Attenta Italia, la prossima partita con i frugali è sull’Ambiente

scritto da il 21 Luglio 2020

L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) –

Austria, Danimarca, Olanda, Svezia e, in posizione più defilata, la Finlandia: che cosa hanno in comune questi cinque Paesi, oltre alla ferma opposizione nei confronti del Recovery Fund? Sono la locomotiva del Green Deal europeo.

I Paesi che richiamano periodicamente l’attenzione delle istituzioni comunitarie sulle responsabilità dell’Europa nei confronti delle generazioni future e delle altre forme di vita con cui condividiamo il pianeta sono gli stessi che, dopo aver fatto fallire la Grecia e il Portogallo nel 2012, sarebbero stati pronti a far fallire l’Italia nel 2020. Angosciati per il destino delle foche monache ma del tutto insensibili nei confronti delle sofferenze del vicino di casa.
Una semplice coincidenza?

Max Weber (L’etica protestante e lo spirito del Capitalismo) e Walter Benjamin (Capitalismo come religione) non sarebbero d’accordo.

Una decina di anni fa l’allora primo ministro olandese Jan Peter Balkenende osservò compiaciuto come in molti considerassero l’Olanda la Nazione più calvinista del mondo. La cultura olandese, come quella scandinava, è permeata dall’etica protestante.

Si tratta di un immaginario collettivo dove non esistono condizioni di partenza più o meno favorevoli, non esistono punti di vista e sensibilità diverse, non ci sono attenuanti: ciascuno ha quello che si merita. Un sistema valoriale che fa molto comodo a chi è ricco e non vuole farsi troppe domande su come ci è diventato. Un’ideologia che fa proseliti anche al di fuori della cultura protestante come dimostra il caso dell’Austria che, da quando non è più uno dei Paesi più poveri dell’Europa Occidentale, si è improvvisamente scoperta frugale.

Per risolvere un problema che investe un’intera comunità, però, fare la propria parte non basta. Bisogna anche mettere gli altri in condizione di fare la loro. Si tratta di sviluppare modelli cooperativi (la Teoria dei Giochi di Nash), in cui o si vince tutti oppure si perde tutti. E l’etica protestante, fondata sulla responsabilità individuale e sulla competizione, fallisce sempre nel cogliere questo aspetto, riducendo tutto al dualismo colpa-punizione.

Credono di sedere dalla parte giusta della Storia ma, se gli fosse mai capitato di farla per davvero la Storia, saprebbero che è proprio in momenti come questi che si decide qual è il retaggio di una Nazione. La Germania, che nel bene e nel male sa cosa vuol dire fare la Storia, se ne rende conto e tende una mano ai Paesi mediterranei. Gli USA, una Nazione puritana, quando ce ne fu bisogno se ne resero conto e tesero la mano a chi li aveva trascinati nell’abisso della Seconda Guerra Mondiale. Ai cinque Paesi frugali non si può chiedere un guizzo di questo genere, non hanno né la Storia né la tradizione per guardare così lontano.

Proprio per questo l’Italia deve stare molto attenta.

Per il momento, più che giustamente, l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni si concentra sul Recovery Fund e sulla gestione della ripresa post-Covid. Ma all’orizzonte si staglia una questione ancor più imponente: il Green Deal europeo. E anche qui, l’Italia deve prepararsi a un duro scontro.

La fuga in avanti dei Paesi frugali sul tema della lotta al cambiamento climatico serve semplicemente a proiettarsi in una situazione analoga a quella di oggi. Tra 30 anni l’Austria, la Danimarca, l’Olanda, la Svezia e la Finlandia potranno dire al resto del mondo: “noi la nostra parte l’abbiamo fatta, voi no, e adesso è giusto che veniate puniti”. L’obiettivo non è trovare una soluzione, l’importante è lavarsi la coscienza continuando a macinare profitti.

La strategia ambientale europea è l’immagine di quello che Peter Dauvergne ha definito l’ambientalismo dei ricchi (Environmentalism of the Rich, 2016, The MIT Press), e cioè “l’ambientalismo che riflette gli interessi e i comforts dei più ricchi e dei più potenti”. Se pensate veramente che l’enfasi per l’auto elettrica o le energie rinnovabili abbia davvero qualcosa a che fare con la soluzione di un problema che coinvolge sette miliardi di persone, di cui la metà poveri, siete fuori strada.

Dietro alle dichiarazioni altisonanti si nascondono interessi egoistici: migliorare la qualità dell’aria nelle città, garantire i servizi ecosistemici, preservare la sicurezza alimentare. E fare soldi.

