Quarantena necessaria, ma quale strategia se la pandemia durasse mesi?

scritto da il 25 Marzo 2020

Non è semplice combattere contro un nemico praticamente sconosciuto. Si rischia di brancolare nel buio e di essere indotti a scegliere politiche sbagliate. A volte eccessivamente precauzionali, a volte scarsamente precauzionali.

Il grande limite che ci attanaglia riguarda poi il tempo. Tutti vorremmo che questo incubo avesse una durata limitata, ma soprattutto predefinita. Da qui la ricerca spasmodica sulla data del “picco” o l’attesa del 3 aprile come di un Sabato del Villaggio di Leopardiana memoria. Eppure, nessun esperto si sta esponendo su questo tema.

Si concorda sul fatto che le misure di contenimento siano necessarie per evitare il collasso del sistema sanitario. Ma ciò non significa che la discesa sarà rapida e che potremmo tornare alla vita normale in tempi brevi. Nessuna certezza sull’asserita stagionalità del virus o sull’immunità, nessun vaccino all’orizzonte.

Sarebbe quindi utile capire se esista una strategia di medio periodo. Cosa faremo se la pandemia dovesse durare per mesi? In questi giorni di permanenza domiciliare forzata, mi sono trovato a rileggere un libro di Carlo M. Cipolla. Il titolo lo rende più attuale che mai (“Contro un nemico invisibile”), benché racconti le epidemie nell’Italia rinascimentale. Sono tante le analogie con la situazione attuale, nonostante la diversità biologica del nemico, trattandosi della peste. Il libro merita la lettura integrale, ma proverò a fare una breve sintesi che possa consentire qualche riflessione sull’attualità.

1. L’arrivo del nemico

Nel maggio del 1630 la peste si era diffusa nel Nord Italia. Cipolla racconta che i magistrati della sanità di Firenze si misero all’erta per creare un cordone sanitario. Ma «Un cordone sanitario è misura necessaria ma raramente sufficiente, soprattutto se l’agente patogeno è sconosciuto ed invisibile, se il vettore animale non è sospettato e se le guardie sono ignoranti e poco scrupolose». Ed infatti la peste arrivò.[1]

Lo abbiamo visto anche attualmente. Infatti, il Covid-19 è praticamente presente in tutto il mondo.

2. Le misure di contenimento

Una volta che il nemico è entrato, iniziano le misure di contenimento. Cipolla si muove seguendo gli scritti lasciati da Cristofano di Giulio Ceffini, ufficiale sanitario e poi Provveditore a Prato. Nel suo Libro della sanità, scriveva ciò che un ufficiale sanitario avrebbe dovuto fare:

  • – inzolfare e profumar le case o stanze dove sono stati morti o malati;
  • – separare subito scoperto il male gl’infermi da’ sani;
  • – abbruciar subito e levar via le robbe che hanno servito per uso al morto o al malato;
  • – serrar subito quelle case dove è stato infettato e tenerle almeno 22 giorni, acciò chi vi è dentro nel praticare non infetti gli altri;
  • – proibire i comerzi.

Misure di buon senso, molto attuali tra l’altro (brutalità contestuali a parte). Ma le persone sono sempre state restie a divieti e imposizioni. Scrive Cipolla: «La gente anche per ignoranza è insofferente di limitazione e controlli e la gente di Prato non faceva certo eccezione. Il 1630 fu un’annata vinicola eccellente per la produzione viticola, e in settembre ed ottobre, ad onta del fatto che il villaggio di Tavola fosse già stato “chiuso” per causa di numerosi casi di morte e di malattia sospetti, molti pratesi vi andarono per vendemmiare.»

E naturalmente c’erano i furbetti. Purtroppo, ne vedremo tanti anche noi da qui in avanti. Cristofano si accorse che molte persone restavano in casa oltre i 22 giorni per ricevere il sussidio quotidiano. Perché la salute al primo posto, ma anche il sussidio non è male… e dovette far sprangare le case precedentemente serrate. Per un periodo provvide più a sprangare le case che a metterne in quarantena, preoccupato per le finanze. Si scontrò con problemi burocratici, conflitti di poteri, e soprattutto finanziari, perché sostenere i lazzaretti costava molto.

