Il movimento dei maker e le opportunità nate dalla crisi Covid-19

scritto da il 10 Aprile 2020

Post di Andrea Danielli e Massimo Simbula, Associazione Copernicani –

Il movimento dei maker è affascinante. Una rivoluzione che sta cambiando radicalmente il modo di pensare i processi produttivi e distributivi.

Le parole in fondo sono importanti e l’interpretazione delle stesse o il modo in cui vengono usate può radicalmente modificare lo stato delle cose. Così come il termine wēijī in cinese opportunità, o il termine κρίσις, in greco scelta.

Noi invece usiamo il termine “crisi”. Da più punti di vista, la crisi generata dal Covid-19 ha mostrato, oltre alle innumerevoli difficoltà, le opportunità insite in modalità alternative di gestire il lavoro e l’economia.

Di fronte alla mancanza di posti di terapia intensiva e al logoramento delle apparecchiature il mondo maker ha reagito con entusiasmo. In pochi giorni sono sorte molte iniziative auto-organizzate sui social network e in rete. In Italia notevole il gruppo 3D print Covid-19, con 560 iscritti, a livello internazionale il gruppo più vivace è Open Source COVID19 Medical Supplies, con 60 mila iscritti. L’associazione Make in Italy ha creato un sito per raccogliere le offerte d’aiuto, e coordinato a oggi una decina di richieste sul territorio, in modo assolutamente volontario. Decisamente di successo l’iniziativa della bresciana Isinnova, che ha prima stampato dei pezzi di ricambio per apparecchiature mediche, poi collaborato alla realizzazione dell’idea dell’ex primario dell’ospedale di Gardone Valtrompia, il dottor Renato Favero, che ha adattato delle maschere subacquee a maschere per la ossigenoterapia. Altri progetti molto validi riguardano dispositivi di protezione con supporti stampati in 3D, vari design di mascherine, che soffrono però della difficoltà di reperire filtri. Nonostante i casi di successo, diverse preoccupazioni sono state espresse in merito ai rischi legali relativi, in particolare, alla proprietà intellettuale del prodotto stampato e alla responsabilità da prodotto.

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Per quanto riguarda il primo punto, uno dei temi da tenere in considerazione è l’eventuale brevetto relativo ai prodotti stampati in 3D. Per rispondere all’emergenza in tempi rapidi, gli autori di questo articolo, hanno elaborato uno studio per valutare le ipotesi di requisizione di brevetto come misura del tutto straordinaria da applicarsi solo per la durata della emergenza Coronavirus.

La requisizione di brevetto è in realtà un istituto molto invasivo che risale al Codice dell’Ordinamento Militare (decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), Titolo VIII, capo I, sezione I, in materia di requisizioni in tempo di guerra o di grave crisi internazionali. In particolare l’art. 371 del Codice, prevede – tra le categorie generali di beni requisibili – anche le invenzioni.

Ma è davvero necessario arrivare ad una misura così estrema? E come potrebbe essere concretamente attuata, visto il rilevo estero di taluni brevetti?

Di certo l’interesse dello Stato italiano, in una situazione di questo tipo, dovrebbe consistere principalmente nell’offrire ai maker una soluzione legale per poter stampare in 3D qualunque tipo di prodotto o supporto utile per fronteggiare la proliferazione del Coronavirus. Per cui non solo collettori per l’ossigenoterapia, ma anche occhiali e dispositivi protettivi che abbiano idonee caratteristiche e qualità per l’uso a cui verranno destinati.

Tuttavia, una soluzione di questo tipo presenta diverse criticità, poiché sarebbe complessa l’attuazione formale del provvedimento di requisizione nei confronti di soggetti esteri e potrebbe rendersi necessario un intervento a livello internazionale (tramite gli Accordi TRIP’s o la World Intellectual Property Organization).

Sarebbe quindi auspicabile considerare la nostra proposta come extrema ratio, verificando nel frattempo se, fra i titolari di eventuali brevetti relativi a tali presidi sanitari, non vi sia la disponibilità a concedere licenze gratuite ai vari maker per una riproduzione in 3D dei prodotti stampati, a fini non commerciali e solo per la durata dell’epidemia. Il tutto, sotto una regia coordinata da parte di un ministero competente.

Il secondo aspetto da non sottovalutare è la responsabilità da prodotto.

