello emotivo, stimolando ad esempio un altro stato d’animo. In questo caso, contro la paura i consulenti finanziari potrebbero usare il rimpianto, per aiutare i clienti a compiere scelte più razionali. Il rimpianto infatti rappresenta uno stato d’animo che tutti noi abbiamo sperimentato almeno una volta nella vita, quando abbiamo esclamato: “Ah, se potessi tornare indietro!” Quante volte ci siamo fatti questa domanda. Sebbene il rimpianto fa riferimento a situazioni passate, i consulenti possono utilizzare lo stesso schema, ponendo la domanda ai loro clienti in un’ottica futura.

In particolare, potrebbe essere opportuno presentare due diversi scenari circa l’andamento futuro del portafoglio: nel primo caso, si simula il valore degli investimenti una volta liquidate le posizioni, come suggerito emotivamente dai clienti; nell’altro caso, si mostra invece l’andamento prevedibile del portafoglio in presenza di inattività. Dimostrato che il secondo scenario genera delle performance maggiori rispetto al primo, il consulente può quindi porre la seguente domanda: “Sei disposto a sopportare il carico emotivo delle tue decisioni?” A questo interrogativo l’elefante dentro i nostri clienti tende di solito a calmarsi ed è di nuovo pronto a farsi portare dal proprio guidatore.