La MMT è solo il nuovo albero degli zecchini d’oro

scritto da il 04 Maggio 2020

Post di Fabrizio Ferrari*, MSc Economics presso l’Università Cattolica, attualmente al Servizio Studi di UbiBanca – 

La diffusione dell’epidemia Covid-19 ed il conseguente lockdown stanno portando politici, economisti e commentatori economici a chiedersi quale possa essere la politica economica migliore per mitigare l’impatto dell’inevitabile recessione. Tra le varie proposte sul tavolo, ricorre continuamente quella della monetizzazione dell’indebitamento pubblico – mutuata, nelle sue declinazioni più estreme, dalla MMT (Modern Monetary Theory).

L’idea di fondo della MMT, in sintesi, è la seguente: lo Stato (monopolista dell’uso della forza, dell’esazione fiscale e dell’emissione di moneta) potrebbe, tramite il suo controllo sull’offerta di moneta, espandere o contrarre a piacere la domanda di beni e servizi; quindi, regolando a piacere la domanda, potrebbe controllare anche la produzione e l’offerta che questa automaticamente determinerebbe – e quindi, in ultima analisi, potrebbe organizzare e pilotare a piacere la struttura economica e produttiva del Paese su cui ha giurisdizione, individuando un livello di Pil ottimale e delineando una roadmap per raggiungerlo.

Ora, tale interpretazione dei fenomeni economici e monetari si fonda su (almeno) due fallacie: da un lato, un’errata interpretazione circa i fenomeni macroeconomici e monetari; dall’altro lato, una descrizione errata del funzionamento del sistema bancario nel suo ruolo di intermediatore tra credito e risparmio.

La produzione ed il potere di acquisto
Assumiamo che, in un periodo di crisi come quello imminente, il Governo dia ordine alla Banca Centrale di accreditare sul proprio Conto di Tesoreria tutti i soldi necessari per finanziare il proprio indebitamento (derivante da minori entrate fiscali e maggiore spesa sociale). Una volta vistosi accreditare tale somma, il Governo dovrebbe scegliere dove iniziare a spenderla – cioè, quali beni e servizi comprare, a quali gruppi sociali trasferire un sussidio, quali asset strategici acquisire, ecc.

Si avrebbero, quindi, due casi possibili: tale iniezione di moneta da parte del Governo avverrebbe o in modo perfettamente omogeneo (incrementando, cioè, ogni forma di reddito, di costo, di prezzo e di risparmio nella medesima proporzione), oppure in modo eterogeneo (diciamo – per semplificare – in modo estremamente eterogeneo, cioè accreditando tutto l’ammontare ad un singolo gruppo sociale).

Ora, mentre nel caso di un’iniezione perfettamente omogenea non avverrebbe nessuna alterazione dei poteri di acquisto relativi dei singoli gruppi sociali (in altre parole, il rapporto tra quanto ogni agente produce e quanto può domandare e consumare ne uscirebbe inalterato), le cose andrebbero molto diversamente in caso di iniezione eterogenea.

Infatti, assumiamo – per semplificare – che esistano solo due tipi di produttori: produttori di case (beni di investimento o capitali) e produttori di pane (beni di consumo). È del tutto chiaro che il Governo, qualora decidesse di iniettare la nuova moneta acquistando solamente uno dei due beni (supponiamo le case), aumenterebbe la domanda di quello stesso bene (le case) relativamente all’altro bene (il pane) – alterando così il prezzo relativo delle case in termini di pane.

Avendo aumentato il prezzo relativo delle case in termini di pane, succederebbe quanto segue: i produttori di case vedrebbero immutato il loro potere di acquisto reale in termini di case, mentre vedrebbero aumentato quello in termini di pane; al contrario, i produttori di pane vedrebbero diminuito il loro potere di acquisto reale in termini di case, mentre vedrebbero inalterato quello in termini di pane.

La situazione rimarrebbe tale – con un gruppo di vincitori (i produttori di case) e uno di vinti (i produttori di pane) – fino a quando la moneta di “fresca iniezione” non si redistribuisse omogeneamente tra produttori di case e di pane – riconducendoci così al caso di iniezione omogenea e causando, semplicemente, un incremento omogeneo dei prezzi.

Fin qui – uno potrebbe dire – poco male: magari, nel processo descritto, la domanda complessiva aumenterebbe un pochino – coinvolgendo così nel processo produttivo delle risorse inutilizzate – e, alla fine, la produzione sarebbe superiore (più case e chili di pane). Il problema, però, si riproporrebbe – questa volta senza possibilità di appello – decidendo di “aprire” verso l’estero questa nostra economia chiusa di costruttori e panettieri.

Infatti, assumendo che anche solo un input necessario alla produzione di pane e case fosse importato dall’estero (supponiamo il petrolio da cui ricavare l’energia per scaldare i forni della panetteria e far funzionare i macchinari del cantiere), il Governo non avrebbe il potere di acquisirlo semplicemente “stampando” la moneta; dovrebbe, invece, accettare di comprarlo al prezzo deciso dei produttori esteri nella loro valuta estera.

