Fase 2, breve manuale per una necessaria pace tra Stato e Regioni

scritto da il 19 Aprile 2020

In tema di conflitto Stato-Regioni, su questi pixel abbiamo sempre seguito passo dopo passo il difficile percorso che avrebbe dovuto condurre all’autonomia differenziata (ecco l’ultimo della serie). Non c’è stato il tempo per raggiungere il traguardo prima dell’irruzione del virus. Appare chiaro che si continuerà con l’assetto istituzionale vigente per molto tempo ancora.

Mai come adesso però, l’argomento può essere fonte di aspri scontri, in cui si mescolano irredentismi locali e prese di posizioni politiche per rimarcare differenze dall’Esecutivo. Durante la prima fase, lo spettacolo offerto non è stato edificante. Gli unici momenti di unità si sono intravisti quando ci si è allineati sul messaggio “restate a casa”. Per il resto, abbiamo assistito ad un proliferare caotico di Ordinanze locali, che spesso hanno aggravato l’efficacia delle misure disposte dal Governo e la capacità di recepimento dei cittadini. In letteratura, l’argomento principale a favore del decentramento risiede nel vantaggio di avvicinare le istanze dei cittadini al decision-maker. Ma in questo periodo, troppo spesso, è prevalsa una voglia di distinguo fine a sé stessa.

Ad esempio, la Regione Campania ha finora pubblicato, a partire dal 24 febbraio, 33 ordinanze presidenziali inerenti al Covid-19. È sufficiente leggerle per capirne la ridondanza. Ma ovviamente non si tratta di un fenomeno che concerne solo tale regione. Così come è altrettanto certo che molti enti locali si sono distinti positivamente. Il Governo ci ha messo del suo, sia per la confusione generata da DPCM, ordinanze della Protezione Civile e ordinanze del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, sia per essere intervenuto sulla materia con ritardo, attraverso il Decreto-Legge n. 19 del 25 marzo 2020.

Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca

Il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca

La Fase 2 si prospetta molto più complicata e delicata. Fino a che l’unico messaggio è “restate a casa”, il compito dei decisori è più agevole. Di contro, decidere come impostare la convivenza forzata con il virus, appare molto più arduo. Come ha scritto di recente il The Economist sulle misure da Fase 2 che i Governi si apprestano ad implementare, “There is no solid evidence that any one of these measures alone is particularly effective in reducing the transmission of the new coronavirus.The hope is that in combination they could work reasonably well.”

Il successo potrà dipendere dalla corretta e coerente applicazione delle misure su tutto il territorio nazionale. Coerente con significa uguale, perché la differenziazione può essere senz’altro un valore, ma solo se inserita in una strategia più ampia. Sarà pertanto necessaria una pace istituzionale. Cosa si può fare per ottenerla? Innanzitutto, una premessa. Il modello attuale sconta problemi di inefficienza, dovuta alla legislazione concorrente Stato-Regioni di cui all’articolo 117 della Costituzione. Un problema che ci portiamo avanti da due decenni, nonostante il lavoro certosino della Corte Costituzionale per cercare di attenuarlo. Dovremo giocoforza conviverci ancora molto tempo.

principi

Fatta tale premessa, i principi da cui ripartire potrebbero essere i seguenti, tra loro collegati.

  • – Come previsto dall’articolo 3 del Decreto-legge n. 19/2020, possono essere adottate misure più restrittive a livello regionale “(…) in relazione a specifiche  situazioni  sopravvenute  di  aggravamento  del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una  parte  di  esso (…)”.
  • –  “In presenza di emergenze di carattere nazionale, dunque, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali.”  (Estratto da un parere del Consiglio di Stato  del 7 aprile 2020, sul caso di un’ordinanza del sindaco di Messina)

Quanto sopra non va letto come un manifesto statalista. Tutt’altro. Si tratta di un tema da cabina di regia per un periodo che, quantomeno fino al 31 luglio 2020, è definito emergenziale. E in un periodo di emergenza, conviene che l’organo sovraordinato -previa consultazione con gli enti locali- abbia un potere di coordinamento e supervisione, perché gli effetti di provvedimenti locali contraddittori o in contrapposizione potrebbero causare esternalità negative dirette ad altri territori e compromettere la risposta nazionale al problema.

Il ruolo delle Regioni, tuttavia, resta fondamentale per affrontare la Fase 2. Per un duplice motivo.

Il ruolo delle Regioni

In primo luogo, sono le Regioni ad avere in mano la materia della sanità. Soprattutto a livello attuativo, gestionale ed organizzativo. La Fase 2 può aver successo solo se il servizio sanitario riuscirà a reggere l’urto dei contagi e ad evitare il ritorno al lockdown. Sarà quindi fondamentale il ruolo delle Regioni, anche a livello di denuncia e richiesta di intervento statale laddove le condizioni delle strutture e le disponibilità di risorse economiche ed umane non diano le adeguate garanzie di sostenibilità. Nella ripartizione dei fondi a disposizione, la sanità dovrebbe ancora occupare il primo posto, perché dalla sua tenuta dipendono poi anche gli aspetti economici (sebbene spesso lo di dimentichi).

Ma ciò non riguarda unicamente le dotazioni strutturali. La Fase 2 richiederà un’attività di testing molto più estesa.  Fin adesso, si sono intraviste le differenze di performance tra Regioni, con alcune che dovranno fare molto di più. Potrebbero quindi essere necessarie le condivisioni di best practices.

