Il Conte conferenziere e la maledizione del futuro biblico

scritto da il 28 Aprile 2020

S’era detto che sarebbe stato il week-end della rivelazione e dell’annunciazione; una sorta di fiduciosa aspettazione aveva animato tutti noi, povere personcine credule, dabbene e con qualche anno di catechismo sulle spalle. Il ‘trittico’ delle parole in –zione offerto in apertura, purtroppo, non è lenitivo; ce ne rendiamo conto, nonostante gli sforzi estetico-compositivi fatti a beneficio del lettore. Di là dalla qualità lessicale e dai contenuti teologali, infatti, l’eloquio del Conte conferenziere non manca mica di tecnica e ritmo. Al contrario, non facciamo fatica a riconoscere al Presidente alcuni indiscutibili meriti: dalla gestione del climax, ascendente o discendente, alla prosopopea (più volte, “L’Italia che soffre e combatte”), dall’aposiopesi (in retorica, omissioni, sospensioni del giudizio) all’iperbole, il manualetto delle figure retoriche è bell’e composto. E ci scusiamo per quest’elenco così striminzito, ma il fine del contributo è altro dall’analisi del testo.

Sulle prime, applaudiamo alla forma; poi, tra un battito di mani e l’altro o, se dobbiamo essere onesti, tra la performance d’una claque e l’altra, siamo sopraffatti dal dubbio, non più cartesiano o semplicemente di metodo, bensì esistenziale, fors’anche comportamentale. Il dilemma, tuttavia, a questo punto una vera e propria zavorra amletica, ci ha permesso di focalizzare termini ed espressioni che finora avevamo accolti con superficialità: “distanza”, “la nostra ripresa”, “le nostre imprese”, “se vogliamo ripartire”. Giuseppe Conte, in occasione dell’ultimo intervento serale, come pure in precedenza, ne ha fatto un uso ossessivo, tanto da condurci in un limbo dei significati dal quale non sappiamo più uscire. Questo “non poter uscire” potrebbe forse generare la metafora della nuova reclusione socio-economica? E noi, come coloro che son sospesi, a quale Virgilio dovremmo rivolgerci, dato che l’italiano medio non può più appellarsi a una guida che, in un possibile e sperato terzo canto, gli dica “non ragioniam di loro, ma guarda e passa”?

Per guardare e passare oltre, occorrerebbe ricevere le istruzioni promesse, le disposizioni economiche e gl’interventi ‘altrettanto promessi’, la ripartenza decantata, oltre che ‘promessa’. Occorre subito una precisazione: qui, non è in discussione la scelta, come non lo è la politica; si contesta semmai la non-scelta. Sarebbe stato decoroso un perentorio AUT-AUT: o il coraggio schizoide di restare nello statu quo o il coraggio del fare e dell’agire. Rebus sic stantibus, si fa anti-politica: null’altro, per giunta scaricando continuamente la responsabilità sul comitato tecnico-scientifico, che ormai appare come un’entità occulta innominabile.

“Adesso inizia per tutti la fase di convivenza con il virus”: è parte dell’esordio del Presidente del Consiglio. Vien fatto di chiedersi che cos’abbiamo fatto finora? La nostra convivenza virale è stata irrilevante? D’accordo: ci vuole tolleranza; è un discorso istituzionale e non si deve mai dare un messaggio di discontinuità o rottura improvvisa. Allora, perché aggiungere poco dopo “In questa fase 2 la curva del contagio potrà risalire”? Manca qui un po’ di coerenza; la lezione inglese del keep calm and carry on, concepita in periodo di guerra dallo Psychological Warfare Branch al fine di rassicurare i cittadini, dev’essere sfuggita al team di comunicatori del Presidente. Se ne consiglia l’immediato sollevamento dall’incarico. Lieti di poter essere utili alla causa comune. Basta un fischio. Autocandidatura? Saccenteria? Si perdoni l’ardire, ma, se costoro sono i consulenti della Presidenza del Consiglio, allora chi scrive aspira a un titolo honoris causa e sicuramente a costi più bassi (…giusto per non appesantire la spesa corrente).

“Se vuoi bene all’Italia, devi evitare che il contagio si diffonda” continua Conte. È la conferenza stampa della fase due oppure stiamo riscrivendo La cantatrice calva di Ionesco? “Siamo tutti attaccati agli orli della vita, Contessa; a un comando gli orli si staccano” ha scritto Pirandello ne I sei personaggi in cerca d’autore: potrebbe essere una rilettura valida. A ogni modo, let’s carry on, per dirla con gl’inglesi! Pendiamo tutti dalle labbra dell’oratore e ci aspettiamo che, da un momento all’altro, dica qualcosa di nuovo. D’altronde, siamo nella fase due.

