Dall’Europa una mano al Fisco nel braccio di ferro con Airbnb

scritto da il 04 Agosto 2020

Autori di questo post sono Sergio Lombardi e Mikaela Hillerstrom, fondatori di Taxbnb.it e specializzati negli aspetti legali, fiscali ed amministrativi delle attività turistiche –

Mentre l’opinione pubblica era monopolizzata dai negoziati sul Recovery Fund, è passata in secondo piano una notizia, che rappresenta probabilmente la mossa finale nella lunga partita fra Stati europei e piattaforme di e-commerce, che dura da oltre venti anni, considerando che la prima proposta di direttiva comunitaria sul commercio elettronico risale a novembre 1998.

Il 15 luglio Paolo Gentiloni, Commissario UE all’Economia, ha presentato il nuovo Pacchetto fiscale DAC7 della Commissione Europea che estende le regole comunitarie di trasparenza fiscale anche alle piattaforme digitali, residenti e non.

Il DAC7 (Directive on administrative cooperation) riguarda sia l’Iva che le imposte dirette, e per prevenire sia la doppia imposizione che l’assenza di tassazione, introduce obblighi di rendicontazione uniformi a livello continentale sui redditi prodotti dai venditori di beni o servizi attraverso le piattaforme digitali. Si pensi ai merchant di Amazon, ai seller di eBay, ma anche agli Host e Property Manager di Airbnb e Booking, un numero importante di potenziali contribuenti.

A motivare le nuove misure, una evasione di oltre 130 miliardi di euro in Europa, di cui 46 miliardi da parte delle persone fisiche.

In Italia, la partita fra Agenzia delle Entrate ed Airbnb, dura invece “solo” da tre anni, ed è passata attraverso il giudizio del Tar del Lazio e l’appello al Consiglio di Stato che nel 2019 ha investito della questione la Corte di Giustizia dell’UE. Il 30 giugno, la Corte ha dichiarato inammissibile la domanda di pronuncia pregiudiziale, non sufficientemente dettagliata, ma il Consiglio di Stato potrà presentare una nuova domanda, per un giudizio dai tempi ed esiti tutt’altro che prevedibili.

In ballo le preziose informazioni fiscali su circa 400mila Host italiani, molti dei quali sconosciuti al fisco, e anche la tassazione alla fonte da parte del portale. La cedolare secca “mancante”, secondo alcune stime superava i 500 milioni di euro, già a inizio 2020. Per chi affitta, questa tassa rappresenta una agevolazione, con le sue aliquote ridotte (dal 10% al 21%), ma nel Bilancio dello Stato non si è mai ripagata: i nuovi rapporti di locazione che sono emersi dal 2011 hanno fruttato molto di meno, rispetto alla detassazione che ha avvantaggiato i locatori con i redditi più alti.

In Italia, il fenomeno dell’home-sharing è cresciuto a dismisura dal 2008, ma senza fornire corrispondenti incassi all’erario. Nel grafico, all’andamento fiscale aggiornato agli ultimi dati disponibili (2018), è stato sovrapposto il ripidissimo trend di ascesa di Airbnb, che rappresenta solo il 40% del mercato.

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Nel 2017, i conti si sono complicati, quando la cedolare secca è stata estesa alle locazioni brevi. Il Fisco conteggia gli incassi dal settore abitativo senza distinguerli da quelli del settore turistico, perché le due tasse si versano con lo stesso codice F24, e quando vengono diffusi i dati da parte del Ministero dell’Economia, si assiste ogni anno a reazioni opposte, secondo le diverse parti sociali e testate giornalistiche, con annunci di flop e di successo sugli stessi dati.

È evidente che la trasmissione delle informazioni da parte delle online travel agency come Airbnb e Booking consentirà di ridurre i diffusi fenomeni di elusione ed evasione presenti nel settore turistico. Di pari passo con il DAC7, procedono i negoziati per la Web Tax tenuti dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e proprio a inizio luglio sono stati individuati fra i servizi ricompresi nella nuova tassa sulle piattaforme digitali, quelli di locazione. La Web Tax è attesa a fine 2020 e riguarderà il reddito d’impresa (commissioni) dei portali.

Il reporting dei dati dei proprietari faceva parte degli obblighi delle piattaforme digitali turistiche in Italia già da giugno 2017, ma la questione è entrata a far parte del contenzioso fra Airbnb e lo Stato italiano, arenandosi. Più volte, anche in un clima di distensione, Airbnb Italia ha dichiarato di essere pronta a fornire i dati fiscali dei proprietari al fisco, ma finora le dichiarazioni non hanno avuto seguito.

Già dal 2016, le principali piattaforme, fra le quali Airbnb, coordinate a livello europeo dalla EHHA (European Holiday Home Association), avevano condiviso una road map che prevedeva trasparenza e scambio di informazioni con i Paesi UE. Il progetto fa parte dell’applicazione della Collaborative Economy alle piattaforme digitali turistiche.

Finora, né gli obblighi della “tassa Airbnb”, né le ipotesi di collaborazione sono stati efficaci. Il nuovo pacchetto fiscale europeo sembra lo strumento definitivo per i Governi per ottenere la collaborazione delle piattaforme e disporre dei dati reddituali di chi affitta case online. Non è da escludere che il nuovo modello di cooperazione, ancora prima di diventare effettivo, possa spingere Airbnb ad un accordo in tempi brevi con l’Agenzia delle Entrate sui dati degli Host.

DECORRENZA DELLO SCAMBIO DEI DATI
Si può prevedere che lo scambio di informazioni del DAC7 partirà dalla data di entrata in vigore del pacchetto (entro il 2024), ma la fornitura dei dati creerà un terremoto nei database del fisco, comportando la necessità di approfondire situazioni sospette, allargandole ad altre annualità attraverso accertamenti. Una spada di Damocle per gli Host “smemorati”, se pensiamo che i redditi del 2019, che vengono dichiarati quest’anno, si prescrivono solo nel 2026 e, nel caso di dichiarazione dei redditi omessa o mendace, si prescrivono nel 2028.

I DATI
Le piattaforme trasmetteranno i dati su base annuale in un formato unificato ad uno solo dei Paesi UE, che condividerà a sua volta i dati con gli altri Stati europei. Il nuovo schema consentirà alle autorità fiscali di concentrare l’azione di riscossione sulla base dei dati forniti da un numero ristretto di intermediari digitali, piuttosto che attraverso lente e costose indagini su milioni di piccoli commercianti.

Le informazioni che le piattaforme saranno obbligate a trasmettere secondo il DAC7 sono addirittura maggiori rispetto a quelle già oggi previste dalla disciplina fiscale italiana. Fra i dati da trasmettere, il nominativo e codice fiscale del proprietario, i redditi prodotti, il numero di giorni di locazione, il conto corrente utilizzato per l’accredito dei ricavi e tutte le informazioni necessarie ad identificare gli immobili, compresi gli estremi catastali.

Nel comparto extralberghiero italiano, gli argomenti in agenda alla fine del lockdown sembrano incredibilmente ignorare la questione fiscale che pesa invece come un macigno sull’intero settore, screditando anche le piattaforme e gli operatori in regola. Il DAC7 è l’occasione per Airbnb e ogni singolo Host per scrollarsi di dosso la reputazione di “furbetti”, ingiustamente data all’intera categoria.