Europa, come finanziare il Recovery Fund e i Paesi in difficoltà

scritto da il 08 Maggio 2020

Post di Fabio Ghiselli, dottore commercialista, già Tax Director d’impresa, attualmente Tax & Lab Advisor, autore di numerose pubblicazioni in materia tributaria e di welfare, collaboratore de Il Sole 24 Ore, cultore di economia –

Uno dei temi discussi nel corso dell’ultima riunione del Consiglio europeo del 23 aprile scorso è stato quello del Recovery Fund, uno strumento comune e temporaneo per favorire la ripresa economica da mettere a disposizione di quei Paesi che oltre ad essere maggiormente colpiti dalla pandemia da Covid-19, avrebbero più difficoltà a reperire risorse direttamente sul mercato, se non a prezzo di un costo del debito che potrebbe, alla lunga, diventare difficile da sostenere.

Affinché possa essere operativo, questo fondo dovrebbe essere finanziato o, per meglio dire, garantito da un capitale che, tramite l’effetto leva, sia in grado di raccogliere sul mercato risorse n volte superiori emettendo titoli di debito comune che dovrebbero assumere il nome del fondo: recovery bonds.

Le garanzie dovrebbero originare dal bilancio dell’Unione europea che, stante la sua dimensione – l’1% del Pil complessivo – rischia di non essere sufficiente.

Una proposta per reperire risorse proprie aggiuntive è contenuta nel mio articolo Pandemic Covid-19 crisis, pubblicato sul mio sito www.taxpolighis.it.

Ma potrebbe esserci anche un’altra soluzione che troverebbe la sua base giuridica nei regolamenti dell’Unione europea.

Nel 2011 la Commissione Europea ha introdotto la Macroeconomic Imbalance Procedure (MIP) con due Regolamenti, n. 1176 e n. 1174, entrambi del 16 novembre 2011, approvati dal Consiglio Ue e dal Parlamento.

Questa procedura nasce in virtù della dichiarata evidenza che gli squilibri macroeconomici, non necessariamente legati alle differenti finanze pubbliche, possono nuocere alla stabilità dell’UE.

Infatti, sul sito www.ec.europa.eu.info, alla pagina dedicata, si legge testualmente che “The MIP aims to identify, prevent and address the emergence of potentially harmful macroeconomic imbalances that could adversely affect economic stability in a particolar Member State, the euro area, or the EU as a whole”.

Questa esigenza è meglio specificata nel 1° e nel 17° considerando del Reg. n. 1176/2011, dove si legge, rispettivamente, che “Il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri (…) dovrebbe implicare il rispetto dei seguenti principi direttivi: prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane sostenibili, nonché bilancia dei pagamenti sostenibile”; e che è “necessario intervenire in tutti gli Stati membri per sanare gli squilibri macroeconomici e le divergenze in materia di competitività …”, in particolare “negli Stati membri che accumulano avanzi elevati delle partite correnti, le politiche dovrebbero mirare a individuare e ad attuare misure che contribuiscano a rafforzare la domanda interna e il potenziale di crescita”.

A tale riguardo, uno dei parametri che la Commissione utilizza per monitorare gli andamenti macroeconomici è che la media triennale del saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti (ossia la differenza tra le esportazioni e le importazioni di beni e servizi), sia compreso tra il -4 e il 6% del Pil.

Secondo l’analisi dell’Osservatorio CPI-Università Cattolica di Milano (1) , integrato per gli anni 2018 e 2019 elaborando dati Eurostat, la Germania ha sempre superato il limite massimo del 6% dal 2012 al 2019, con percentuali comprese tra il 6,2% (2012) all’8,4% (2017).
Nella stessa situazione, anzi anche peggiore, si trova l’Olanda che nello stesso periodo ha registrato avanzi della propria bilancia dei pagamenti costantemente positivi, e scostamenti persino superiori a quelli registrati dalla Germania, raggiungendo in più annualità punte superiori al 10,5%.

