L’Italia analfabeta del rischio e le mancate tutele universali

scritto da il 07 Maggio 2020

Come ha spiegato lo scienziato cognitivo Gerd Gigerenzer, la certezza è solo un’illusione (Imparare a rischiare, Cortina, 2014) . Dobbiamo uscire dalla logica della certezza e ragionare sulle probabilità. La gente ha idee sbagliate perché è stata educata male. Il nostro sistema scolastico è stato disegnato per un mondo che non esiste. C’è un’incredibile cecità per quanto riguarda l’alfabetizzazione al rischio: “Insegniamo ai nostri figli la matematica della certezza, geometria e trigonometria, ma non quella dell’incertezza, il pensiero statistico; insegniamo loro la biologia ma non la psicologia, cioè la cosa che dà forma ai loro timori e desideri”.

Mai come in queste settimane ci vuole coraggio per affrontare un futuro incerto, denso di incognite. Ma è necessaria una rivoluzione psicologica interiore per rendere la vita meno carica di paure. E non è per nulla facile. Secondo una recente indagine demoscopica di SWG, quasi la metà degli italiani ha paura di perdere il lavoro. E l’altra metà ha forti timori di vedere il proprio reddito ridotto in misura significativa.

Sono sempre di più le persone che si rendono conto di come il nostro sistema di welfare sia stato disegnato per un mondo in crescita verticale, dove il Pil non scende mai e dove si ha lo stesso lavoro tutta la vita. Oggi invece le carriere sono discontinue, piene di interruzioni e quindi urge dotarsi di un sistema di tutele ampie e universali, non segmentate per categorie, dove i più forti a negoziare ottengono le condizioni migliori.

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Questa crisi rende la categoria dei pensionati ancora più fortunata di tutte le altre. Ma un sistema economico come fa a funzionare bene se gli stimoli a chi produce e rischia sono irrisori? Se gli incentivi portano allo status quo?

Bisogna prendere la vita nelle nostre mani ed avere il coraggio di servirsi della nostra intelligenza (I. Kant, cit.) per gestire i rischi che la vita ci pone davanti. D’altronde, come dice Gigerenzer, “se conoscessimo con certezza tutto il futuro, la nostra vita sarebbe svuotata di ogni emozione, niente sorprese e piaceri, niente gioia o eccitazione, tanto sapevamo già tutto…Se il nostro mondo diventasse certo, la vita sarebbe noiosa da morire”.

Negli ultimi 25 anni con il mondo diventato vorticoso e mutevole, denso di rotture e cambiamenti, l’Italia è rimasta al palo, non abbiamo saputo adattare le istituzioni di assicurazione sociale all’evolversi del contesto.

In un pregnante paper l’economista Michele Grillo ha illustrato con chiarezza come la diffusione sociale del rischio abbia costituito una fonte di incentivo perverso per la crescita (Tutela della concorrenza e diffusione sociale del rischio, in Concorrenza, mercato e crescita in Italia: il lungo periodo, a cura di A. Gigliobianco e G. Toniolo, Marsilio, 2017). Se il mercato produce incessantemente vincitori e vinti, i sistemi economici che sono più attrezzati per la gestione del rischio hanno maggiori potenzialità di crescita. Infatti un’assicurazione riduce il prezzo di un fattore produttivo: induce i soggetti a compiere scelte più rischiose e a più alto rendimento.

Se le imprese per competere sui mercati mondiali necessitano di flessibilità dei fattori produttivi, è opportuno che i soggetti che offrono flessibilità siano dotati di un’adeguata assicurazione. In Italia questa assicurazione, tramite la cassa integrazione, è stata selettiva, categoriale e condizionata al mantenimento del posto di lavoro. Ma se l’impresa esce dal mercato? Si salva l’impresa ad ogni costo e si tutelano i lavoratori, come se potessero tornare in un’impresa che non è più competitiva e chiude i battenti. Peraltro si illudono i lavoratori, che mai potranno tornare a lavorare e sono costretti a stare in frigidaire.

Abbiamo quindi assistito al formarsi di un sistema duale dove esiste uno stock rigido di soggetti protetti e una frangia flessibile – le partite Iva, i Co.co.pro, i gig workers – su cui ricade interamente il rischio di disoccupazione. Ne è nato un fortissimo conflitto distributivo (con il Coronavirus si è solo ampliato) e si è accresciuta la diffusione sociale del rischio. Le conseguenze sono state le seguenti: le imprese, che dovevano assicurare in modo eccessivamente oneroso la forza lavoro sono state disincentivate ad investire in capitale fisico; gli investimenti in capitale umano sono sollecitati soprattutto a quei lavoratori ai quali si nega assicurazione dal rischio di disoccupazione.

L’economia funziona con gli incentivi giusti, come ci ripete ogni giorno Luigi Zingales. In ogni caso, cari lettori, in un mondo incerto, non possiamo pianificare ogni cosa in anticipo. Il desiderio di prevedere tutto può rappresentare il problema e non la soluzione. Riflettete su questa battuta yiddish: “Vuoi far ridere Dio? Raccontagli i tuoi progetti”.

Twitter @beniapiccone