Eh sì perché, per i Paesi che l’hanno elaborato, il Green Deal è anche un grosso affare. Per la Danimarca, per esempio, che ospita il primo produttore al mondo di turbine eoliche (Vestas). Per l’Olanda, che si sta ritagliando la leadership nella finanza verde. O per la Finlandia, un Paese dove già oggi la prima fonte di energia è il legno.

Per l’Italia, però, quel tipo di lotta al cambiamento climatico non è un business. Anzi, sommato alle ripercussioni del Covid-19, potrebbe trasformarsi nella tempesta perfetta. Pensiamo alla transizione verso la mobilità elettrica, per esempio. Come ammonisce anche la Commissione Europea, investire nella mobilità elettrica significa perdere posti di lavoro. Stime indipendenti parlano addirittura di due terzi dei posti lavoro legati all’automotive. Una vera e propria catastrofe sociale, a maggior ragione per l’Italia, che si è specializzata nella componentistica. Al contrario, la mobilità ibrida e quella a idrogeno potrebbero essere due opzioni vantaggiose sia per l’ambiente che per la società.

Oppure i pannelli fotovoltaici e le turbine eoliche: un’occasione di sviluppo per chi li produce e li esporta, non certo per chi li installa, dato che si tratta delle fonti di energia con le minori ricadute occupazionali. Al contrario del biogas, per esempio, che ha un enorme potenziale economico e sociale.

Figura 1Ricadute occupazionali delle energie rinnovabili
Unità lavorative anno (ULA) per MW di potenza installata
. Dirette e indirette

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Fonte: GSE

La Finlandia e la Svezia sono Paesi con grandi foreste e popolazioni piccole, emettono poco più di 50 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno. La Danimarca non ha tante foreste ma è incuneata in uno dei mari più ventosi del pianeta, il Mar Baltico, che, complici i fondali bassissimi, ha trasformato in una miniera d’oro. L’Austria è un Paese di neanche 9 milioni di abitanti, pieno di dighe e sempre più povero di industrie manifatturiere. L’Olanda è l’ultima arrivata, si è convertita all’ecologismo quando ha fiutato l’affare, ma scommette sulla tecnologia – in particolare sull’idrogeno – per colmare il ritardo. D’altronde, i soldi da investire non le mancano.

Figura 2. PIL pro capite
 (2018, $)schermata-2020-07-21-alle-14-05-49Dati: World Bank

L’Italia è un Paese di 60 milioni di abitanti, con un’economia estremamente diversificata e un debito pubblico soverchiante. Non abbiamo centrali nucleari, al contrario della Svezia e della Finlandia, e, pur avendo tante dighe, l’energia idroelettrica non copre certo il 75% del nostro fabbisogno energetico, come accade in Austria. In compenso, abbiamo un patrimonio ambientale pressoché unico (le foreste di abeti austriache o scandinave sono polmoni molto meno efficienti rispetto alle nostre foreste miste) e il settore agricolo più dinamico d’Europa. Due asset che ci permetterebbero di elaborare una strategia di lotta al cambiamento climatico alternativa a quella danese o a quella svedese ma altrettanto efficace.

Nessuno, infatti, si è preoccupato di contabilizzare l’impatto ambientale dei vigneti e degli oliveti italiani, che, secondo le più recenti stime, dovrebbero risucchiare dall’atmosfera circa 40 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno (poco meno del totale delle emissioni danesi, svedesi o finlandesi). E si ci aspettiamo che lo facciano i Paesi frugali ci sbagliamo di grosso.

La strategia ambientale europea non è concepita per mettere in sicurezza il pianeta e le generazioni future, è concepita per alimentare lo sviluppo dei Paesi dell’Europa settentrionale. Il nostro ruolo è già deciso: saremo quelli che arrancano in fondo, con il cappello in mano.
Ancora una volta, emerge con chiarezza l’etica protestante: chi guadagna è virtuoso, chi perde è un debosciato. Che poi nelle regole sia già scritto chi deve vincere e chi deve perdere, è un dettaglio.

Proprio per questo, è vitale che l’Italia si riprenda dal torpore in cui è caduta dopo l’ingresso nella moneta unica. Ci eravamo convinti che, finalmente, qualcun altro avrebbe immaginato il futuro al posto nostro e che potevamo goderci la dolce vita senza troppi pensieri per la testa. Purtroppo, però, quando si lascia ad altri il compito di costruire il mondo di domani, di solito lo costruiscono a propria immagine e somiglianza.

Twitter @enricomariutti