Pinguini, robot e altre strategie anticrisi dai musei di tutto il mondo

scritto da il 28 Maggio 2020

Post di Lara d’Argento, growth hacker appassionata di musei, e Nicolò Andreula, economista e consulente strategico –

Il COVID19 ha messo in grave difficoltà anche tanti musei in tutto il mondo. Nei giorni scorsi, uno studio UNESCO ed uno studio ICOM (International Council of Museums) hanno rilevato che circa il 90%, o più di 85.000 istituzioni, hanno chiuso le porte per diverse settimane, e il 13% potrebbe non aprire mai più.

“Chi non sperimenta, muore”: se fino a poche settimane fa sembrava una frase motivazionale ad effetto, adesso è la brutale verità. Le regole del gioco cambiano; le esigenze e le priorità mutano, una nuova normalità si crea. C’è bisogno di capire le nuove abitudini dei consumatori, studiare e farsi contaminare da altri settori, scambiandosi strategie e strumenti. Dobbiamo sperimentare, è questa la principale lezione che proviene dal “growth hacking”: non per uscire dalla crisi, bensì per capire come cambiare per uscirne.

Anche al di fuori del mondo della cultura, molte aziende provano a riaprire con risorse limitate e ostacoli burocratici, continuando a interrogarsi su come sfruttare a proprio favore questo periodo di distanziamento sociale. Alcuni esempi di innovazione strategica e marketing resiliente arrivano – paradossalmente o forse no – dagli spazi espositivi in cui si conservano l’arte e la cultura del pas-sato. Ecco 8 lezioni che le aziende di tutto il mondo possono imparare dal museum growth hacking:

1. Alleanze locali ad impatto globale. Fareste mai entrare dei pinguini in un museo? Il museo Nelson-Atkins di Kansas City lo ha fatto, pochi giorni fa. Chiuso per quarantena, ha aperto le proprie porte a 3 pinguini provenienti dallo zoo della città. Scegliere un alleato locale non significa per forza ottenere un impatto locale, anzi: il canale YouTube dello zoo di Kansas City conta 18.000 iscritti e circa 200 video: il video coi pinguini nel museo ha registrato oltre 300.000 visualizzazioni, cioè +42% rispetto al miglior risultato precedentemente conseguito.

2. Prestiti tecnologici ed esperienze virtuali. Il marketing omnichannel, da solo, non basta più. La vera sfida non è più coordinare tutti i canali di comunicazione disponibili, ma fonderli in una dimensione ibrida tra fisico e digitale, ottenendo l’effetto cosiddetto Phygital per sorprendere e fidelizzare il proprio pubblico di riferimento. Visori di realtà virtuale e specchi di realtà aumentata di solito hanno un costo improponibile per piccole imprese, ma c’è sempre un modo per affrontare diversamente il problema. Nel Regno Unito, il museo “The Hastings Contemporary” nell’East Sussex si è fatto prestare un robot dal costo di 3.700 euro dal Robotics Laboratory nella città di Bristol, e da fine marzo ha lanciato dei robot tours: si tratta di un dispositivo di telepresenza mobile, connesso mediante Wi-Fi, che si aggira per la galleria, ed invia video agli spettatori in quarantena a casa. Il successo è stato così clamoroso, che il museo è stato costretto a limitare queste visite virtuali a sessioni di 30 minuti alla settimana e ad introdurre altre fasce orarie per esaudire le richieste del pubblico.

3. Contaminazione di competenze. Anche il National Cowboy & Western Heritage Museum di Oklahoma City, mentre era chiuso al pubblico, ha dovuto chiedere ai suoi dipendenti di lavorare da casa, ma ne ha approfittato per fare un esperimento che Giulio Xhaet – nel suo ultimo libro – definirebbe di “contaminazione”, e cioè di ricerca di connessioni inaspettate, collegamenti tra proprie passioni al lavoro, sfruttamento del digitale come un nuovo terreno di gioco ibrido tra tecnica e umanistica. Durante la quarantena, il “Nat’l Cowboy Museum”, ha deciso di assegnare il ruolo di responsabile social media a Tim Send, il capo della sicurezza. Il successo è stato eclatante, a tal punto da essere riportato anche dalla CNN. Il museo, descritto e mostrato dal custode è un esempio di narrazione da un nuovo punto di vista, che si affida ad un comunicatore alternativo. Nelle scorse settimane, Tim ha scelto di utilizzare foto sfocate o non inquadrate bene. Ha scelto altresì di non nascondere tutta la propria disabitudine al mondo social, attraverso un uso del linguaggio tecnicamente improprio, che si è poi rivelato la chiave del successo dell’esperimento stesso: dal primo messaggio del 17 Marzo, che aveva terminato scrivendo “Invio.”, fino all’ “#HashtagTheCo- wboy”, che il museo ha deciso di mantenere nella propria comunicazione, anche dopo aver riaperto il 18 Maggio.

