L’Italia ce la farà con i soldi dell’Europa? Facciamo due conti

scritto da il 08 Giugno 2020

Mes, Sure, Bei, Recovery Fund, Btp Italia, Bce… Questi termini sono ormai diventati parte nel nostro gergo quotidiano: i media non parlano d’altro, gli analisti trattano costantemente questi strumenti – visto il loro potenziale economico-sociale –, ma il cittadino comune vuole rendersi conto del valore di questi “paroloni”. Letteralmente, in soldoni, si vuol capire quanti miliardi di euro spetteranno all’Italia per uscire dalla crisi. Soprattutto, va compreso quali strumenti, tra quelli sopra citati – e che forse possono persino coprire per intero le spese (italiane) derivanti dalla crisi, che l’Osservatorio CPI di Carlo Cottarelli stima a poco meno di 500 miliardi di € sono davvero necessari e quali rappresenterebbero più un costo che un’opportunità. Ma quindi: quanto spetta all’Italia?

Acquisto titoli BCE

Se n’è parlato poco, ma la Bce è stata l’istituzione europea che prima di tutte è intervenuta a sostegno dei paesi economicamente in sofferenza, tramite un massiccio programma di acquisto titoli: “in data 18 marzo 2020”, si legge nel comunicato del 25 marzo 2020 sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue, “il Consiglio direttivo ha deciso di lanciare un nuovo programma temporaneo di acquisto per l’emergenza pandemica (Pandemic Emergency Purchase Programme) (di seguito il «PEPP»), […] con una dotazione complessiva supplementare di 750 miliardi di euro fino alla fine del 2020”. Di questi, si apprende in una nota di Carlo Cottarelli tramite il suo Osservatorio, circa 220 miliardi di euro (12% del nostro Pil) saranno destinati all’acquisto di titoli italiani nel corso dell’anno 2020. Naturalmente, trattandosi di titoli di debito, questo importo andrà poi restituito alla Banca Centrale Europea; tuttavia, la durata di questi titoli varia notevolmente. Si legge nel documento: “devono avere una scadenza residua minima di 70 giorni e massima di 30 anni”. Vanno sì restituiti, ma ci sarà tempo per farlo. In aggiunta a questi fondi, la Bce ha recentemente annunciato un’estensione del Qe pandemico di almeno sei mesi per un importo di circa 600 miliardi di euro, di cui è ancora presto per capire quanto spetterà al nostro paese (ad ogni modo, in proporzione ai 220 miliardi garantiti fino alla fine dell’anno, si può stimare un’acquisto di titoli italiani pari a circa 170 miliardi di euro). Da anni ormai, come si evince dal grafico sottostante, il Programma di acquisto di attività della Bce (APP, ndr) ha garantito acquisti voluminosi e continuativi, soprattutto all’interno del settore pubblico.

MES

Questo nome risulta essere uno dei più utilizzati di questo tempo sui notiziari cartacei e non, vista la risonanza mediatica di questo strumento e le discussioni più o meno chiare riguardo lo stesso. Il Meccanismo europeo di stabilità, istituito durante la crisi del debito sovrano, ha visto cambiare radicalmente la sua disposizione: oggi infatti, visto l’avverarsi di una crisi economicamente senza precedenti, il MES non prevede condizionalità riguardo il suo utilizzo, salvo il dover spendere i fondi da questo offerti, sia direttamente sia indirettamente, in ambito sanitario – sostegno al personale medico, al sostentamento di ospedali e alla sanità in generale. Ogni Stato membro potrà spendere al più il 2% del proprio Pil per fronteggiare la lotta al Coronavirus. Tali fondi possono essere richiesti dagli stati che decideranno di usufruirne fino alla fine del 2022, ma non sono da escludere eventuali proroghe. Questi prestiti – che avranno una durata decennale, un tasso annuale a 0,1%, costo una tantum di 0,25% e costo annuale di 0,005% – sono operativi dal 1° giugno, e per l’Italia c’è a disposizione un ammontare totale pari a circa 36 miliardi di euro. Tuttavia, essendo uno strumento facoltativo, ogni Stato membro si riserva la facoltà di aderire o meno a questi fondi. A tal proposito, va fatta un’analisi di causa: l’esigenza sanitaria è ormai passata, visto il crollo del numero dei pazienti in terapia intensiva, tuttavia l’utilizzo del Meccanismo europeo di stabilità è vincolato, come sopra detto, a spese relative l’emergenza sanitaria. Ragione, questa, per cui tale strumento, al momento, comporta un costo-opportunità che lo rende poco utile al nostro paese, salvo interpretare le spese legate “indirettamente” all’ambito sanitario come spese relative la crisi economica in auge, la quale rappresenta la ratio alla base di tutti gli strumenti economico-finanziari proposti dall’Ue per affrontare la pandemia.

SURE

Questo “Supporto per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza” (dall’inglese Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency, acronimo Sure) è una cassa integrazione, volta a ridurre drasticamente le conseguenze di questa crisi sul piano occupazionale. Si tratta di un fondo, a cui volontariamente gli Stati membri possono decidere di aderivi per sostenere la lotta alla disoccupazione e alla crisi che le imprese stanno affrontando. Grazie ad un versamento di garanzie da parte degli stati membri per un totale di 25 miliardi di euro, l’Ue emetterà bond, finanziandosi sui mercati fino a una potenza di fuoco di 100 miliardi di euro. Tassi, costi, durata e modalità tecniche di attuazione di questo prestito saranno prese di comune accordo tra il paese che vi aderisce e la Commissione Ue. L’Italia, stando a quanto circolato nei giorni scorsi, pare possa aderire a questo fondo per un importo massimo di circa 20 miliardi di euro, anche se rimane ancora un’alea di discrezionalità riguardo questa cifra vista la poca chiarezza, al momento, fatta nei riguardi di questo strumento. Ciononostante, il ruolo del Sure resta fondamentale, in previsione di un aumento della disoccupazione in tutto il continente, dopo che, come illustrato nel grafico, l’Italia e l’Europa tutta stavano vivendo, prima della crisi, un notevole miglioramento in ambito occupazionale. Inoltre, nel solo mese di aprile c’è stato un crollo degli occupati e un boom degli inattivi, numeri che rendono il Sure uno strumento quanto mai necessario per tenere in piedi il mercato del lavoro.