Ma non sono le sole, perché anche Malta e Cipro hanno superato le soglie previste per l’avanzo.

Dal momento che tale condizione rappresenta uno squilibrio economico e una divergenza in materia di competitività – un saldo creditorio di un Paese corrisponde sempre a un saldo debitorio di uno o più Paesi membri diversi, che in un sistema di cambi fissi può essere ridotto solo introducendo misure strutturali di riduzione dei costi di produzione, come i salari (come ha fatto la Germania) – tutti e quattro i Paesi avrebbero dovuto essere sottoposti alla procedura di “sorveglianza rafforzata” ai sensi del 19° considerando del Reg. n. 1176/2011, che rinvia al regime della “sorveglianza multilaterale” di cui all’art. 121, n. 6, del TFUE, le cui modalità di esecuzione sono previste dall’art. 7 e ss. del medesimo regolamento.

Procedura che, alla luce della dimensione fattuale dei numeri, avrebbe comportato l’applicazione di apposite “sanzioni” previste dall’art. 3, e dal 11°, 12°, 13°, 14°, 16° e 17° considerando del Reg. n. 1174/2011, che vuole “garantire l’effettiva correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nella zona euro” (art. 1). Sanzioni che avrebbero dovuto essere assunte dalla Commissione Ue e approvate dal Consiglio sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’art. 5 del TFUE, richiamato più volte dai regolamenti citati.
Le sanzioni consistono in un deposito (fruttifero) cui è obbligato il Paese che ha determinato lo squilibrio economico, ovvero in una ammenda annuale pari allo 0,1% del Pil che, ai sensi dell’art. 4, del Reg. n. 1174/2011, costituirebbe una “altra entrata” del bilancio Ue ai sensi dell’art. 311 del TFUE.

Come è a tutti noto, mai è stata avviata la procedura di “sorveglianza rafforzata” e mai sono state applicate le sanzioni ai quei Paesi che come la Germania, l’Olanda, Malta e Cipro hanno determinato squilibri macroeconomici all’interno dell’Ue. La Commissione si è limitata a dei semplici richiami e a “suggerire” misure di stimolo alla domanda interna nelle Country Specific Recommendations.

Perché?

La risposta la fornisce lo stesso rapporto dell’OCP: mentre le regole sul Patto di Stabilità (e crescita) sono inserite nei trattati e nei regolamenti comunitari, i parametri della procedura sugli squilibri economici no. “I cosiddetti scoreboard thresholds, infatti, vennero proposti dalla Commissione sulla base di valutazioni statistiche e discussi dal LIME e dall’EPC, che sono rispettivamente il gruppo di lavoro sulla metodologia per valutare le riforme strutturali collegate alla strategia di Lisbona e l’Economic Policy Committee. Infine, gli indicatori furono presentati pubblicamente in un report della Commissione e nell’annesso statistico dell’Annual Mechanism Report nel 2012”.

Una differenziazione che non sembra in alcun modo permessa dal combinato disposto degli artt. 119, 120 e 121, del TFUE e dalle disposizioni regolamentari innanzi citate, ma artatamente creata al solo fine di consentire strumentali differenziazioni di trattamento tra Paesi membri.

Quale iniziativa potrebbe essere assunta per dimostrare la volontà di penalizzare la perpetuazione di un evidente squilibrio macroeconomico e, al contempo, di contrastare la pesante recessione che colpirà l’intera Europa ma, soprattutto, i Paesi che hanno minori risorse proprie per contrastarla?

Le soluzioni possibili sarebbero tre, due centrate sul ruolo della apposita sanzione annuale che, come detto, dovrebbe essere pari allo 0,1% del Pil, e una sull’utilizzo dell’avanzo della bilancia dei pagamenti.

La Germania ha realizzato, nel periodo 2012 – 2019, un Pil pari a complessivi 24.673 miliardi di euro ai quali corrisponderebbe una sanzione di 24,673 miliardi. L’Olanda ha prodotto 5.708 miliardi di Pil cui sarebbe associata una sanzione di 5,708 miliardi di euro. Alle quali dovremmo aggiungere cifre molto più contenute per Malta e Cipro.