Certamente la stampante 3D rappresenta un prodotto del tutto nuovo rispetto alle tradizionali “macchine” oggetto di regolamentazione in ambito italiano ed europeo.

Tuttavia, trovano certamente applicazione le norme applicabili ai prodotti tradizionali e in particolare:

– le norme in materia di responsabilità contrattuale basata sulla presunzione di colpa posta a carico di chi non esegue esattamente la prestazione dovuta (artt. 1490-1494 c.c.) e gli artt . 1218 – 1229 c.c.

– le norme in materia di responsabilità extra contrattuale: Artt. 2043 – 2059 c.c. integrati dagli artt. 1219-1229 c.c.

Al Codice Civile si affiancano le norme di cui alla Direttiva europea sui prodotti destinati al consumo (in Italia Codice del consumo D.Lgs 6 settembre 2005, n. 206) per le stampanti di uso domestico nonché le norme di cui alla Nuova Direttiva europea Macchine per quelli destinati all’industria, per le stampanti di uso professionale ed industriale.

In aggiunta, vanno considerate tutte le norme che riguardano gli apparecchi elettrici e le norme UNI di riferimento.

Nel caso di stampa in 3D di prodotti bio-medicali, di dispositivi medici di sicurezza o di accessori o parti per ventilatori o maschere a bio-ossigenazione, intervengono vari soggetti.

– Il fabbricante della stampante, che ha garantito determinati e precisi standard di qualità e di affidabilità (RCP);

– Il “fornitore” del polimero utilizzato per la stampa;

– Chi si è assunto l’onere della conservazione del polimero utilizzato per la stampa e del prodotto finale;

– Il medico ’”installatore” dell’accessorio o della parte di prodotto (ad es. il collettore per le maschere a bio-ossigenazione);

– I medici che tengono in cura il paziente dopo dopo l’installazione del macchinario ;

– L’eventuale Ente preposto alle autorizzazioni, ivi compreso un Comitato Etico, nel caso ci si debba rivolgere ad esso;

– In cima, per responsabilità diretta ed indiretta per fatto del proprio personale, la struttura sanitaria in cui questo opera e i protocolli di riferimento.

Le varianti in base ai due modelli sul mercato di maschera Easybreath di Decathlon - © www.isinnova.it

Le varianti in base ai due modelli sul mercato di maschera Easybreath di Decathlon – © www.isinnova.it

Alla luce dell’ampiezza e complessità della catena di soggetti responsabili, auspichiamo la creazione di una “sandbox” normativa da applicare a tutta la filiera. Così come recentemente realizzato per il fintech, dove le autorità di vigilanza si mettono a disposizione di startup innovative, allo stesso modo la sandbox che immaginiamo aiuterebbe il comparto della manifattura additiva e le strutture sanitarie a concentrare i propri sforzi sui prodotti, liberandoli dalla burocrazia. Presso il Ministero della Salute ci sono le competenze per accompagnare i diversi attori e per validare le conoscenze prodotte e condivise in modalità open source.

Sul tema sembra si registrino importanti aperture da parte di enti governativi, italiani e stranieri.

L’Istituto Superiore di Sanità offre la propria competenza per certificare rapidamente le mascherine facciali e chirurgiche a uso dei medici, mentre l’Inail approva i dispositivi di protezione individuale.

Negli Stati Uniti l’NHI si muove con ancora maggiore apertura, pubblicando su una sezione del proprio sito dedicata alla stampa 3D i progetti che ha selezionato, in qualche modo validandone l’efficacia

Importanti segnali a favore di una diffusione dell’open source è la volontà dell’azienda Medtronic PLC di condividere liberamente le specifiche dei propri ventilatori, in modo da semplificare l’attività di progettazione ad altre aziende che volessero contribuire allo sforzo manifatturiero.

Un gesto che ricorda le scelte di Tesla e Toyota di rilasciare centinaia di brevetti delle proprie tecnologie per favorirne una più rapida adozione, utile naturalmente anche per loro, necessitando di investimenti infrastrutturali.

I prodotti realizzati dai maker sono soprattutto pensati per reagire all’emergenza, non sono destinati a durare e a essere usate a lungo: per i materiali, il design, il logoramento a cui saranno sottoposti. Eppure è lecito immaginare che questo esperimento globale di produzione dal basso applicato ai prodotti medici possa insegnarci qualcosa e rimanere tra noi.

Twitter @andreadanielli @MassimoSImbula