Non facciamo in tempo ad avanzare timidamente la pretesa che ‘il nostro’, quasi fosse schiavo d’una terribile anafora freudiana o afflitto dalla morte di Ivan Il’ič, ci incalza: “Se non rispettiamo le distanze, aumenteranno i nostri morti e avremo danni irreversibili per la nostra economia”. In pratica, memento mori, nel caso volessimo distrarci per un attimo. D’altronde, l’austero memento, oltre che nell’antica Roma, era già presente già negli autori del Genesi: “Polvere tu sei, in polvere tornerai!” (Gen 3, 19)

“Abbiamo predisposto un meccanismo: adesso ve lo racconterò”. Evviva! Finalmente, il nostro Presidente farà luce nel nostro cammino: buio, troppo buio! Il cuore batte sempre più forte; il viso si contrae in una smorfia d’eccitazione. Ci siamo quasi… come quando, in un imponente giallo che ci ha tenuti incollati alla lettura per tre mesi filati, siamo sul punto di scoprire il volto dell’insospettabile assassino. L’approccio è da apprendista Conan Doyle, ma a noi interessano i fatti, il racconto, cosicché aguzziamo lo sguardo e sporgiamo il collo in avanti; non sarebbe necessario; il volume della tv è sufficientemente alto, ma il corpo si adatta a degli impulsi incontrollabili. La sequenza che, presto, siamo costretti ad ascoltare è oppiacea: “Ci aspetta una sfida molto dura”; “Stiamo affrontando una prova complessa”; “Dobbiamo scacciare via la rabbia e il risentimento” et similia. Un’orazione funebre sarebbe stata molto più rilassante. Un esempio mastodontico e – lo comprendiamo – inarrivabile: se sentiamo dire “Amici, romani, concittadini, prestatemi le vostre orecchie! Sono venuto a seppellire Cesare, non a tesserne l’elogio. Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto assieme alle loro ossa”… Ecco! Se sentiamo queste parole, cosa ci viene in mente? Il monologo di Marco Antonio, nel Giulio Cesare di Shakespeare, come s’è detto, costituisce una provocazione eccessiva, anche se tale lettura potrebbe essere assunta come suggerimento per l’affinamento del public speaking. A proposito di effetti psicotropi, però, ci viene in mente un aneddoto curioso. Si narra che gli ismailiyyah, prima di andare in guerra, assumessero hashish per sfruttarne l’alterazione sensoriale e agire con maggiore spietatezza. Dovremmo dunque lasciarci condurre al disordine percettivo?

“Vi assicuro che il governo farà la sua parte”: un’enunciazione rassicurante ci voleva. Perfino l’implacabile Iahvè, di tanto in tanto, dava tregua ad amaleciti e filistei e bacchettava i prescelti Saul e David. Ciò che ci preoccupa però è questo futuro, “farà”. Perché? Il ‘già fatto’ sarebbe stato più gradito. Restando in tema di allegorie bibliche, non possiamo dimenticare che Mosè non vide la ‘promessa’ terra e David non costruì il Tempio. Se ne occupò il figlio Salomone. Siamo forse stati puniti per delle malefatte? Ci sia detto chiaramente!

Mentre ci lambicchiamo il cervello con tali roboanti deduzioni veterotestamentarie, arriva l’atto assertivo tanto atteso. E noi che pensavamo d’aver scambiato, donchisciottescamente, un secchio per l’elmo di Mambrino! “Questo piano che adesso vi illustro partirà dal quattro maggio”: bene, riecco la vivezza del let’s carry on! A dire il vero, abbiamo già sentito “adesso ve lo racconterò” e ne abbiamo subito poco dopo la delusione. È vero: non possiamo revocare in dubbio ogni buon proposito. In religioso silenzio, seguiamo i dettagli del piano, cioè le cosiddette connotazioni, che dovrebbero dare al discorso i necessari contenuti. Se il ‘capo’ continua con le semplici denotazioni, finiamo coll’essere schiacciati da populismo e demagogia. Il colpo di scena, in effetti, c’è. “È ben strutturato, ben articolato, ben pensato”. Cosa, Presidente? Il piano: è evidente. Sì, il soggetto, quantunque soppresso, è chiaro. Ma qual è il piano? Finora, nessuno ne ha sentito parlare. “Godot will not come tonight”. Déjà vu. Stentiamo a crederci, ma il Presidente del Consiglio s’è appena lasciato andare a un distopico autoincensamento. Si ripresenta infida la claque d’un Fahrenheit 451 ancora inesplorato e, forse, sottovalutato. Che cosa sta succedendo? Manca il contenuto del piano, eppure il Coriolano si loda per le qualità del piano (…absit iniuria verbis!).