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La prima soluzione prevederebbe che i Paesi in surplus versassero le sanzioni al bilancio Ue allo scopo di incrementare il capitale del Recovery Fund necessario a garantire l’emissione dei titoli di debito. L’importo non è particolarmente elevato ma se consideriamo l’effetto leva potrebbe diventare significativo. Il versamento, da effettuarsi in unica soluzione, potrebbe essere sostituito da una garanzia immediatamente esigibile a semplice domanda di pari ammontare.

In alternativa, invece che versare la sanzione, i Paesi in surplus dovrebbero impegnarsi a finanziare a lungo termine (20-30 anni), tramite un fondo comunitario o la stessa Commissione Ue, che agirebbe da garante, quei Paesi che, a causa della pandemia da coronavirus, hanno la necessità di reperire ingenti risorse finanziarie. La sanzione dovrebbe funzionare come equivalente minor capitale che i Paesi debitori dovrebbero restituire a quelli creditori alla scadenza del prestito. Questi ultimi avrebbero il vantaggio di vedersi diluire (in 20-30 anni) l’onere della sanzione. In buona sostanza si tratterebbe di replicare la condizione che contraddistingue l’attuale posizione sul mercato della Germania che si finanzia con i propri bund a tassi negativi. Applicando un tasso di rendimento negativo annuale inferiore a quello dei bund, per esempio pari al – 0,10%, in 30 anni (che consentirebbe arbitraggi sui finanziamenti), la perdita di capitale sarebbe del 3 %, che rapportato all’ammontare delle sanzioni (30,381 miliardi), vorrebbe dire mettere a disposizione una massa di finanziamenti per oltre 1.000 miliardi di euro. L’intervento come intermediario della Commissione o di un fondo Ue consentirebbe di bypassare il problema del diverso e inferiore merito di credito che i Paesi debitori possono vantare rispetto alla Germania (e all’Olanda), che non consentirebbe loro di accedere al mercato a tassi negativi.

La terza soluzione si fonda sull’evidenza secondo la quale gli squilibri della bilancia dei pagamenti sono pericoli per la stabilità dell’eurozona, e sul principio per cui occorre realmente scoraggiare i Paesi creditori dal lasciare inutilizzati ingenti saldi attivi liquidi che potrebbero essere destinati a scopi concreti, come i prestiti per lo sviluppo .

La Germania ha realizzato tra il 2012 e il 2019, 1.865 miliardi di euro di avanzo, mentre l’Olanda 536 miliardi, per un totale di 2.401 miliardi di euro. Una parte significativa di questo ammontare, eventualmente limitata alle sole eccedenze degli attivi correnti rispetto al limite del 6% del Pil, dovrebbe essere messa a disposizione degli altri Stati membri che non hanno generato squilibri nell’eurozona, attraverso l’impiego a titolo di capitale nel Recovery Fund, che si tradurrebbe in un ammontare maggiore di finanziamenti grazie all’effetto leva.

Dal momento che gli squilibri della bilancia dei pagamenti sono stati equiparati, quanto a gravità, a quelli generati da una finanza pubblica non in linea con i parametri di Mastricht, non c’è alcuna ragione di proseguire con ingiustificate quanto inopportune differenziazioni.

Se le regole ci sono, e in una comunità dovrebbero valere per tutti, allora è tempo di applicarle.

Twitter @GhiselliFabio1

NOTA
(1) Osservatorio CPI, Surplus nei conti con l’estero: la Germania viola i trattati europei?, a cura di S. Bernardini, che ha rilevato i dati fino al 2017. Per il 2018 e 2019 si sono assunti ed elaborati i dati pubblicati su Eurotax.  In questo senso si era già espresso J.M. Keynes nel progetto di una moneta internazionale nel 1943.