In secondo luogo, spetta alle Regioni intervenire localmente in caso di rischio sanitario effettivo. Serviranno decisioni coraggiose ma tempestive, in modo da limitare gli effetti devastanti dei focolai ed evitare lockdown generali. Ma ciò va fatto laddove il rischio sanitario sia concreto, mentre spesso le esigenze si annacquano in provvedimenti meramente dettati da eccessi di precauzione non fondati sui dati disponibili.

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana

Il metodo

1.Poche regole, ma buone. Tutti i decision-maker devono cercare di evitare la proliferazione normativa, a partire dal Governo. Un bombardamento di leggi, decreti, ordinanze, minerebbe il patto di fiducia tra istituzioni e società civile. Un patto fondamentale per il funzionamento della Fase 2.

2.Evitare confusione e moltiplicazione di task force. Come si legge su Il Sole 24 Ore del 18 aprile, sono già 15 le task force in campo contro il Covid-19 e contano 450 esperti. Occorre allontanare i rischi dell’ effetto Babele, come sostenuto nell’editoriale del Direttore Fabio Tamburini apparso in medesima data. Un rischio che riguarda sia lo Stato sia le Regioni.

3.Flessibilità e rapidità. Considerate le incertezze sull’evoluzione del virus e sull’efficacia delle misure da intraprendere, occorreranno flessibilità e capacità di adattarsi rapidamente a seconda dei dati che verranno sviluppati.

4.Buon senso e pace istituzionale. Quando si parla di equilibri politici, i discorsi “moralistici” sull’unità nazionale sono buoni per riempire le pagine dei giornali, ma nascondono un retrogusto ipocrita. A telecamere spente non esistono.

Le Regioni non sono delle Prefetture che devono eseguire ciò che dice il Governo. Hanno un riconoscimento ed una dignità Costituzionale. Sono parte integrante della nostra Repubblica.

Oltre all’aspetto istituzionale, sono contraddistinte dall’elemento politico, essendo soggette al giudizio degli elettori. L’elemento politico assume un peso maggiore qualora le maggioranze politiche regionali non coincidano con i colori delle maggioranze parlamentari che sostengono il Governo. Si possono quindi avere: a) Regioni collaborative, a prescindere da appartenenze politiche o posizione geografica; b) Regioni che hanno voglia di distinguersi e, soprattutto, di incarnare la missione di “difendere” i propri cittadini dalle altre Regioni e dallo Stato; c) Regioni che possono avere l’interesse politico e partitico di mettere in cattiva luce il Governo.

Ovviamente b) e c) possono essere anche cumulative e generatrici di conflitti. Come si possono risolvere? Al momento, esistono organismi permanenti per fronteggiare scontri e dissidi, come la Conferenza Stato-Regioni. Ma sono stati creati anche organismi costituiti ad hoc per far fronte all’emergenza sanitaria. Si legge di una “cabina regia governo-enti locali”. Dovrebbe riunirsi a breve e sarà composta dai Ministri Boccia e Speranza, tre Presidenti di Regione (Fontana, Bonaccini e Musumeci) e tre sindaci (Decaro, Pella e Raggi). In precedenza, si era riunita una cabina di regia più estesa. (“Cabina di regia Governo, enti locali e parti sociali”)

Appare positivo coinvolgere le Regioni nel processo decisionale. La scelta della nuova cabina di regia. dovrebbe servire a ridurre la confusione. Ma non ci è dato sapere se gli altri governatori accetteranno di buon grado qualsiasi output venisse fuori. E già che dalla cabina possano fuoriuscire risultati condivisi all’unanimità, appare tutt’altro che semplice.

E allora cosa fare se il dialogo e il buon senso non riuscissero a prevalere?

5.Incentives matter. Ad esempio, lo Stato potrebbe farsi promotore, anche attraverso la Conferenza Stato-Regioni, per istituire dei “premi” da conferire alle Regioni che si comporteranno in maniera più virtuosa durante la Fase 2. Nessuna classifica, per non mettere in cattiva luce gli ultimi della classe. Solo premi simbolici o -qualora possibile- in termini di risorse economiche per i migliori. Tra i requisiti per erogare il premio, andrebbero inseriti ad esempio: (i) attitudine a cooperare con lo Stato e con le altre Regioni per raggiungere obiettivi condivisi; (ii) capacità di saper esportare best practice; (iii) predisposizione al dialogo e ad evitare iniziative solitarie che possano avere impatti negativi sulle libertà dei cittadini o esternalità negative per altre Regioni.

Una competizione in cui vince chi coopera piuttosto che chi prevarica.

Gli incentivi economici farebbero la differenza, ça va sans dire, ma sarebbero anche molto più complessi da implementare.  A volte anche le iniziative simboliche -soprattutto in politica- possono avere un peso non indifferente. Specialmente per chi deve convivere con il calcolo del consenso e che potrebbe farne uno spot elettorale.

Si tratta solo di un’idea banale e alquanto rudimentale, nonché difficile da disegnare (chi scrive le regole, chi decide eccetera). Ma forse può essere utile per far riflettere sul fatto che gli interessi divergenti potrebbero non risolversi unicamente con gli appelli all’unità ed al buon senso, perché ognuno può trovare il modo di argomentare efficacemente le proprie posizioni confliggenti.

Serve qualcosa in più, per far sì che l’interesse particolare possa giovare a quello generale.

Twitter @frabruno88