Decreti legge o Conte? Più che di legittimità è questione di fiducia politica

scritto da il 05 Maggio 2020

In Italia il Governo è debole perché così lo vuole la Costituzione del 1948 e le ragioni storiche di tale volontà sono evidenti: un esecutivo forte aveva consentito al leader fascista di conquistare i pieni poteri e da tale rischio si voleva rifuggire per sempre. È naturale, dunque, che nel nostro ordinamento non siano previsti poteri di emergenza o stati di assedio cui ricorrere in caso di eventi eccezionali, salvo lo stato di guerra disciplinato dall’articolo 78 della Carta. Tuttavia, come drammaticamente dimostrato dalla recente pandemia, le catastrofi e la necessità di farvi fronte esistono anche contro i desiderata del diritto, che pure è capace di flessibilità sufficiente per scelte normative coraggiose ed insieme legittime.

In una prima fase, il Governo Conte non era riuscito nel compromesso sopra indicato: ricorrendo alla legge n.225 del 1992, aveva proclamato lo stato di emergenza sull’intero territorio nazionale, così da avere facoltà di arbitrio quasi assoluto nella compressione di libertà fondamentali nonostante queste limitazioni fossero imposte per mezzo di Ordinanze del Capo della Protezione Civile, cioè con atti amministrativi, che sono fonte di rango secondario. A propria volta, tali Ordinanze erano così vaghe da rendere le Circolari interpretative del Ministero degli Interni la vera norma di riferimento, forzatura ben grave alla luce dell’art. 16 della Costituzione, che prevede sì la possibilità di sospensione dei diritti di spostamento e soggiorno, ma la disciplina almeno delle fattispecie di sospensione affida alla legge ordinaria, non ad atti amministrativi o, men che mai, a circolari del ministro di turno.

Che qualcosa andasse cambiato doveva apparir chiaro al Governo stesso, che infatti presto ha iniziato a preferire alle Ordinanze i D.P.C.M. (Decreti del presidente del Consiglio) attuativi del Decreto-legge del 23 febbraio, a tutti gli effetti una fonte primaria, come appunto previsto dalla Costituzione. Poiché però tale Decreto era a propria volta capolavoro di ambiguità, di nuovo il merito della compressione dei diritti fondamentali tornava oggetto di atti amministrativi, ovvero dei già menzionati Decreti attuativi.

Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio

Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio

Tali criticità sono state coscientemente sanate dal Decreto-legge del 9 marzo, finalmente chiaro abbastanza nel definire i confini dei limiti a libertà collettive e individuali, nonché i margini discrezionali lasciati alle fonti secondarie; esso, inoltre, non ha iterato la controversa scelta di introdurre reati per mezzo di strumenti diversi dalla legge ordinaria, depenalizzando le precedenti sanzioni.

Se quindi i profili di dubbia legittimità costituzionale sembrerebbero essere sanati, per quale ragione molteplici forze politiche si oppongono al ricorso ad un nuovo D.P.C.M.? Certo, c’è stata la controversa vicenda dei “congiunti”, categoria segnalata come “non giuridica” in primis dalla Presidente della Consulta, ciononostante il futuro Decreto potrebbe facilmente sopravvivere stornando da questo termine ad uno davvero esistente e lecito. Eppure, l’opposizione ad esso rimarrebbe, e questo perché la natura stessa di tale contrasto non è giuridica, bensì politica.

Sin dall’inizio dell’emergenza, il presidente Conte aveva promesso che, superato il picco del contagio, le misure di sicurezza nel frattempo predisposte avrebbero reso possibile un graduale ritorno alla normalità: la promessa era che, grazie a residue forme di distanziamento sociale o a tracciamenti sierologici di massa, le realtà produttive sarebbero almeno in parte tornate in attività, gli spostamenti avrebbero avuto un tasso di rischio più che tollerabile. Quella così descritta sarebbe stata la fase due. Ma ciò non è stato. Almeno in parte per responsabilità del Governo, nei mesi di lockdown non sono stati adottati i provvedimenti che avrebbero consentito una prima ripartenza, eppure l’esecutivo è stato fermo nel proclamare comunque l’inizio della seconda fase a dispetto delle minime differenze rispetto alla prima.

Conseguentemente, una significativa parte dell’opinione pubblica si è sentita delusa nelle aspettative fino a quel momento alimentate e perfino schernita dalla sfrontatezza di quello che ha percepito come un mistificatorio esercizio di retorica. Della fase due, in effetti, si è mantenuto il nome ma non la sostanza, e questo non deve essere granché piaciuto. Proprio di tale malcontento si sono fatte portavoce alcune forze politiche e, in particolare, il leader di Italia Viva, Matteo Renzi, le cui critiche sono state più forti di altre perché parte integrante della maggioranza. Questa è la chiave di lettura della prima accennata natura politica dello scontro sulle scelte normative: come suggerito dalla propria denominazione, un ennesimo Decreto del Presidente del Consiglio poco coinvolgerebbe Parlamento o Consiglio dei Ministri; al contrario, un Decreto-legge implicherebbe il passaggio sia in CdM che nelle Camere per la conversione, sedi in cui le forze di maggioranza critiche avrebbero la possibilità di apportare cambiamenti al testo e di correggere quelli che ritengono errori finora connessi nella linea perseguita da Conte.

Ulteriore novità è che alle “forze critiche” si è di recente iscritto almeno con alcuni propri esponenti perfino il Partito Democratico che, dopo un lungo periodo di appoggio incondizionato all’operato di Conte, ha provato ad ottenere un voto parlamentare sul suo venturo Decreto.

Quanto sarà forte la sponda offerta dai Dem alle richieste di Italia Viva? Prevarrà nella Ditta zingarettiana il desiderio di spingere Conte ad un cambio di passo o troppo forte sarà il timore di mettere a rischio il Governo? Il mancato ascolto delle proprie istanze porterà Italia Viva ad uscire dalla compagine di maggioranza, inducendo così redivivi “responsabili” a prenderne il posto?

Solo l’approssimarsi della prima estate sotto il segno della pandemia potrà offrire risposte a questi interrogativi.

Francesco Neri

Twitter @apbocconistu