MES, Eurobond e la prevedibile vittoria della realtà

scritto da il 10 Aprile 2020

In un post precedente sul MES (il Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-stati) avevo evidenziato come il nodo centrale della questione riguardasse essenzialmente il profilo della credibilità, mentre la discussione prevalente si concentra su i nodi politici e la retorica della sovranità.

All’indomani dell’accordo raggiunto dall’Eurogruppo per un insieme di misure (MES con condizionalità ridotta, intervento BEI per sostenere gli investimenti, SURE per integrare la cassa integrazione nazionale)  volto a mobilitare circa 1000 miliardi, il dibattito sui media sembra concentrarsi su presunti vinti e vincitori politici di breve termine, senza riflettere sulle conseguenze per il futuro.

Dietro la narrazione degli interessi contrapposti tra i paesi dell’Europa continentale ossessionati dal rigore contro la richiesta di soccorso per via dell’emergenza dei paesi mediterranei (ai quali in questa sede si è unita la Francia) si celano alcune sconvenienti verità che avranno conseguenze rilevanti nel medio termine.

I danni economici derivanti dalla crisi sanitaria potrebbero essere molto gravi e danneggiare in modo permanente il tessuto produttivo e occupazionale del continente, al punto da spingere l’ex presidente Draghi a invocare un “whatever it takes” fiscale. Non è pensabile che qualcuno possa “salvarsi da solo” lasciando affondare gli altri e non è di certo questo l’obiettivo di paesi come Olanda e Germania. È altrettanto vero che non si possono sfruttare le circostanze eccezionali per chiedere un colpo di spugna sui comportamenti opportunistici del passato e men che meno un via libera per ripeterli nel presente.

La realtà che emerge dall’accordo dell’Eurogruppo è tanto semplice quanto politicamente sconveniente per le forze politiche e i commentatori che pensavano di approfittare della situazione: le misure eccezionali servono a comprare tempo e offrire ai singoli paesi l’ossigeno necessario per superare la fase più acuta della crisi, dopo la quale ognuno dovrà tornare a respirare con propri polmoni e camminare con le proprie gambe.

Per quanto, come ben illustrato dallo storico Yuval Noah Harari ,  il momento di crisi possa offrire interessanti opportunità per accelerare processi di cambiamento (si pensi al lavoro a distanza e alla gestione delle code nell’interazione con la PA) e talvolta rendere permanenti misure introdotte in via provvisoria, non si può e non si deve mescolare la necessità di sollievo eccezionale con lo sdoganamento di sussidi strutturali e la regolarizzazione di comportamenti opportunistici.

Oggi il nostro paese può finanziarsi sui mercati a condizioni di vantaggio grazie agli interventi straordinari della Banca Centrale Europea e potrà a breve accedere alle risorse messe a disposizione dal MES, dalla BEI e dal nuovo meccanismo SURE, ma si tratta di misure provvisorie, così come necessariamente temporaneo è l’allentamento dei meccanismi di condizionalità.

In questo momento , non si può di certo parlare di tagli alla spesa pubblica (che anzi va aumentata per salvare l’economia), di privatizzazioni per ridurre il debito (che difficilmente troverebbero acquirenti in questo contesto) o di riforme e liberalizzazioni che vanno avviate in circostanze in cui l’iniziativa economica può esprimersi senza i rischi e le minacce di una crisi globale in atto. Tuttavia ci separano solo mesi, non anni, dal momento in cui la questione della credibilità del nostro paese si riproporrà in modo anche più stringente che non in passato poiché ci troveremo ancora una volta più deboli e più indebitati degli altri, che, realisticamente, torneranno a crescere prima di noi e in misura più sostenuta.

Nel 2021, verosimilmente, avremo a disposizione un vaccino e in ogni caso nella maggior parte dei paesi saranno stati approntati meccanismi per realizzare un ritorno alla normalità del sistema economico, che sia compatibile con il controllo della diffusione del contagio onde evitare pressioni sul sistema sanitario: un processo complesso, le cui basi dovrebbero essere gradualmente implementate fin d’ora.

Occorre porsi da subito l’obiettivo di sfruttare il tempo e le risorse che ci vengono concessi per migliarare la credibilità del nostro paese, intesa come capacità di esprimere politiche economiche responsabili che ci riportino su un percorso di crescita, che renda sostenibile la dinamica del rapporto tra debito pubblico e Pil.

Piuttosto che domandarci chi abbia vinto questa mano di poker tra il bluff dei paesi mediterranei e la scala reale dei paesi nordici, dovremmo tutti lavorare per cogliere appieno l’opportunità che ci viene offerta di recuperare la nostra posizione tra le principali economie del mondo invece di abbandonarci all’autocommiserazione che ci porterebbe inevitabilmente a scivolare verso i paesi meno sviluppati.

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