Quando poi, a proposito del recovery fund, sentiamo “un lavoro di squadra fatto assieme ad altri paesi europei” e “all’unanimità che si è creata in seno all’ultimo Consiglio Europeo”, cominciamo a perdere le speranze. Passi l’idea che siamo tutti dei sognatori incantati dal sex symbol e passi pure l’idea secondo cui le utopie potrebbero giovare all’evoluzione dei popoli (…chi scrive non è d’accordo), ma pretendere che basti una qualsivoglia catacresi (…metafora morta, ma è doveroso usare “catacresi”) o un qualsiasi iperonimo (…nome che indica un’amplissima categoria di significato; esempio: bene comune, anziché sussidio x) o una litote qualunque (…attenuazione eufemistica: persona che arreca nocumento alla proprietà privata, anziché ladro) per far sì che ci immoliamo alla causa è chiedere troppo. Sappiamo tutti ormai che il conflitto in senso al ‘supremo’ consiglio è stato asperrimo e lo stesso presidente più volte ha ostentato la propria opposizione. Tra le altre cose, lo stesso recovery fund è ancora un bel progetto e null’altro.

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“Alcuni di voi sono insoddisfatti, ne siamo consapevoli” continua Conte. Sì, questo è un formidabile moto di realismo che ci sorprende, una folgorazione degna dei grandi profeti. Se avesse detto “s’è udita una voce in Ramah, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata (…)”, lo avremmo scambiato per Geremia. Il guaio è che, poco dopo, il profeta passa ad un’elencazione di fatiche governative della nostra sacra e pubblica Amministrazione, non altrimenti che se volesse rifarsi al Kennedy dell’insediamento. Il non-detto prevale sulle parole: “Non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”. L’INPS avrebbe ricevuto 109.000 richieste di reddito di cittadinanza, 78.000 domande per il bonus baby-sitting, 237.000 richieste di congedo straordinario dalle famiglie e avrebbe liquidato 3,5 milioni di domande sui seicento euro. “Questa mole di domande – afferma il Giuseppe nazionale – veniva trattata di solito in cinque anni”, finendo pure col darsi la zappa sui piedi. L’Italia, in materia di PA, ha un rating digitale pessimo, ha una burocrazia paragonabile a quella dei paesi più poveri e non è affatto edificante dire che questa mole di domande veniva elaborata in cinque anni: è un suicidio amministrativo. Se, tra le altre cose, si è riusciti a processare tanti dati in soli due mesi, ciò è riprova del fatto che, in precedenza, si è poltrito.

Ormai, ce lo diciamo da soli: keep calm and carry on. “Questo paese non riparte se non punteremo sulle imprese” insiste Conte. Ci risiamo! “Punteremo”? Quando? Abbiamo già ascoltato “ve lo illustro”, “lo racconterò”; si parlava di piani e meccanismi, ma, volgendo al termine la conferenza, noi siamo ancora all’oscuro di tutto. Le imprese sono state condannate al debito, non già aiutate. La logica dell’investimento non è mai stata presa in esame. Tuttavia, “sono allo studio degli interventi”. Possiamo stare tranquilli. D’altronde, siamo in piena ottica messianica; il tempo non è misurabile.

Il messianismo, in effetti, non include, almeno non nella primigenia formulazione, i fattori di produzione, dato che “non di solo pane vive l’uomo”: “La nostra ripresa parte da un sostegno poderoso all’attività d’impresa perché il nostro obiettivo non è avere più sussidiati, ma più occupati”. Il Presidente del Consiglio continua con la propria escatologia, ma noi, nel contempo, non riusciamo ancora a capire come lo Stato aiuterà le imprese – naturalmente sempre col tempo verbale del futuro biblico: (…) “e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la gente di cui saranno stati servi; e, dopo questo, se ne partiranno con grandi ricchezze. E tu te ne andrai in pace ai tuoi padri, e sarai sepolto dopo una prospera vecchiezza.” (Gen 15, 14-15)

Capitale e lavoro sono, appunto, fattori della produzione, non delle virtù teologali, e, in quanto tali, devono essere remunerate – si dice nella lingua di settore. In altri termini: hanno un costo, un costo che, spesso, appartiene agli ammortamenti, altra manifestazione del tempo, e che, in assenza di ricavi, si fa fa insostenibile.

