La potenza di fuoco dello Stato e le (eterne) responsabilità della burocrazia

scritto da il 19 Maggio 2020

L’autore del post è Stefano Capaccioli, dottore commercialista, fondatore di Coinlex, società di consulenza e network di professionisti sulle criptovalute e soluzioni blockchain, nonché presidente di Assob.it –

Fino a quando la mangiatoia era piena tutti erano a testa bassa a muovere le mascelle.

Purtuttavia, gli animali sanno bene che quando la testa è affogata nel trogolo, le terga sono ben esposte agli eventi esterni e di conseguenza prestano elevata attenzione, controllando continuamente l’ambiente circostante.

L’italiano no.

Ha la testa totalmente infilata nella greppia, tanto da non accorgersi di cosa stia succedendo intorno.

Il  CoViD19 ha rovesciato d’improvviso la mangiatoia e tutti, si spera, dovranno alzare la testa. In realtà, si sono attivati solo gli operatori sanitari, in prima linea, gli imprenditori e gli autonomi, abituati a doversi continuamente innovare e rinnovare.

Tutti gli altri italiani sono rimasti fermi, sulle proprie posizioni, chi per abitudine, chi per convenienza, chi per oramai aver delegato a terzi qualunque cosa.

Qualcuno ci penserà, qualcuno provvederà, il perenne “Lo Stato ci deve aiutare!”.

Questa tipologia di italiano si è dimenticato che lo Stato è anche lui.

Purtroppo l’Italia non è un paese unito: gli italiani non sono tutti uguali, alcuni sono più uguali degli altri.

Ad alcuni, infatti, non cambierà nulla, ad altri lo tsunami ha portato via tutto.

Osservando la composizione lavorativa della fattoria Italia, sovviene un dubbio: con un esercito di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici (senza considerare le partecipate e gli organismi parastatali e/o foraggiati dallo Stato di cui sembra impossibile avere una conta almeno approssimativa) e con una numerosa classe politica (deputati, senatori, governatori, deputati regionali, sindaci e consiglieri comunali vari) obiettivamente avremmo dovuto avere una corazzata.

Invece, in questo periodo di crisi, ogni ente, ogni investimento effettuato da parte del nostro paese in Protezione civile ed in altre strutture pubbliche risulta inadeguato, fallimentare e imbarazzante.

Cosa è stata capace di fare la nostra Invincible Armada di dipendenti pubblici e politici sparpagliati tra gli almeno 2.199 enti pubblici, i 7.920 comuni, le 110 Province e le 20 Regioni, in ben 106.282 unità locali (Dati ISTAT)?

In primis, ha tutelato sé stessa, per mantenere i privilegi dei latifondisti delle garanzie.

In secondo luogo ha generato una prolusione di norme incomprensibili scritte da diplomati alla scuola della vita e messe in bella calligrafia (peraltro con la solita tecnica del rimando) da solerti e servili funzionari, finalizzate a scelte ultra-precauzionali per preservarsi dalle inesorabili critiche, in un esercizio di politica difensiva a scapito dell’Italia intera.

Infine ha escogitato la creazione, ex nihilo, di sciami di task force, con l’unico scopo di avere fumosi comitati tecnici scientifici quale astuto stratagemma per giustificare qualsivoglia scelta, scaricando le responsabilità.

La situazione sta assumendo contorni per certi versi paradossali: siamo a due mesi dal via al lockdown totale e non vi è traccia di un piano o di una visione o di quanto dichiarato dal Premier il 6 aprile scorso:

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Forse la potenza di fuoco non era amica o meglio non era gestita da amici.

I risultati negativi sono manifesti: gli interventi sono stati fatti a toppe, per cercare di coprire buche senza un progetto unitario (e senza consapevolezza della situazione reale), costringendo le imprese e le banche ad un insopportabile percorso ad ostacoli, con il fondato sospetto che su queste vengano scaricate la responsabilità, dato che le garanzie promesse non appaiono così automatiche come fatto credere.

Né le idee né la scrittura delle norme (peraltro sempre in ritardo rispetto ai proclami) né tanto meno la loro implementazione sono state adeguate con responsabilità ascrivibili sia alla classe politica (Governo) sia alla Pubblica Amministrazione:

I nodi sono giunti al pettine: le promesse disattese bloccano qualsivoglia ripresa, con l’ipertrofia amministrativa che rende tutto impossibile e con il conclamato ritorno a sistemi feudali orizzontali (Governatori e Sindaci con potere di ordinanza) e verticali (le plurime amministrazioni ognuna in cerca di visibilità).

A chi addossare le responsabilità?

Con il lockdown e i pieni poteri al Governo da dictator romano, tutte le figure retoriche fino ad ora adoperate sono praticamente inutilizzabili, quale l’evasione tributaria, l’impossibilità di governare, le mafie, il potere giudiziario, la kattiva Europa o l’ostruzionismo dell’opposizione: Governo e Pubblica Amministrazione avevano il campo totalmente libero, ma hanno preferito anteporre gli interessi particolari (rispettivamente mantenimento del consenso e del potere) agli interessi della collettività.

Sta iniziando a serpeggiare l’idea che la responsabilità sia della burocrazia, figura astratta e fumosa, capro espiatorio perfetto, un po’ tutti, ma in realtà  nessuno, un po’ come prendersela contro il meteo.

Siamo sicuri?

Poiché la burocrazia è la nostra Pubblica Amministrazione, che sia colpa di singoli funzionari?

E, in ogni caso, se abbiamo coscienza di un problema, a chi spetta la riforma della Pubblica Amministrazione se non alla politica?