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4. Segmentazione e umanizzazione dei rapporti. Secondo l’ultima ricerca della società di consulenza GfK, la metà dei consumatori italiani nel post COVID-19 cercherà spazi e negozi dove sia possibile riscoprire i rapporti umani attraverso il personale. È il funnel rovesciato, nel growth hacking: è il partire dalle cose semplici e dalle relazioni umane, che poi garantiscono la retention più duratura. Il Museo Egizio di Torino si è portato avanti con il lavoro, mostrando loro la personalità della propria squadra a ciascuno dei propri pubblici. Una community è composta da varie audiences. Il Museo Egizio sa di avere un pubblico di bambini e sa di averne uno di non italofoni. Pertanto, dal suo canale Facebook, scrive contenuti in due lingue, offrendo attività che, pur riguardando la mission del museo, entrano nella vita quotidiana. Ne è un esempio il corso a puntate di cucina dell’Antico Egitto: #CooklikeanEgyptian, con ricette in italiano ed in inglese. Per i bambini, propone iniziative specifiche che, durante la quarantena, assolvono sia ad una funzione di apprendimento, sia ad una funzione di intrattenimento. Nel fare ciò, presenta sui propri canali le persone che lavorano al museo, come nel video destinato ai piccoli archeologi, che ha una curatrice come protagonista. In quarantena, ciascuno trasmette da casa propria. Questa è l’umanizzazione del rapporto con il museo: le persone nel loro quotidiano, che raccontano il loro museo con le loro possibilità e le loro prospettive. Qual è l’opera attualmente di maggior valore? È un laboratorio di archeologia che non sappiamo quando e come potremo tornare a frequentare all’interno di un museo, oppure è un video che spiega ai bambini come sia effettuato uno scavo, usando degli oggetti di uso quotidiano? (Spoiler: una cosa non esclude l’altra).

5. Servizi complementari per superstars. Approfittando dello straordinario successo della piattaforma Zoom (che solo nelle prime tre settimane di Aprile è passata da 200 a 300 milioni di utenti attivi al giorno), il LACMA (Los Angeles County Museum of Art) ha trasformato molti dei quadri della propria collezione permanente in sfondi per piattaforme di videoconferenza, offrendoli in download gratuito, così da entrare nella riunione di famiglia o nel business meeting di chiunque abbia necessità di usare questi strumenti, anche senza dire una parola di cultura. Non è la prima volta che un player più piccolo prova a cavalcare l’onda di uno più grande per sfruttare visibilità offrendo un servizio gratuito e complementare. Pochi mesi dopo aver fondato GoPro, Nick Woodman ebbe la geniale intuizione di capire che il suo target di consumatori era assolutamente in linea con quelli di RedBull, e si offrì di fare riprese gratis con le sue macchine fotografiche agli eventi sponsorizzati dalla bevanda energetica, un brand già affermatissimo all’epoca. Una win-win solution che diede moltissima visibilità ad un prodotto molto competitivo ma con un marketing budget molto limitato, allora. Per chi fa growth hacking, uno dei primi casi che in tal senso abbia fatto scuola a livello mondiale è quello del Craigslist poaching perpetrato da Airbnb, ossia l’hack che consentì ad Airbnb di esplodere: Airbnb, nata da poco, riuscì ad integrare il proprio sistema di pubblicazione di annunci gratuiti con quello del portale Craiglist, che aveva già una user base enorme. In altre parole, Airbnb “rubò” gli utenti a Craigslist facendo cross-posting non autorizzato. L’esempio può sembrare audace, ma non vi fu alcun illecito. Semplicemente, i growth hackers preferiscono chiedere scusa piuttosto che chiedere permesso.

