Chi rischia la disoccupazione nel post-Covid-19 e le vie per gestire la crisi

scritto da il 22 Luglio 2020

Post di Cristiano Pechy, Country Manager Lee Hect Harrison –

Le incertezze economiche legate al Covid-19 si fanno sentire in tutto il Paese. Le riaperture del 4 e del 18 maggio hanno permesso a molte aziende italiane di ripartire, ma la maggior parte di esse deve fare i conti con un’economia che fatica a riprendersi: secondo quanto stimato dall’Istat, i consumi delle famiglie nel 2020 caleranno di 8,7 punti percentuali, un dato che non può non avere un impatto concreto anche sulle imprese e sul mercato del lavoro.

Il blocco dei licenziamenti attualmente in vigore sta creando un duplice e momentaneo effetto: non assistiamo a professionisti che perdono il lavoro, ma allo stesso tempo non stanno nascendo nuove opportunità, sebbene alcuni settori ne siano alla ricerca. Una situazione di stallo che blocca l’evoluzione di molte aziende, che in questo momento hanno necessità di trasformarsi, per sopravvivere. In alcune regioni, inoltre, non è tuttora possibile attivare i tirocini perché non è stato regolamentato lo smartworking. Il risultato è che anche i nostri giovani si trovano in grossa difficoltà, in maniera paradossale in quei settori in cui la domanda di lavoro c’è ed è robusta. I fatturati delle aziende in termini generali, d’altronde, sono diminuiti a causa dell’emergenza sanitaria e non è prevedibile una ripresa immediata.

Le aziende sono dunque costrette a trovare diversi modi per compensare le perdite, che non possono essere totalmente ammortizzate dalla cassa integrazione, strumento che tra l’altro non potrà durare in eterno. Se in termini di assunzioni non ci sono evoluzioni positive all’orizzonte, tra i lavoratori sotto contratto emergono alcune difficoltà legate agli assunti con contratti a termine, che difficilmente vedranno maturare l’ipotesi del rinnovo. Ancor più complicato sarà per loro riuscire a trovare un nuovo impiego. Proprio per questo, qualche settimana fa, come The Adecco Group, avevamo parlato di 1,5 milioni di posti di lavoro a tempo determinato a rischio in tutta Italia.

Tra le categorie di lavoratori che rischiano il posto ci sono anche i dirigenti, che rappresentano circa il 2% della popolazione. Per loro non vale il blocco del licenziamento. Ecco perché l’eventualità di perdere il lavoro o di dover rivedere volontariamente al ribasso lo stipendio per evitare conseguenze peggiori rappresentano due scenari molto concreti.

Infine ci sono i quadri e gli impiegati, per i quali le aziende possono solo ricorrere alla cassa integrazione. Le alternative sono il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, situazioni ancora molto rare ma in progressivo aumento. Risultato? Cresce anche il numero dei contenziosi legali. Per limitare i danni, alcune aziende stanno offrendo incentivi all’esodo importanti, altre stanno cercando di conciliare con i dipendenti disposti a trovare un accordo. Ma sono tutte iniziative aziendali che non rientrano all’interno di linee guida nazionali o universalmente riconosciute.

L’unico modo per uscire da questa complicatissima situazione è dare il via a un’evoluzione delle politiche attive nazionali. È necessario che tutti gli attori che operano all’interno del mercato del lavoro si siedano attorno a un tavolo per progettare insieme il “sistema lavoro” del futuro. Pensiamo alle 7,8 milioni di persone che hanno affrontato un periodo di cassa integrazione: molte hanno giustamente dovuto e potuto dedicare del tempo ai propri cari, genitori o figli, ma alcune hanno anche perso l’opportunità di utilizzare parte di questo tempo in formazione. Da oggi in poi la CIG non potrà più essere slegata da percorsi di formazione. Allo stesso modo, i sistemi di Alternative Dispute Resolution devono essere ripensati. Ad oggi solo il 20% dei beneficiari di ADR vengono ricollocati, mentre le statistiche dell’outplacement sono attorno all’80%, ma quest’ultimo strumento non dispone di incentivi statali e resta un’iniziativa della singola azienda.

Il mio appello è di muoversi subito per salvare il futuro professionale di tante persone. Tutti gli attori devono essere coinvolti, sindacati, imprese, INPS, fondi interprofessionali, agenzie per il lavoro, Governo, senza fazioni, in modo da creare un cerchio che crei la corrente del lavoro. Non collaborare adesso vorrebbe dire condannare tanti lavoratori ad affrontare un futuro molto complicato. Mettiamoci la faccia, è il momento di svoltare.

Twitter @cristianopechy