A questo punto emergono delle ipotesi sulle mancate riforme, che paiono essere tutte ugualmente valide:

– Nessuno ci tenta perché i dipendenti pubblici rappresentano almeno 3,2 milioni di voti (cui aggiungere i nuclei familiari);

– Mantenere questo cancro amministrativo permette ai politicanti di avere una scusa dialettico-politica per non assumersi mai alcuna responsabilità o riconoscere i meriti della parte avversa.

– La classe politica è totalmente incapace di affrontare il problema in quanto oramai totalmente dipendente per qualunque cosa dalla Pubblica Amministrazione.

A ben vedere, la burocrazia (intesa in senso negativo) coincide con la parte deleteria del nostro Pubblico Impiego, serbatoio di voti da logica  assistenziale, del posto fisso, dei diritti portati all’estremo, dell’assoluto immobilismo e della protezione con norme arcaiche scritte per altri paradigmi tecnologici.

Un immediato e deferente pensiero va a quella (bassa) percentuale di servitori dello Stato (difficilmente nei posti apicali) che portano eroicamente e prometeicamente sulle spalle il funzionamento di tutta la macchina, sottopagati, costretti a subire regole capziose calate dall’alto, con la zavorra di colleghi parassiti da trascinarsi dietro, sempre iper tutelati.

Operare per questi ultimi  nella palude delle norme, decreti, Circolari e FAQ costituisce infine atto di coraggio, esposti continuamente all’abuso di ufficio, sul cui altare viene sacrificata qualunque volontà propositiva e fattiva, costringendo chiunque a seguire inutili labirinti amministrativi dato che dietro un timbro, dietro un parere obbligatorio, si annida un centro di potere, piccolo o grande, il cui scopo minimo è far presente la sua esistenza, pronto a denunciare e emettere fatwa nei confronti di chiunque si azzardi ad ignorarlo.

Molti di questi problemi potrebbero derivare dall’amnistia di Togliatti del 1946 che permise ai pubblici dipendenti in forza durante il periodo fascista di mantenere il proprio posto, rendendo impenetrabile ai diritti costituzionali i pubblici uffici, rimasti ancorati alle logiche dello Stato di Polizia e dall’aggiogamento dell’individuo alla preponderanza (ed anche prepotenza) dello Stato.

Orbene, diventa un imperativo morale riuscire nell’impresa di riformare la macchina amministrativa della fattoria Italia che appare incapace di eseguire la benché minima istruzione e di anteporre il vuoto formalismo all’emergenza.

Il momento impone la ricostruzione dalle fondamenta con la necessaria giustificazione (costi / benefici) di ogni singolo euro speso o fatto spendere.

Il primo passo è sicuramente la riduzione drastica del numero delle amministrazioni: non è possibile mantenere la congiunta presenza di  INPS, INAIL, Ispettorato del Lavoro e diversi Enti Bilaterali per il comparto lavoro per ogni provincia o corpi di polizia per ministero e per suddivisione amministrativa (regionale, provinciale, locale) o mantenere la moltiplicazione degli enti territoriali locali, con quasi ottomila comuni o accettare l’esistenza di Regioni a Statuto Speciale che rispondono alle superate logiche del primo dopoguerra.

Successivamente,  occorre migliorare il processo legislativo, generando norme semplici e delineando i principi cardine a livello costituzionale (tra cui lo Statuto dei diritti del Contribuente cui affiancare lo Statuto dei diritti del Cittadino e lo Statuto dei diritti dell’Impresa), imponendo codificazione e tecnica legislativa intelligibile, breve e senza necessità di continui decreti ministeriali e rimandi.

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Gli adempimenti caricati alle imprese e ai cittadini hanno un costo, manifesto o implicito, che sia un dato da comunicare, un documento da riempire, un’istanza da fare.

Prima di introdurre o mantenere un qualsivoglia adempimento deve essere dimostrata la sua utilità e saldo positivo costi/benefici, con numeri e logica trasparenti ed ampia possibilità di accesso alla documentazione amministrativa (direzione esattamente opposta alla sospensione del FOIA prevista nel DL Cura Italia). Di tale maniera, anche le norme di compliance, le creazioni di torri di avorio finalizzate a remunerare inutili e inconcludenti strutture dovranno seguire la stessa sorte, con analisi sul mondo reale, non quello rappresentato nei salotti ovattati.

Il rapporto tra individuo/impresa e Pubblica Amministrazione dovrà essere paritario seppellendo definitivamente la spasmodica attenzione sui rischi e sulle vulnerabilità (teorici) che provoca imponenti produzioni documentali e tortuosi  iter autorizzatori (autorizzazioni, certificati antimafia, white list, protocolli anticorruzione) senza poi un effettivo controllo successivo, ingenerando la convinzione che la presenza di tutti i timbri a posto lavino la coscienza del funzionario che autorizza (con implicita delega di tutte le illegalità alla magistratura e alla polizia giudiziaria).

Queste prime riflessioni possono costituire la base per generare la speranza di giungere al concetto di dipendente pubblico quale “servitore civile”, a disposizione della comunità, e non braccio armato dello Stato.

Continuando invece di questo passo, nell’attesa che avvenga il parto podalico del decreto di Aprile, il burocrate che, in “smart working” continua a percepire il 100% dello stipendio e persino i buoni pasto (diritti acquisiti), quando sentirà che agli imprenditori ed ai cassaintegrati mancherà il pane, risponderà: che mangino brioches.

Twitter @s_capaccioli