Ripartire insieme: una proposta da Tortuga per la Fase 2

scritto da il 11 Aprile 2020

Al dibattito sulla gestione della pandemia seguono in questi giorni i primi piani per la “Fase 2”, ossia  il processo di ripresa delle attività economiche. Nel presentare una proposta di questo genere è bene partire da una premessa: starà a epidemiologi e virologi dibattere e fornire indicazioni alla politica su quando sarà possibile procedere con tale processo.

Le competenze di economisti, esperti di trasporti e di gestione delle filiere produttive dovranno tuttavia entrare in gioco nello stabilire come si dovrà organizzare la ripresa delle attività produttive, partendo dal vincolo imprescindibile della salvaguardia della salute pubblica ma cercando al contempo di ridurre il più possibile l’impatto economico di questo shock.

La nostra proposta costituisce un tassello di un potenziale piano che si sviluppi in questa direzione. L’idea alla base è semplice: sfruttare informazioni statistiche sulla mobilità dei lavoratori per creare una suddivisione geografica del territorio nazionale diversa da quelle amministrative, che si presti al meglio alla gestione dell’emergenza e della successiva fase di ripresa.

Tre elementi rendono la dimensione geografica imprescindibile in qualsiasi ragionamento sul processo di riapertura. In primis, il nostro paese è stato colpito in maniera fortemente eterogenea dal virus, che si è diffuso con grande velocità nelle regioni che ha raggiunto per prime: la limitazione della mobilità degli individui, inizialmente circoscritta alle zone rosse e poi estesa all’intero paese, è stata uno dei pilastri sul quale si è basato il tentativo (in parte riuscito) di limitare la diffusione della pandemia sul territorio nazionale. In secondo luogo, la dimensione geografica è entrata in gioco in termini gestionali: essendo la sanità una competenza regionale, i tentativi di Governo e amministrazioni locali di fornire una risposta al virus sono apparsi spesso poco coordinati. Infine, la geografia gioca un ruolo chiave in termini economici: la mobilità di lavoratori e merci è una delle premesse su cui si regge il funzionamento del sistema economico e proprio per questo motivo dalle restrizioni di mobilità sono stati esclusi settori fondamentali o strategici dell’economia. Risulta pertanto naturale considerare un criterio geografico nell’elaborazione di qualsiasi proposta di riapertura.

La nostra proposta si basa sull’utilizzo dei Sistemi Locali del Lavoro (SLL), delle aree individuate dall’Istat sulla base degli spostamenti fra il luogo di residenza e quello lavorativo. Ogni SLL copre un territorio costituito da più comuni ed è costruito in modo che la sua popolazione residente coincida il più possibile con la sua popolazione lavorativa (almeno per il 75%). In questo modo, solo una minoranza dei tragitti pendolari travalica i confini della zona individuata.

Figura 1 – Sistemi Locali del Lavoro

Fonte: Istat

Fonte: Istat

Ma come verrebbe usata tale suddivisione territoriale? In primo luogo, come infrastruttura operativa nella gestione della riapertura: laddove gli esperti medici dovessero reputare possibile il ritorno all’attività lavorativa, questa potrebbe avvenire in maniera differenziata per differenti SLL. Si potrebbe così evitare di basare il processo di riapertura su confini amministrativi e si potrebbe fare affidamento invece su un criterio più prudente (in quanto basato su aree più piccole) e guidato dai numeri. I SLL offrono dunque la possibilità di procedere con gradualità nel percorso di ripresa, focalizzando le misure di contenimento a zone specifiche, senza bloccare l’attività economica dell’intero paese.

Un secondo vantaggio sarebbe che, nel caso dell’insorgere di un nuovo focolaio, si avrebbe la possibilità di attuare misure di contenimento molto focalizzate. La gestione di piccole aree definite proprio sulla base degli spostamenti dei lavoratori si rivelerebbe infatti uno strumento molto utile per individuare rapidamente la zona da chiudere in caso di un nuovo aumento dei contagi, senza dover costruire nuove “zone rosse” di caso in caso.

Il terzo vantaggio, e forse il più rilevante, riguarda la facilità e velocità di implementazione. La ripartizione geografica è già disponibile grazie ai dati Istat. I SLL inoltre rispettano i confini delle regioni (solo il 9% dei SLL trapassa i confini regionali). Ciò renderebbe facile, per esempio, la suddivisione delle aree in termini competenza sanitaria. Il controllo circa le restrizioni agli spostamenti fra diversi SLL potrebbe combinare il presidio fisico delle maggiori arterie di comunicazione da parte delle forze dell’ordine ad analisi sulla mobilità, ad esempio monitorando i dati telefonici come già sperimentato in Lombardia. L’implementazione del sistema passerebbe in maniera critica attraverso una chiara comunicazione ai cittadini della lista di comuni raggiungibili dal proprio luogo di residenza. Tuttavia, così come i lavoratori hanno recepito in maniera pratica la suddivisione in settori ATECO imposta qualche settimana fa, siamo convinti che questa suddivisione geografica possa essere di ugualmente facile comprensione se comunicata chiaramente dagli enti locali.

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Quello che proponiamo è infine un criterio versatile, che può essere facilmente integrato in più ampie strategie di riapertura che considerino i settori industriali più importanti o la dimensione demografica del rischio di contagio. Ad esempio, se dovesse essere adottato un criterio anagrafico – come l’età – per per determinare la possibilità di tornare al lavoro, questo potrebbe essere applicato all’interno di ogni specifico SLL.

Vi sono comunque dei punti che occorre chiarire. In primis, la gestione delle grandi città. Se, da un lato, i SLL costruiti attorno ai centri urbani più grandi presentano una densità abitativa elevata – e potrebbero quindi costituire zone di rischio maggiore nel processo di riapertura, d’altro lato tendono ad avere anche un’alta frazione della popolazione occupata nel settore terziario, quello che meglio si adatta a soluzioni come lo smart working. Una stima del numero di occupati la cui presenza fisica è necessaria allo svolgimento del lavoro costituirebbe un primo passo per trovare un valido compromesso. In secondo luogo, una riapertura a macchia di leopardo di SLL selezionati potrebbe compromettere alcune filiere produttive: l’apertura delle aziende di un SLL, per esempio, potrebbe essere vanificata dalla presenza di un fornitore fondamentale in una zona chiusa. Tenendo in considerazione queste connessioni economiche, si potrebbero proteggere filiere strategiche ed essenziali anche in caso di un’apertura asincrona dei vari SLL. Sebbene i distretti industriali italiani siano spesso caratterizzati da imprese concentrate geograficamente e con forti legami con altre imprese dello stesso distretto, va inoltre notato che questa misura potrebbe creare condizioni impari tra lavoratori all’interno delle stesse aziende, tra chi può recarsi a lavoro perché residente nello stesso SLL e chi no. Per quest’ultimi però la possibilità di estendere il trattamento per malattia ai quarantenati offre una possibile soluzione.

La nostra proposta è dunque da intendersi come approccio prudenziale che sfrutta la dimensione geografica per mantenere una mobilità ridotta e garantire la compatibilità con un più ampio disegno di riapertura che dipende da decisioni di natura medica e politica.

In queste settimane abbiamo contattato molti esperti, da virologi a economisti, per poter migliorare questa proposta. Se qualcuno tra i lettori sente di poter fornire un contributo competente non esiti a contattarci. L’Italia è stata presa di sorpresa dall’impatto del Covid-19, è importante lavorare per non arrivare impreparati quando si potrà, e si dovrà, ripartire.

Twitter @Tortugaecon