A ben vedere, nostro malgrado, la frase “il nostro obiettivo non è avere più sussidiati, ma più occupati” è pure in contrasto o, addirittura, in contraddizione con altre affermazioni. Se infatti torniamo indietro con la memoria – e non di molto –, ricordiamo che il presidente del Consiglio ha detto: “Col nuovo decreto, quello da cinquantacinque miliardi, più fondi per gli autonomi, aiuti concreti a fasce (…l’oratore ha lasciato il sintagma incompleto), categorie sociali più deboli, colf, badanti (…) chi ha avuto il bonus da seicento euro stiamo studiando (…sintassi dell’oratore) la possibilità di rinnovarglielo con un semplice click (…)”. Porgiamo le nostre scuse per la nostra ebetudine, ma abbiamo la netta impressione che questo elenco si riferisca esclusivamente ai sussidiati. E inoltre, se non tutti i richiedenti, hanno ricevuto ancora i 600 euro, prima di rinnovare tutto con un click, sarebbe il caso di colmare le lacune esistenti.

Nell’antica Grecia, ma anche nell’impero romano, approssimativamente tra I e IV secolo a.C., esisteva la figura dell’informatore itinerante, ovverosia il cosiddetto banditore, il quale andava in giro per le vie della città al solo scopo di informare i cittadini circa disposizioni e pene formulate dalle autorità. Ne I promessi sposi, si ritrova qualcosa di simile attraverso le famose grida, che purtroppo hanno tediato non poco gli studenti di tutte le generazioni, di là dal fascino dell’opera. Il Conte conferenziere si qualifica pure un po’ banditore. Oltre a fornirci un elenco dei dati dell’INPS, che ciascuno di noi potrebbe apprendere con pochi minuti di ricerca, ci informa che “il turismo produce dal 13 al 15% del PIL e sicuramente avrà bisogno di una robusta iniezione di fiducia e di sostegno economico”: il termine “fiducia” ci lascia un po’ perplessi perché, dopo venti-venticinque minuti di discorso, cominciamo ad essere piuttosto sfiduciati, tanto più che pensiamo che questa iniezione, anziché contenere “fiducia”, contenga dei potenti ipnotici.

Un miorilassante, a dire il vero, ci vuole perché, nel giro di pochi secondi, veniamo nuovamente infilzati: Dobbiamo lavorare in questa direzione”. Quale, Presidente? La supplichiamo di dirci qual è la direzione, altrimenti rischiamo davvero di errare nel compianto dei templi acherontei. Il Foscolo de I sepolcri ci perdoni per quest’insano accostamento, ma, parafrasandolo ancora, non ci resta altro che ricoverarci sotto le grandi ali del perdono di Dio, mentre le imprese sembrano abbandonate alle ortiche di una terra desolata, dove né una donna innamorata pregherà né un viandante solitario sentirà il sospiro della natura.

“Stiamo lavorando a un nuovo decreto” ci pare, da ultimo, il colpo di grazia. Il termine “decreto” comincia a farci paura, sembra settario, come se provenisse da un codice occulto e indecifrabile e non più dal diritto. Ancora una volta, un rinvio; e, purtroppo, “ci stanno guardando”, ci avverte il Presidente. Inquietante! Ci stanno guardando? Perché? Forse, perché sono affetti da una sorta di voyeurismo socio-economico: siccome, in qualche modo, siamo quasi nudi, allora ne approfittano per dare una sbirciatina. Oppure, sono dei sadici e traggono piacere dalle disgrazie altrui. Ci riesce difficile credere, caro Presidente, che ci vogliano prendere a modello. Per carità, potrebbe anche verificarsi, se solo sapessimo qual è il modello.

Così, con uno stillicidio, la conferenza giunge alla parte finale, quella del DPCM, dei congiunti, degli spostamenti intraregionali, delle cerimonie funebri, della riapertura di manifattura e costruzioni, dei bar che dovrebbero fornirci prodotti da asporto, quella in cui… un’altra cosa sfugge alla nostra capacità di comprensione: “il lavoro egregio fatto dal comitato tecnico-scientifico”. Non ne mettiamo in dubbio il valore, Presidente, ma di che lavoro si tratta? Nessuno ce lo ha mai detto chiaramente.

 

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