Anche a Montelupo arrivò la peste. Già ad ottobre del 1630 l’epidemia dilagava e Firenze mise al bando il castello di Montelupo. Figura centrale fu quella di Padre Dragoni, nominato Ministro e camerlengo della Sanità. I problemi non mancavano, dato che la chiusura del castello aveva mandato in crisi l’economia e ciò rendeva difficile riscuotere i tributi con i quali finanziare le misure anti-peste. Anche in tal caso, problemi più che attuali.

Giovanni di Paolo, "Allegoria della peste", Tavoletta di biccherna, 1437

Giovanni di Paolo, “Allegoria della peste”, Tavoletta di biccherna, 1437

3. La quarantena generale

«All’inizio di gennaio la Sanità di Firenze decretò per tutte le comunità del territorio la “quarantena generale”. Era questa una misura tipica in tempo di peste, intesa ad accelerarne la soluzione: consisteva nel limitare i movimenti delle persone costringendo la gente in casa e proibendo riunioni e assembramenti per la durata di quaranta giorni.»

Cipolla però non è convinto dei suoi effetti positivi. «L’idea di proibire rigorosamente movimenti e contatti è ottima, se accompagnata però dall’immediato isolamento di infetti e sospetti. Quando le fonti dei contagi sono nelle case, una quarantena generale ha poco senso. Le cifre di Cristofano rilevano che la mortalità in gennaio e febbraio continuò a decrescere, ma ad un ritmo più lento di prima. Probabilmente era questo il normale decorso dell’epidemia, ma certo non si può dire che la quarantena generale abbia dato risultati positivi.» Ci tornerò più tardi.

La quarantena generale del gennaio ’31 riguardò anche Montelupo. Ancora una volta Cipolla critica la misura, perché il contagio era nelle case, ma evidenzia che la gente si ribellava per motivi non scientifici, perché la quarantena «(…)o oltre che una indicibile scocciatura, significava l’arresto completo di ogni attività economica e quindi maggior miseria (…)».

Ma poi, fatta la regola generale, vi erano le eccezioni locali. E quindi ci si chiedeva «se dalle case le donne potessero uscire per le provviste, se la quarantena dovesse essere limitata al solo Castello o estesa a tutta la podesteria, si i deputati alla Sanità potessero continuare a tenere le loro riunione (…)». Un po’ gli stessi dubbi che ci tormentano attualmente. (basti pensare alle assurde polemiche su runners e proprietari di animali domestici).

Si circolava grazie alle bollette sanitarie, una sorta di passaporto sanitario, ma spesso queste erano false. Come scriveva il Manzoni ne I Promessi sposi: «In quanto alla maniera di penetrare in città, Renzo aveva sentito, così all’ingrosso, che c’eran ordini severissimi di non lasciar entrar nessuno, senza bulletta di sanità; ma che in vece ci s’entrava benissimo (…) in que’ tempi ogni ordine era poco eseguito». Fin troppo scontato il parallelismo con le autocertificazioni attuali.

4. I conflitti tra poteri

L’epoca raccontata da Cipolla era quella in cui in Toscana regnava il Granducato. Così come oggi assistiamo esterrefatti alle diatribe che creano confusione tra Stato, Regioni e Comuni, disorientando i cittadini, all’epoca una principale lotta avveniva tra politica e clero. (apro parentesi, il decentramento decisionale non è mai una buona cosa in fasi emergenziali, che richiederebbero maggiore accentramento ed uniformità, non miriadi di sceriffi locali in cerca di notorietà, chiudo parentesi)

Un esempio riguarda proprio Montelupo, dove, nel 1631, il parroco Antonio Bontadi indette una processione contro la pestilenza, portando in giro il crocifisso miracoloso di Montelupo. Padre Dragoni era contrario, così come l’ufficio di sanità di Firenze. Ma non si riuscì ad impedire la processione. Al tutto seguirono festeggiamenti notturni e perfino la rottura dei rastelli utilizzati per chiudere le porte di Montelupo. Cipolla ricorda che «Un prete era pur sempre un’autorità in paese e, più importante ancora, un prete non poteva venir sfrugugliato od arrestato: c’erano di mezzo i delicati rapporti tra Stato e Chiesa e per procedere contro un ecclesiastico occorreva licenza speciale di Sua Altezza Serenissima il granduca

5. La fretta di ripartire

Con l’inverno i contagi si erano allentati e nel dicembre 1630 «(…) il podestà scrisse a Firenze accennando all’opportunità di levare il bando che impediva comunicazioni e commerci tra Prato e Firenze (…)». Ma non era finita. A Prato ci volle luglio per la fine dell’epidemia. Mentre l’ultimo decesso a Montelupo è datato 11 agosto.