Ma, aumentando l’offerta di moneta domestica sul mercato della valuta estera, il Governo ne ridurrebbe semplicemente il prezzo (tasso di cambio) ed il potere di acquisto reale in termini dell’input importato dall’estero (il petrolio), aumentando così a cascata anche il costo di produzione – ed i prezzi – dei beni prodotti all’interno dei suoi confini.

Questo ci porta ad una prima conclusione: i divulgatori della MMT, quando propagandano la monetizzazione dell’indebitamento come un escamotage per migliorare il benessere di tutti, mentono. Al più, manipolare la quantità di moneta circolante nell’economia altera i prezzi ed i poteri di acquisto relativi all’interno della stessa – ma senz’altro non crea benessere dal nulla.
In altri termini, la MMT spaccia un effetto redistributivo per un miglioramento paretiano – cioè, qualcosa da cui il sistema nel suo complesso dovrebbe guadagnare.

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Il sistema bancario, il risparmio ed il credito
Il secondo elemento di cui i sostenitori della MMT offrono una rappresentazione distorta è la natura del risparmio e del credito, teorizzando che la possibilità per le banche commerciali di creare depositi dal nulla [1] (“out of thin air”) permetta, in qualche modo, di superare la natura di intermediatore – che armonizza credito e risparmio – del sistema bancario e finanziario.

Il punto è che il credito si può creare dal nulla (in fin dei conti è un contratto, una convenzione umana), ma il risparmio no; e non è possibile incrementare la capacità produttiva di un’economia se non vi è del risparmio (presente o passato) che possa essere a tal scopo investito. Ciò significa non tanto che in ogni intervallo di tempo considerato la quantità di investimenti debba essere uguale al risparmio corrente – basta pensare a fenomeni di liquidazione del risparmio passato – quanto che non vi possa essere alcuna forma di investimento che non sia prima stata prodotta e risparmiata.

Tutto questo si capisce meglio con un esempio [2}. Immaginiamo un’economia primitiva, con tre tipi di agente (artigiani, cacciatori e cuochi), tre fasi produttive (fabbricazione delle armi, caccia e cucina) ed un unico prodotto finale di consumo (la carne cotta).

Ora, immaginiamo un primo scenario di equilibrio. Ogni giorno, gli artigiani fanno la manutenzione alle armi dei cacciatori e le consegnano a questi ultimi; i cacciatori vanno a caccia e rientrano con la selvaggina; i cuochi prendono in consegna la selvaggina e la cucinano; infine, tutti i membri dei tre gruppi (artigiani, cacciatori e cuochi) consumano insieme tutta la carne. Il giorno dopo si ricomincia da capo, e si va avanti così indefinitamente.

Immaginiamo, ora, che qualcuno nella tribù capisca che sarebbe possibile cacciare animali di taglia molto superiore dotandosi di armi tecnologicamente più avanzate (più robuste, più taglienti, ecc.). Tuttavia, gli artigiani della tribù sono già impegnati quotidianamente nella manutenzione delle armi, e non hanno tempo da dedicare allo sviluppo di questo nuovo tipo di tecnologia. Pertanto, l’unica soluzione sarebbe chiedere ad alcuni cuochi (o cacciatori) di sospendere la loro attività di caccia (o di cucina) per aiutare gli artigiani nel loro lavoro di fabbricazione delle nuove (e più produttive) armi.

Ma se i cuochi e i cacciatori non cacciano e non cucinano, c’è naturalmente meno carne da mangiare per tutta la tribù. Quindi, l’unica soluzione sarebbe la seguente: risparmiare per un po’ di giorni consecutivi una frazione della carne cucinata, per poi consumarla successivamente e permettere il sostentamento dei membri della tribù impegnati nel lavoro artigianale. E ciò sarebbe vero sia con una banca che facesse credito agli artigiani mentre fabbricano le nuove armi, sia senza.

Questo ci porta ad una seconda conclusione sulla MMT: la capacità produttiva di un’economia non aumenta per il semplice fatto di creare del credito o della moneta. Al più, la creazione di credito e moneta può stimolare la domanda, ma l’incremento di capacità produttiva richiede sempre del risparmio e dell’investimento.

La morale della favola
Attenti: la MMT non è nulla di diverso dalla menzogna sull’albero degli zecchini d’oro che il Gatto e la Volpe propinano a Pinocchio. Il trucco contabile per ottenere due soldi da un soldo non esiste. Diffidate, quindi, di chi vi vende una soluzione allo stesso tempo semplice e geniale: ben che vada, mente per ignoranza; male che vada, vi sta vendendo la Fontana di Trevi.

Twitter @Fabriziofer1994

*le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono UbiBanca.

NOTE:

[1] Su quanto sia effettivamente vero che le banche commerciali creino “depositi dal nulla”, si veda: “Banks do not create money out of thin air”, Ponthus Rendahl and Lukas B. Freund, 14/12/2019, VoxEU.org e  “Do the Textbooks Get Money and Banking Backwards?”, Robert Murphy, 02/04/2020, Mises Wire. 

[2] Un esempio analogo e molto più dettagliato è offerto dall’economista Robert Murphy in “The Importance of Capital Theory”, 20/20/2008, Mises Daily Articles.