6. Scoprire e scalare da altri settori. Il growth hacking è un processo di rapida sperimentazione sia sul canale che sul prodotto, al fine di scoprire qual è il modo più efficace per far crescere le metriche di un business. Questo significa che la sua forza sta proprio nella ripetibilità. Quando si frequenta un bootcamp del settore, si utilizza spesso il metodo S.C.A.M.P.E.R., per rendere il brainstorming più efficiente e ritmato: si pesca una carta con delle domande, e ad ogni domanda possono corrispondere più idee. Cosa succede se metto questo prodotto in un contesto diverso? È il caso di Matterport, uno strumento di realtà virtuale, usato dagli agenti immobiliari, che realizza una mappatura tridimensionale con qualità fotografica, e che è stato scelto dalle Gallerie Estensi a Modena per risolvere uno dei maggiori ostacoli che questa quarantena abbia creato ai musei: la sospensione delle visite scolastiche. L’esperimento è partito con un appuntamento su Google Meet il 14 Aprile, e nella sola prima settimana ha consentito al museo di raccogliere prenotazioni per 80 classi. Le scolaresche, che avrebbero rinunciato alle visite guidate dal vivo, hanno confermato la propria presenza alle visite guidate online. La Direttrice del museo ha dichiarato che importerà questo esperimento e questo strumento nella programmazione ordinaria.

7. Nuove abitudini, nuove opportunità. Qualunque fossero le buyer personas prima della variabile X, vanno dimenticate. Ci saranno nuove fasce di utenti, che prima non avremmo mai immaginato. Saper individuare il profilo della buyer persona ideale è il pilastro fondante di ogni strategia di marketing che funzioni. Non si può fare finta di niente, bisogna capire come le nuove abitudini stiano cambiando in maniera specifica i propri utenti. Il digitale è uno strumento, non sarà mai meglio dell’offline, ma può dare una grossa mano ad integrare l’offerta museale. È ciò che la Fondazione Pino Pascali – Museo di Arte Contemporanea a Polignano a Mare (BA) ha pensato di fare con l’esperimento nato in quarantena: il museo aveva creato un sito (web) alternativo al sito (fisico), uno spazio virtuale, dove realizzare mostre, didattica ed incontri. Adesso che il museo riaprirà le sue porte (26 Maggio), lo spazio virtuale resterà aperto. Ci saranno due versioni di museo, in modello freemium: una gratuita, online, ed una a pagamento, offline. Questa strategia consentirà di evitare che gli utenti che avevano maturato la nuova abitudine di frequentare la galleria virtuale, e dunque di creare una relazione alternativa con la fruizione dello spazio, abbandonino il museo.

8. Diventare turismo esperienziale. L’upselling è una risorsa fondamentale per le strategie di audience engagement. Questo non vuol dire solo provare a vendere il catalogo subito dopo l’acquisto di un biglietto. L’ultima frontiera è l’upselling di esperienze: dal concerto jazz, al laboratorio creativo, alla serata di gala… Il turismo esperienziale ha varie declinazioni, anche in un museo. È anche una leva potente per il referral: coinvolge i pubblici, consolida la community, accresce il passaparola (e dunque la viralità). Finora, c’era solo un’unica modalità per consentire lo svolgersi di questi eventi: la presenza fisica di gruppi di persone, che magari viaggiavano di proposito per partecipare all’attività, provocando un impatto positivo anche sul marketing territoriale. Esempio italiano classico: biglietto Galata Museo del mare a Genova ed escursione in barca lungo le rotte dei mammiferi marini nel cuore del Santuario dei Cetacei, una combinazione di esperienze in grado di far viaggiare le persone interessate (spesso famiglie intere) da altre regioni verso il capoluogo ligure, magari per fermarvisi un intero fine settimana. Airbnb sta facendo scuola con le sue Esperienze Online, e gli spazi espositivi seguono a ruota: nel Connecticut, il Mattatuck Museum ha proposto la versione digitale del proprio Murder Mystery (esperienza tipo ‘cena con delitto’) – Volume 6 Quarantine Life Edition. Chi non ha potuto partecipare all’esperienza online del mese scorso, può rivedere il filmato dal sito del museo, facendo una donazione di qualunque importo. Waterbury è una città di circa centomila abitanti ed è prematuro poter valutare se trarrà beneficio turistico dalle iniziative del museo.

D’altronde, il growth hacking non ha la soluzione miracolosa per i musei, ma conosce l’altra faccia della medaglia: quella della trasformazione delle imprese e di ciò che il digitale può fare. Il growth hacking non può promettere nulla, ma può dimostrare di avere un processo. È un mindset, però è pure crescita, e la crescita bisogna farla accadere.

La comunità del management degli spazi espositivi e del growth hacking è in fermento e dibatte apertamente su queste novità: uno spazio interessante si è aperto su LinkedIn Notizie.

Twitter @NicoloAndreula