La misura della quarantena generale era infatti pensata per tornare alla normalità nel più breve tempo possibile. Ma dato che non era una misura risolutiva, anche perché all’epoca non capivano interamente le modalità del contagio, il nemico tornava a farsi sentire. Non dimentichiamolo, potrebbe costarci caro.

***

Con i dovuti adattamenti dettati dal trascorrere del tempo, ancora adesso possiamo notevolmente rispecchiarci in quanto avvenne in Toscana quattro secoli fa. Il nemico era diverso, ma invisibile come il Covid-19, se non quando si manifestava nella nota forma bubbonica.

Stupiscono un po’ le analogie sulla linea strategica. Come già detto, tutti d’accordo sul fatto che le misure di contenimento a cui siamo tutti sottoposti siano necessarie ed indefettibili. Ma siamo sicuri di poterci permettere un’unica strategia? E, soprattutto, è una strategia adatta ad un medio-lungo periodo?

Gli ufficiali sanitari di allora non avevano a disposizione le nostre fortune. Non mi riferisco solo alle strutture sanitarie, ai progressi impressionanti della scienza, alle conquiste per i cittadini dello stato liberale prima e del welfare state poi. Essi non avevano i dati e la tecnologia. Attualmente grazie alla tecnologia possiamo avere accesso ad una miriade di dati in totale sicurezza, la cui elaborazione potrebbe aiutare a capire l’evoluzione del virus.

E magari potremmo evitare la lacerazione del tessuto sociale, minato da cacce agli untori non basate sui dati. Chi non sarebbe d’accordo nel dire che il comportamento di don Antonio a Montelupo fosse del tutto errato, così come fossero incoscienti i festeggiamenti notturni o la rottura dei rastelli? Eppure, Cipolla, col senno di poi, conclude dicendo che «(…) sulla base dei dati raccolti, non si può dire che l’iniziativa di don Antonio Bontadi abbia riacutizzato l’epidemia (…) Paradossalmente gli ufficiali sanitari sbagliavano pur essendo sulla strada giusta mentre il prete don Antonio Bontadi aveva ragione pur essendo sulla strada sbagliata.» I dati possono fare la differenza.

Servono strategie quantomeno cumulative alla quarantena generale, la quale potrebbe purtroppo non essere sufficiente  dato che milioni di italiani -potenzialmente contagiati- continuano a circolare per esigenze lavorative o necessità varie. Ed ulteriori misure restrittive metterebbero a serio rischio la garanzia dei servizi essenziali. (l’economia è troppo interconnessa, se chiudi le fabbriche “non essenziali” finirai presto o tardi con i supermercati vuoti)

Finalmente si intravede una pressione mediatica che spinge verso una strategia cumulativa che miri a compiere molti più test di quelli che stiamo effettuando. Consiglio al tal proposito di ascoltare i podcast di Luca Foresti. Abbiamo un nemico più veloce di noi. Non possiamo solo inseguirlo e concentrare risorse unicamente per le cure ex post. Abbiamo un dovere di cercare di prevenirlo, aprendo allo studio, all’adeguato finanziamento ed alla rapida implementazione di strategie cumulative e maggiormente mirate per poter sconfiggere il nemico o, quantomeno, per contenerlo in un modo più efficiente.

Twitter @frabruno88

[1] Cipolla Carlo M., “Contro un nemico invisibile. Epidemie e strutture sanitarie nell’Italia del rinascimento”, Il Mulino 1985. Contenuti tratti dal libro secondo “Cristofano e la peste” e dal libro terzo “Chi ruppe i rastelli a Montelupo?”. Le citazioni, in ordine discendente, si trovano alle pagine 102, 106, 113, 136, 202, 220, 135, 253.