Quando l’impresa si mette al servizio dell’impresa: il caso Flexibleworking

scritto da il 09 Maggio 2020

In questi anni ho visto cambiare profondamente il modo di fare impresa. Gli imprenditori, per far fronte ad un ambiente ostile ed in continuo cambiamento, hanno rafforzato diverse forme di collaborazione fino a spingersi in alcuni casi a disintermediare la formazione e la consulenza. Sempre più spesso gli imprenditori più dinamici si ritrovano tra loro per crescere e confrontarsi.

È un tema che ho analizzato con attenzione nel mio libro “Restartup, le scelte imprenditoriali non più rimandabili” edito da Egea.

La storia di cui voglio parlarvi oggi è in qualche modo una di quelle. La storia di Nicola Fracassi, un imprenditore che, di fronte al lockdown causato dal coronavirus, decide di aiutare le molte PMI italiane in difficoltà fornendo, con la sua FAR Networks ed un gruppo di aziende del settore, una prima consulenza gratuita all’uso di software utili per lavorare a distanza.

Puoi aiutarci a capire meglio in che cosa consiste il progetto Flexibleworking?
Flexibleworking è un progetto che ho ideato per supportare le molte piccole imprese in difficoltà di fronte alla prospettiva di lavorare da remoto. Ne hanno fatto parte inizialmente 5 aziende concorrenti che, trovando anche il supporto di Microsoft, Cisco e delle associazioni Copernicani e UCUG.it, hanno deciso di collaborare fornendo gratuitamente un portale ricco di contenuti self service e 4 ore di consulenza a ciascuna azienda che ne faccia richiesta. In un secondo momento l’iniziativa si è allargata ad altre 35 grandi aziende del settore ICT italiano, uno straordinario risultato di cooperazione.

Voglio specificare che l’operazione è totalmente pro-bono e non vuole in alcun modo diventare una operazione di marketing. Aiutiamo piccole imprese fuori dal nostro target. Ci tengo che il messaggio sia chiaro per evitare fraintendimenti; siamo spinti da uno spirito di condivisione e tutti i partecipanti hanno sottoscritto un agreement in cui è chiaramente specificato che l’operazione non deve essere strumentalizzata per iniziative promozionali. L’idea è nata aiutando piccoli imprenditori, professionisti, amici in difficoltà: quello vuole essere lo spirito.

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Quale è il bilancio dell’iniziativa?
Oltre 5000 visitatori sul portale www.flexibleworking.it hanno utilizzato i contenuti self service messi a disposizione.

Diverse decine di micro imprese hanno richiesto e ottenuto un supporto gratuito da parte delle aziende partner dell’iniziativa che ha permesso loro di proseguire le attività nonostante il lockdown.

L’iniziativa è già stata replicata da alcuni partner in Portogallo e sarà a brevissimo replicata in altri paesi europei che ci hanno richiesto di duplicare il sito e tradurlo.

Sto notando che, soprattutto gli imprenditori più innovativi o che comunque operano in settori innovativi, tendono a mettere in comune, hanno meno paura di condividere e a supportare altri imprenditori. Lo stesso Luca Foresti (che oltre ad essere un comune amico, scrive su queste pagine) con Management Pills ha dato vita ad una iniziativa interessante.
Probabilmente dipende dal contesto in cui operiamo, dalla necessità di far circolare le idee, di testarle, di sperimentare. Come giustamente dicevi, il valore emerge dalla condivisione e questo fa, automaticamente, scendere il livello di paura e cadere le barriere alla cooperazione.
Ad esempio insieme a Luca e altri imprenditori abbiamo anche dato vita ad una scuola di impresa destinata ai ragazzi ed alle ragazze tra gli 11 e i 14 anni.

Trovo molto interessante che un gruppo di medie imprese si metta a disposizione di professionisti e micro imprenditori proprio quando, a mio parere, si è rotta quella cinghia di trasmissione cosi importante per trasferire conoscenza dalle grandi imprese alle piccole. Pensiamo a quanto hanno fatto in passato aziende come Olivetti ed IBM per la diffusione della cultura informatica in Italia. Erano grandi scuole di impresa. 

Non credi inoltre che iniziative come la vostra o come Management Pills di Foresti abbiano il merito di diffondere, seppur a diversi livelli, cultura d’impresa sopperendo in qualche modo ad un fallimento della consulenza dedicata alle PMI?
Il tema che poni è interessante. L’innovazione fa fatica a penetrare nelle PMI proprio quando dovrebbe essere più facile che ciò avvenga. Viviamo in un’epoca di straordinaria democrazia tecnologica. Lo stesso strumento, lo stesso software è a disposizione sia dello small business sia dell’enterprise. E lo è anche a prezzi molto simili.

Parallelamente i prodotti sono (o dovrebbero essere) così facili da usare da bypassare gli stessi tecnici, che si trovano spiazzati. Oggi vince l’approccio business centrico, non posso non conoscere il settore in cui opera il mio cliente e ciò spiazza l’approccio più tecnocentrico.
Questo probabilmente crea un problema di dialogo tra consulente tradizionale e PMI. Problema più sfumato nei confronti delle startup che usano con maggiore consapevolezza il prodotto informatico.

A questo dobbiamo aggiungere che le ridotte dimensioni di molte imprese le rendono da una parte più costose da raggiungere commercialmente da parte del consulente e dall’altra meno capaci di sfruttare adeguate economie di scala ed organizzative garantite dai software.
Non vorrei però fornire alibi, il vero problema è culturale. Ancora non percepiamo l’importanza di usare infrastrutture digitali e gestire i dati e per questo non investiamo. Imprese di maggiori dimensioni sono più mature e consapevoli, per questo sono maggiormente disposte ad investire.

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