Recovery Fund

È la novità del mese, in quanto la Commissione Ue ha da poco trovato (finalmente) un accordo riguardo le cifre e la composizione di questo fondo straordinario. L’ammontare del Recovery Fund sarà di circa 750 miliardi di euro, di cui 500 a fondo perduto e 250 in prestito. I primi andranno restituiti non in base alla cifra ricevuta, ma in base al versamento che ogni paese dell’Ue fa già annualmente nei riguardi della stessa; i secondi andranno invece restituiti ad un tasso prestabilito. L’Italia, stando a quanto segue da una tabella comunitaria, potrà beneficiare di circa 173 miliardi di euro, di cui 92 in prestito e 81 in sovvenzioni. Cifre importanti, che secondo il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni rappresentano una svolta, data la crisi senza precedenti che siamo chiamati ad affrontare. Sempre Gentiloni afferma che: “Il Recovery fund è senza condizionalità ma con obiettivi di riforme. La Commissione valuterà i piani di riforma dei governi nazionali per allocare i fondi esaminando se sono in linea con le sfide individuate nel semestre europeo, se contribuiscono a rafforzare crescita, resilienza e coesione e se vanno nella direzione della transizione verde e digitale”. Timore di molti analisti è rappresentato da un potenziale aumento dell’inflazione derivante da un’immissione di liquidità di questa portata nell’economia. Timore che viene meno, ragionando sul tasso di inflazione in Italia – e non solo – nel primo trimestre del 2020 che, come si evince dal grafico, è stato pari a meno dello 0.3%. Questo strumento porta con sé cifre importanti, che date le condizioni, possono rappresentare un aiuto concreto per l’economia italiana, che potrebbe sostenere politiche fiscali, investimenti, riforme che, guarda caso, sono necessarie per accedere al fondo stesso.

BEI

La Banca Europea degli Investimenti ha il ruolo di fornire “finanziamenti per progetti che contribuiscono a realizzare gli obiettivi dell’Ue, sia all’interno che al di fuori dell’Unione”. La Commissione, presentando il Recovery Fund ha previsto garanzie comunitarie che saranno affidate al Fondo europeo per gli investimenti strategici e quindi alla Bei. Le garanzie avranno un valore di 31 miliardi di euro e dovrebbero mobilitare secondo Bruxelles fino a 300 miliardi di euro. Non è chiaro quanto spetterà all’Italia, tuttavia nell’anno 2019 l’Italia stessa è stata il paese che ha ricevuto di più in termini assoluti (seguito solo da Spagna e Francia) e uno dei più alti in percentuale rispetto al Pil: su 63 miliardi di euro di prestiti totali, al nostro paese ne sono andati quasi 11 (più del 17% del totale). Nel complesso, sembra che la Bei sia in grado di garantire all’Italia circa 40 miliardi di euro di finanziamenti. Negli anni, la Bei ha incentivato numerosi progetti italiani, anche verso imprese fortemente eterogenee tra loro, il che rende la Banca Europea un’ente in grado di realizzare anche esigenze molto diversificate. L’Italia è composta principalmente da Pmi, ragion per cui ricorrere alla Bei non deve essere un diritto, ma un dovere.

BTP Italia

I Btp Italia sono i primi titoli di Stato indicizzati all’inflazione italiana, con cedole semestrali e durata pari a 5 anni, pensati soprattutto per le esigenze dei risparmiatori e degli investitori retail. Il totale raccolto dall’emissione di questi titoli ammonta a circa 22,297 miliardi di euro, di cui circa 8,3 miliardi di euro agli investitori istituzionali e circa 14 miliardi di euro ai risparmiatori. Rappresenta un record di volume per questo tipo di emissione, visto che nel mese di novembre 2013 il Btp Italia ha raccolto un ammontare pari a circa 22,271 miliardi di euro. Oltre alle cedole semestrali, per chi ha sottoscritto i titoli in questa fase e li conserverà fino alla scadenza, è previsto un premio fedeltà doppio rispetto alle precedenti emissioni, pari all’8 per mille del capitale investito.

L’Italia ce la farà

Tenendo in considerazione la restituzione o meno, differente da caso a caso, dei fondi ricevuti da ogni strumento, e tenendo in considerazione la facoltatività o meno dell’adesione agli stessi, si possono fare soltanto alcune ipotesi: qualora l’Italia decidesse di usufruire dei fondi previsti dal Recovery Fund, dal Mes, dalla Bei e dal Sure, e sapendo che sono comunque garantiti i fondi previsti dai Btp Italia e dal programma di acquisto titoli della Bce, l’ammontare complessivo potrebbe raggiungere una cifra superiore ai 500 miliardi di euro. Questo significherebbe, per il nostro paese, essere quindi in grado di coprire i costi derivanti dalla crisi da Coronavirus. Resta da comprendere quali saranno le scelte del Governo riguardo l’adesione o meno agli strumenti sopra esposti, sapendo, però, che “pecuniae imperare oportet, non servire”: bisogna comandare il denaro, non servirlo.

Mattia Moretta

Twitter @apbocconistu